
UN NO NON BASTA
venerdì 2 dicembre 2016
venerdì 2 dicembre 2016
Le conseguenze della riforma costituzionale e della legge elettorale sono semplici, quasi banali: c’è l’obbligo, alla presentazione delle liste, di indicare il capo della forza politica; forza politica che in caso di vittoria avrà 340 seggi (maggioranza assoluta cui può corrispondere una ben minore percentuale di voti nelle urne); il suo capo, una volta avuti l’incarico (una formalità) e la fiducia (scontata), governerà; disponendo del “voto a data certa”, potrà anche condizionare gli ordini del giorno della Camera, la sola assemblea rimasta ad essere legittimata dal voto – e con il peso delle rappresentanze elettive regionali ridimensionato grazie alla “clausola di supremazia”.
Non si vede come si possa chiamare tutto questo se non eleggere insieme il premier e la sua maggioranza, affidando a un partito un indistinto potere insieme legislativo ed esecutivo.
Comunque lo si consideri, sia sotto l’aspetto limitato delle prossime elezioni (e qui sorgerebbe la domanda su quale sarebbe quel partito, chi il suo capo), sia sotto quello più largo della qualità della democrazia, è un cambiamento che non può in alcun modo essere sottovalutato.
Un cambiamento che peraltro nell’immediato servirebbe a non cambiare niente, ma a continuare anzi con la politica di riforme di stampo neoliberista o social-liberista degli ultimi decenni.
Questo referendum è solo un momento di una storia iniziata con la fine dei cosiddetti “trenta gloriosi”, alla fine degli anni Settanta.
Ci sono oggi e ci saranno dopo il referendum tutte le difficoltà di una sinistra “scomparsa”, tanto scomparsa da rendere problematica la definizione dei suoi confini, e priva di organizzazioni che promettano di essere inclusive.
Ma non c’è politica senza i partiti, partiti di massa con una forza da far pesare nel conflitto. Se tralasciamo questa semplice verità ci condanniamo all’inconcludenza, trasformando in insolubile dibattito la discussione sui temi della politica. Per fare un riferimento all’attualità, è quel che avviene per l’Unione Europea e l’euro; ma, allargando lo sguardo, è l’analisi dell’attuale capitalismo che non trova una base condivisa. Un partito non sarebbe la fine di quel dibattito: ma darebbe ad esso un senso, costringendo a misurarsi, anche nel suo inevitabilmente lungo processo di formazione, con cosa avviene “là fuori”.
Se questo è lo sfondo, è chiaro che il no non basta; tuttavia quel no è necessario.
Sappiamo che il cosiddetto “fronte del no” non esiste, è una trovata della propaganda per il sì.
Se, come speriamo, il no ottenesse la maggioranza, non ci sarebbe un no che ha vinto, ci sarebbero tanti no che sommandosi hanno impedito che il sì vincesse. Tanti no nessuno dei quali potrà vantare, da solo, una percentuale pari a quella dei sì.
I problemi restano tutti aperti. Ma, per il momento, potrebbe bastare lasciarli aperti.
Vincenzo Marineo
per la Redazione di PalermoGrad
Non si vede come si possa chiamare tutto questo se non eleggere insieme il premier e la sua maggioranza, affidando a un partito un indistinto potere insieme legislativo ed esecutivo.
Comunque lo si consideri, sia sotto l’aspetto limitato delle prossime elezioni (e qui sorgerebbe la domanda su quale sarebbe quel partito, chi il suo capo), sia sotto quello più largo della qualità della democrazia, è un cambiamento che non può in alcun modo essere sottovalutato.
Un cambiamento che peraltro nell’immediato servirebbe a non cambiare niente, ma a continuare anzi con la politica di riforme di stampo neoliberista o social-liberista degli ultimi decenni.
Questo referendum è solo un momento di una storia iniziata con la fine dei cosiddetti “trenta gloriosi”, alla fine degli anni Settanta.
Ci sono oggi e ci saranno dopo il referendum tutte le difficoltà di una sinistra “scomparsa”, tanto scomparsa da rendere problematica la definizione dei suoi confini, e priva di organizzazioni che promettano di essere inclusive.
Ma non c’è politica senza i partiti, partiti di massa con una forza da far pesare nel conflitto. Se tralasciamo questa semplice verità ci condanniamo all’inconcludenza, trasformando in insolubile dibattito la discussione sui temi della politica. Per fare un riferimento all’attualità, è quel che avviene per l’Unione Europea e l’euro; ma, allargando lo sguardo, è l’analisi dell’attuale capitalismo che non trova una base condivisa. Un partito non sarebbe la fine di quel dibattito: ma darebbe ad esso un senso, costringendo a misurarsi, anche nel suo inevitabilmente lungo processo di formazione, con cosa avviene “là fuori”.
Se questo è lo sfondo, è chiaro che il no non basta; tuttavia quel no è necessario.
Sappiamo che il cosiddetto “fronte del no” non esiste, è una trovata della propaganda per il sì.
Se, come speriamo, il no ottenesse la maggioranza, non ci sarebbe un no che ha vinto, ci sarebbero tanti no che sommandosi hanno impedito che il sì vincesse. Tanti no nessuno dei quali potrà vantare, da solo, una percentuale pari a quella dei sì.
I problemi restano tutti aperti. Ma, per il momento, potrebbe bastare lasciarli aperti.
Vincenzo Marineo
per la Redazione di PalermoGrad
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