
TU CHIAMALE SE VUOI, ILLUSIONI
di Roberto Salerno 6 agosto 2015
di Roberto Salerno 6 agosto 2015
Nell'articolo dell'11 febbraio scorso
(So’ boni, so’ greci. La vittoria di
Syriza e del suo leader) si cercava di spiegare perché non fosse
il caso di attendersi particolari buone notizie da Atene. L'idea di fondo era
che i rapporti di forza all'interno della società greca non erano tali da poter
arrivare a difendere il fantomatico “piano B” (che, inutile girarci attorno, è
la Grexit) nei confronti della troika europea. Le buone notizie non sono arrivate
e anzi il governo Tsipras sembra stia mestamente imboccando la deriva
conosciuta da tutte le forze “radicali non comuniste” che si sono
contraddistinte in questi ultimi anni, forse decenni: tentativo chissà quanto
convinto di imporre agende diverse--> sconfitta--> passaggio parlamentare
con pacchetto di provvedimenti approvato con il voto contrario della componente
di sinistra e con il soccorso di forze di centro destra--> espulsioni (o
scissione) delle ali più intransigenti--> tentativo di alleanze al
centro--> scivolamento nella difesa dell'esistente--> adattamento alle
pratiche degli avversari con la scusa della sopravvivenza. Di idea diversa sembra Tommaso Baris che nel pezzo Grecia: La lotta deve continuare ritiene che l'esperienza Tsipras sarebbe quanto meno servita a dimostrare che “non esiste un altrove in cui rifugiarsi per sfuggire al capitalismo mondiale” e che sia del tutto illusorio ritenere che una vittoria su scala nazionale possa mettere in discussione le politiche europee. A dire il vero Baris si muove con cautela, non escludendo in via ipotetica che un Paese più forte (l'Italia? la Spagna?) possa raggiungere risultati differenti. La mancanza del piano “B” in Grecia - sembra potersi dedurre - non è casuale, ma relativa al fatto che nelle condizioni date è del tutto irrealistica. Ma, a differenza di quanto sostenevo io, le “condizioni date” vanno rintracciate nell'inesistenza di una mobilitazione su scala europea in grado di appoggiare, di far sentire il suo peso, di rendere meno isolato, Syriza e il suo leader. Baris pare un po' confondere quello che è un dato del problema – la mancanza delle mobilitazioni su scala sovranazionale - con un'opzione a disposizione della sinistra. Che non ci fosse la mobilitazione europea era chiarissimo anche a Gennaio e non si riesce a capire in virtù di quale miracolo la si sarebbe potuta ricreare in tempi brevi. A meno che Baris non pensi che la spinta propulsiva della vittoria elettorale di Syriza potesse servire come incentivo per i vari movimenti dispersi in giro per l'Europa.
Ma se il nostro problema è (come in effetti è) la costruzione di un movimento che sia in grado di (almeno) trattare da posizioni di forza con le istituzioni reazionarie al comando dell'Europa intera, allora dobbiamo domandarci se l'operazione Syriza, e il suo leader, hanno rafforzato, agevolato, questa costruzione o no. Cioè se davvero una vittoria elettorale, ottenuta marginalizzando le forze comuniste e tenendo in minoranza le componenti più radicali del partito, possa servire.
Dopo aver assistito ai tentativi di Varoufakis e Tsipras è difficile pensare che questa strada possa insegnare granché alle sinistre radicali europee. Come Baris stesso ammette è una durissima sconfitta quella che ci troviamo a commentare.
Lo sgomento per come Tsipras ha interpretato il risultato del referendum, disorientando quanti stavano festeggiando la vittoria dell'OKI a mio modo di vedere non ha dato una gran mano a quella sinistra depressa che vaga senza nome. E forse è il caso di chiedersi l'effetto che avrebbe avuto, invece che “mi assumo la responsabilità di firmare un accordo che non mi piace”, il più lineare “mi assumo la responsabilità di non firmare un accordo che non mi piace”. Ma una vittoria elettorale ottenuta in quel modo – e in assenza per l’appunto di sostegni esterni – non ha dato scampo al gruppo dirigente di Syriza, lasciando Tsipras con la solita alternativa tra morire rapidamente o di morte lenta.
Come ricordato con la consueta efficacia da Marco Palazzotto, (Grecia, la lotta continua se c'è un piano B) la triste verità è che – al massimo – il baratro è stato rinviato di qualche mese, visto che è solo questione di tempo e che la Grecia non potrà certo ripagare i debiti contratti, e aumentati dal nuovo prestito.
Solo che - per tornare alle cose di casa nostra - la difficoltà nel costruire un soggetto europeo induce Palazzotto ad essere tentato da pericolose illusioni. Ammettiamo pure (senza concedere, magari se ne riparla) l'idea di un capitalismo che continuerebbe ad organizzarsi su base nazionale (un po' brusco e poco convincente il passaggio da un imperialismo imperniato sulla mitteleuropa ad un ruolo tedesco di tipo “nazionalistico”); in ogni caso, considerati i rapporti di forza, l'ipotesi che la gestione dell'exit venga affidata ad un governo di sinistra sembra essere persino più velleitaria di una qualsiasi ricomposizione delle aree antagoniste che si agitano in Europa.
In Italia chi dovrebbe gestire il passaggio? Landini con gli amici dei leghisti tornati a Canossa? I vendoliani che continuano a farneticare di un “più Europa” e delle virtù di una moneta capace di creare meccanismi virtuosi e sperare in un ravvedimento delle istituzioni europee (che sono di una lucidità sconosciuta ai raffinati realpoliticanti di SEL)? I Rifondaroli persi tra la rincorsa di un'ipotetica brava gente e la paura di perdere persino quegli inesistenti risultati che vantano?
C'è molto ottimismo, troppo ottimismo, nell'idea che una ricomposizione su base nazionale sia più agevole del tentativo di costruire una alternativa anticapitalista a scala europea. Siamo nel campo dell'utopia a breve termine ed è abbastanza avvilente che si cerchi di barcamenarsi tra quale delle due sia meno illusoria.
Niente strade da percorrere quindi? In tempi di rotta dei propri eserciti non è di nessuna utilità proporsi la conquista delle casematte dei nemici. Nemici forti, preparati, con piani precisi, in grado di riprendersi senza neanche troppo sforzarsi i territori provvisoriamente ceduti. Se la sinistra è nelle catacombe, meglio che capisca che da lì non si esce attraverso scorciatoie, ma con traversate lunghe anni, cercando di non offrire ridicole sponde a destre più o meno mascherate come il PD o abborracciati movimenti carpentieri che costruiscono strade e che hanno posizione vomitevoli nei confronti di immigrati e movimenti radicali, salvo poi provare a strumentalizzarli quando pensano di poterci guadagnare qualcosa. Non è un problema di ritrovare – o, peggio, mantenere – purezze identitarie. Ma di cercare di non inseguire qualsiasi cosa solo perché si è d'accordo con una particolare posizione. Non si va con i leghisti perché si sono accorti delle incredibili conseguenze dell'adozione della moneta unica; non si va con i sognatori del vincolo esterno perché si è d'accordo con le loro posizioni sui diritti civili; non si va con i carpentieri grillini perché si è d'accordo sulla specifica questione della TAV. Non è alle posizioni istituzionali che deve rivolgersi la sinistra ma come sempre si dice – e come mai si è disposti a fare – ai vari movimenti che nonostante tutto anche in Italia si agitano.
Ma se il nostro problema è (come in effetti è) la costruzione di un movimento che sia in grado di (almeno) trattare da posizioni di forza con le istituzioni reazionarie al comando dell'Europa intera, allora dobbiamo domandarci se l'operazione Syriza, e il suo leader, hanno rafforzato, agevolato, questa costruzione o no. Cioè se davvero una vittoria elettorale, ottenuta marginalizzando le forze comuniste e tenendo in minoranza le componenti più radicali del partito, possa servire.
Dopo aver assistito ai tentativi di Varoufakis e Tsipras è difficile pensare che questa strada possa insegnare granché alle sinistre radicali europee. Come Baris stesso ammette è una durissima sconfitta quella che ci troviamo a commentare.
Lo sgomento per come Tsipras ha interpretato il risultato del referendum, disorientando quanti stavano festeggiando la vittoria dell'OKI a mio modo di vedere non ha dato una gran mano a quella sinistra depressa che vaga senza nome. E forse è il caso di chiedersi l'effetto che avrebbe avuto, invece che “mi assumo la responsabilità di firmare un accordo che non mi piace”, il più lineare “mi assumo la responsabilità di non firmare un accordo che non mi piace”. Ma una vittoria elettorale ottenuta in quel modo – e in assenza per l’appunto di sostegni esterni – non ha dato scampo al gruppo dirigente di Syriza, lasciando Tsipras con la solita alternativa tra morire rapidamente o di morte lenta.
Come ricordato con la consueta efficacia da Marco Palazzotto, (Grecia, la lotta continua se c'è un piano B) la triste verità è che – al massimo – il baratro è stato rinviato di qualche mese, visto che è solo questione di tempo e che la Grecia non potrà certo ripagare i debiti contratti, e aumentati dal nuovo prestito.
Solo che - per tornare alle cose di casa nostra - la difficoltà nel costruire un soggetto europeo induce Palazzotto ad essere tentato da pericolose illusioni. Ammettiamo pure (senza concedere, magari se ne riparla) l'idea di un capitalismo che continuerebbe ad organizzarsi su base nazionale (un po' brusco e poco convincente il passaggio da un imperialismo imperniato sulla mitteleuropa ad un ruolo tedesco di tipo “nazionalistico”); in ogni caso, considerati i rapporti di forza, l'ipotesi che la gestione dell'exit venga affidata ad un governo di sinistra sembra essere persino più velleitaria di una qualsiasi ricomposizione delle aree antagoniste che si agitano in Europa.
In Italia chi dovrebbe gestire il passaggio? Landini con gli amici dei leghisti tornati a Canossa? I vendoliani che continuano a farneticare di un “più Europa” e delle virtù di una moneta capace di creare meccanismi virtuosi e sperare in un ravvedimento delle istituzioni europee (che sono di una lucidità sconosciuta ai raffinati realpoliticanti di SEL)? I Rifondaroli persi tra la rincorsa di un'ipotetica brava gente e la paura di perdere persino quegli inesistenti risultati che vantano?
C'è molto ottimismo, troppo ottimismo, nell'idea che una ricomposizione su base nazionale sia più agevole del tentativo di costruire una alternativa anticapitalista a scala europea. Siamo nel campo dell'utopia a breve termine ed è abbastanza avvilente che si cerchi di barcamenarsi tra quale delle due sia meno illusoria.
Niente strade da percorrere quindi? In tempi di rotta dei propri eserciti non è di nessuna utilità proporsi la conquista delle casematte dei nemici. Nemici forti, preparati, con piani precisi, in grado di riprendersi senza neanche troppo sforzarsi i territori provvisoriamente ceduti. Se la sinistra è nelle catacombe, meglio che capisca che da lì non si esce attraverso scorciatoie, ma con traversate lunghe anni, cercando di non offrire ridicole sponde a destre più o meno mascherate come il PD o abborracciati movimenti carpentieri che costruiscono strade e che hanno posizione vomitevoli nei confronti di immigrati e movimenti radicali, salvo poi provare a strumentalizzarli quando pensano di poterci guadagnare qualcosa. Non è un problema di ritrovare – o, peggio, mantenere – purezze identitarie. Ma di cercare di non inseguire qualsiasi cosa solo perché si è d'accordo con una particolare posizione. Non si va con i leghisti perché si sono accorti delle incredibili conseguenze dell'adozione della moneta unica; non si va con i sognatori del vincolo esterno perché si è d'accordo con le loro posizioni sui diritti civili; non si va con i carpentieri grillini perché si è d'accordo sulla specifica questione della TAV. Non è alle posizioni istituzionali che deve rivolgersi la sinistra ma come sempre si dice – e come mai si è disposti a fare – ai vari movimenti che nonostante tutto anche in Italia si agitano.
Commento lasciato da Marco Palazzotto il 6 agosto 2015
Spero in futuro di avere il tempo per approfondire alcuni punti in un altro articolo. Per ora mi limito a constatare che in diversi passaggi Roberto abbia frainteso il mio pezzo (mi scuso se sono stato poco chiaro).Intanto chiarisco che non ho scritto che il “capitalismo continuerebbe ad organizzarsi su base nazionale”. Forse Roberto voleva scrivere che “il capitalismo continuerebbe ad utilizzare istituzioni di governo....” . Se invece Roberto per “organizzazione” intende il dispiegamento delle forze produttive e finanziarie io ho sempre sostenuto il contrario.
Secondo chiarimento. Non ho scritto che l’organizzazione di un soggetto antagonista su basi nazionali sia la scelta migliore solo perché “più piccolo è più facile di più grosso” e quindi solo per motivi tattici. Il problema è più complesso e mi pare di averlo spiegato - seppur sinteticamente - quando faccio riferimento alle dinamiche internazionali (USA, Asia, Europa ecc.).
Non ho scritto che in Italia la cosa dovrebbe essere semplice OGGI e non ho fatto riferimenti a Landini, SEL, PRC ecc. Sostengo invece che c’è bisogno della costruzione di un soggetto che possa far tesoro delle esperienze (ancorché contraddittorie e in alcune fasi fallimentari), di Grecia, Spagna, Portogallo, ecc. in un’ottica antiUE (non anti Europa attenzione). Il nome non lo conosco ancora, forse perché ritengo che non esista. Ma si potrebbe comunque cambiare prospettiva all’interno di alcuni partiti/movimenti che possano fare da collettore per unire diverse anime - seppur piccole – antagoniste. Ci vuole tempo è vero, ma neanche decenni, quantomeno per bilanciare i rapporti di forza in Europa (in Grecia e Spagna sono serviti pochi mesi, anche se stanno per distruggere il capitale politico accumulato).
La mia “utopia a breve termine” credo sia stata spiegata in maniera abbastanza articolata nel mio articolo. Mentre non capisco l’analisi del mio caro amico Roberto. Che “ci voglio bene” come si dice a Palermo, ma il suo intervento mi pare impregnato di un pessimismo nichilista e un po’ povero nell’articolazione degli argomenti a sostegno di una posizione che non ho capito quale.
Infine l’intervento chiude affermando che “Non è alle posizioni istituzionali che deve rivolgersi la sinistra ma come sempre si dice (…) ai vari movimenti che nonostante tutto anche in Italia si agitano”. Ma quali sarebbero questi movimenti? A me pare che sia Roberto in questa conclusione l’ottimista dei tre.
Spero in futuro di avere il tempo per approfondire alcuni punti in un altro articolo. Per ora mi limito a constatare che in diversi passaggi Roberto abbia frainteso il mio pezzo (mi scuso se sono stato poco chiaro).Intanto chiarisco che non ho scritto che il “capitalismo continuerebbe ad organizzarsi su base nazionale”. Forse Roberto voleva scrivere che “il capitalismo continuerebbe ad utilizzare istituzioni di governo....” . Se invece Roberto per “organizzazione” intende il dispiegamento delle forze produttive e finanziarie io ho sempre sostenuto il contrario.
Secondo chiarimento. Non ho scritto che l’organizzazione di un soggetto antagonista su basi nazionali sia la scelta migliore solo perché “più piccolo è più facile di più grosso” e quindi solo per motivi tattici. Il problema è più complesso e mi pare di averlo spiegato - seppur sinteticamente - quando faccio riferimento alle dinamiche internazionali (USA, Asia, Europa ecc.).
Non ho scritto che in Italia la cosa dovrebbe essere semplice OGGI e non ho fatto riferimenti a Landini, SEL, PRC ecc. Sostengo invece che c’è bisogno della costruzione di un soggetto che possa far tesoro delle esperienze (ancorché contraddittorie e in alcune fasi fallimentari), di Grecia, Spagna, Portogallo, ecc. in un’ottica antiUE (non anti Europa attenzione). Il nome non lo conosco ancora, forse perché ritengo che non esista. Ma si potrebbe comunque cambiare prospettiva all’interno di alcuni partiti/movimenti che possano fare da collettore per unire diverse anime - seppur piccole – antagoniste. Ci vuole tempo è vero, ma neanche decenni, quantomeno per bilanciare i rapporti di forza in Europa (in Grecia e Spagna sono serviti pochi mesi, anche se stanno per distruggere il capitale politico accumulato).
La mia “utopia a breve termine” credo sia stata spiegata in maniera abbastanza articolata nel mio articolo. Mentre non capisco l’analisi del mio caro amico Roberto. Che “ci voglio bene” come si dice a Palermo, ma il suo intervento mi pare impregnato di un pessimismo nichilista e un po’ povero nell’articolazione degli argomenti a sostegno di una posizione che non ho capito quale.
Infine l’intervento chiude affermando che “Non è alle posizioni istituzionali che deve rivolgersi la sinistra ma come sempre si dice (…) ai vari movimenti che nonostante tutto anche in Italia si agitano”. Ma quali sarebbero questi movimenti? A me pare che sia Roberto in questa conclusione l’ottimista dei tre.
Commento lasciato da Roberto Salerno il 17 agosto 2015
Intanto mi scuso per il ritardo, ma il periodo è quello che è - per fortuna - e stare lontani dal computer a volte può persino essere una buona idea.Cominciamo dalla fine: quali sono questi movimenti? Quello più grosso - e più noto - è sicuramente quello della Val di Susa, che solo per scorciatoie giornalistiche viene definito "NoTav". Ma per evitare di appesantire mi limito a segnalare il sito di dei clashcityworkers che su palermograd sono molto conosciuti. È poi a mio modo di vedere interessante notare come ad ogni consultazione elettorale emerga qualcuno di completamente sconosciuto fuori dai confini locali ma che è molto noto in quel particolare contesto geografico per via della propria attività, spesso pluriennale, nei movimenti locali. Il caso di Accorinti non è certo isolato sempre per fare un solo esempio. In genere questi tentativi fatti dalla sinistra isituzionale (Sel e Rifondazione) hanno un percorso polemico che non raramente finisce male, con il "movimentista" di turno che denuncia le intollerabili pratiche partitiche.
Prima o poi su questo "rapporto" magari si torna, quello che qui mi preme è sottolineare come qualcosa esista. A livello europeo le cose vanno persino "meglio" e in fondo sia Syriza, ma soprattutto Podemos, non esisterebbero senza i loro movimenti locali. Questo significa essere ottimisti? Mah, la ricomposizione di queste esperienze variegate non sembra semplicissima e il trasformare queste esperienze in pratiche in grado di incidere profondamente nelle decisioni "importanti" (altro discorso molto lungo) non mi pare proprio a portata di mano. L'ottimismo che "rimproveravo" a Palazzotto è quello di credere che il recupero di una dimensione nazionale di lotta sia un'orizzonte a cui tendere. Del resto anche nella replica Marco ribadisce che in fondo a Syriza e Podemos è bastato poco tempo. Qui, ancora, si apre un'altra voragine che è relativa alla valutazione di queste due esperienze. Ogni giorno che passa, purtroppo, Syriza sembra proprio dimostrare "a contrario" quali sono gli approdi di questa "strategia". E su Podemos si addensano nubi molto fosche. È chiaro che nessuno può seriamente pensare che la propria interpretazione sia quella sicuramente vera, ma la sensazione è che questa interpretazione finisca col condizionare l'attività politica dei vari gruppi. Se si pensa - semplifico - che si debba replicare Syriza (o Podemos) si agirà come Marco indica. Se si pensa che queste esperienze siano invece indicative di come non sia questa la strada da percorrere e che un buon risultato elettorale non serva praticamente a niente allora si cercherà di ripensare le proprie strategie. Certo, in questo periodo la cosa più semplice di tutte è fare le cassandre. Però tante generose forze non dovrebbero essere disperse, per esempio, nella ricerca di strategie unificanti. Questa illusione dell'accordarsi su due-tre punti è appunto un'illusione, perché la politica non è fatta di due-tre punti. E i mezzi, dovremmo saperlo, sviliscono i fini: se faccio accordi col diavolo è illusorio (e vagamente presuntuoso) ritenere di uscirne immacolati. Purtroppo la retorica della "contaminazione" - santa e giusta all'inizio - ha fatto danni enormi a sinistra. Fare autocritica non significa certo pensare che ci siano delle buone ragioni anche nelle orribili posizioni destrorse del Pd per esempio. Ma, ancora, questo è tema di altre discussioni. Finisco con i "fraintendimenti". La precisazione di Marco non mi convince tanto. Lui scriveva di un "capitalismo ancora legato a dispositivi statuali", qui ribadisce che "utilizza istituzioni di governo" immagino nazionali. Mi viene da pensare che il capitalismo, mi pare di ricordare, sia in grado perfettamente di costruire i meccanismi che gli servono piuttosto che - come pare di poter interpretare - utilizzare quelli che trova. E che sono stati, appunto, del tutto svuotati. Ne deduco che
forse in effetti non capisco bene cosa allora voglia dire. Chiudo con la battuta: o nichilista o ottimista no? Se poi il problema è la "linea" mah, a me pare già una gran cosa provare a togliere incrostazioni, posto che ci si riesca. E poi sarebbe troppo facile ribaltare l'accusa: qual è il piano che porta alla " costruzione di un soggetto che possa far tesoro delle esperienze"?
Intanto mi scuso per il ritardo, ma il periodo è quello che è - per fortuna - e stare lontani dal computer a volte può persino essere una buona idea.Cominciamo dalla fine: quali sono questi movimenti? Quello più grosso - e più noto - è sicuramente quello della Val di Susa, che solo per scorciatoie giornalistiche viene definito "NoTav". Ma per evitare di appesantire mi limito a segnalare il sito di dei clashcityworkers che su palermograd sono molto conosciuti. È poi a mio modo di vedere interessante notare come ad ogni consultazione elettorale emerga qualcuno di completamente sconosciuto fuori dai confini locali ma che è molto noto in quel particolare contesto geografico per via della propria attività, spesso pluriennale, nei movimenti locali. Il caso di Accorinti non è certo isolato sempre per fare un solo esempio. In genere questi tentativi fatti dalla sinistra isituzionale (Sel e Rifondazione) hanno un percorso polemico che non raramente finisce male, con il "movimentista" di turno che denuncia le intollerabili pratiche partitiche.
Prima o poi su questo "rapporto" magari si torna, quello che qui mi preme è sottolineare come qualcosa esista. A livello europeo le cose vanno persino "meglio" e in fondo sia Syriza, ma soprattutto Podemos, non esisterebbero senza i loro movimenti locali. Questo significa essere ottimisti? Mah, la ricomposizione di queste esperienze variegate non sembra semplicissima e il trasformare queste esperienze in pratiche in grado di incidere profondamente nelle decisioni "importanti" (altro discorso molto lungo) non mi pare proprio a portata di mano. L'ottimismo che "rimproveravo" a Palazzotto è quello di credere che il recupero di una dimensione nazionale di lotta sia un'orizzonte a cui tendere. Del resto anche nella replica Marco ribadisce che in fondo a Syriza e Podemos è bastato poco tempo. Qui, ancora, si apre un'altra voragine che è relativa alla valutazione di queste due esperienze. Ogni giorno che passa, purtroppo, Syriza sembra proprio dimostrare "a contrario" quali sono gli approdi di questa "strategia". E su Podemos si addensano nubi molto fosche. È chiaro che nessuno può seriamente pensare che la propria interpretazione sia quella sicuramente vera, ma la sensazione è che questa interpretazione finisca col condizionare l'attività politica dei vari gruppi. Se si pensa - semplifico - che si debba replicare Syriza (o Podemos) si agirà come Marco indica. Se si pensa che queste esperienze siano invece indicative di come non sia questa la strada da percorrere e che un buon risultato elettorale non serva praticamente a niente allora si cercherà di ripensare le proprie strategie. Certo, in questo periodo la cosa più semplice di tutte è fare le cassandre. Però tante generose forze non dovrebbero essere disperse, per esempio, nella ricerca di strategie unificanti. Questa illusione dell'accordarsi su due-tre punti è appunto un'illusione, perché la politica non è fatta di due-tre punti. E i mezzi, dovremmo saperlo, sviliscono i fini: se faccio accordi col diavolo è illusorio (e vagamente presuntuoso) ritenere di uscirne immacolati. Purtroppo la retorica della "contaminazione" - santa e giusta all'inizio - ha fatto danni enormi a sinistra. Fare autocritica non significa certo pensare che ci siano delle buone ragioni anche nelle orribili posizioni destrorse del Pd per esempio. Ma, ancora, questo è tema di altre discussioni. Finisco con i "fraintendimenti". La precisazione di Marco non mi convince tanto. Lui scriveva di un "capitalismo ancora legato a dispositivi statuali", qui ribadisce che "utilizza istituzioni di governo" immagino nazionali. Mi viene da pensare che il capitalismo, mi pare di ricordare, sia in grado perfettamente di costruire i meccanismi che gli servono piuttosto che - come pare di poter interpretare - utilizzare quelli che trova. E che sono stati, appunto, del tutto svuotati. Ne deduco che
forse in effetti non capisco bene cosa allora voglia dire. Chiudo con la battuta: o nichilista o ottimista no? Se poi il problema è la "linea" mah, a me pare già una gran cosa provare a togliere incrostazioni, posto che ci si riesca. E poi sarebbe troppo facile ribaltare l'accusa: qual è il piano che porta alla " costruzione di un soggetto che possa far tesoro delle esperienze"?
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