
IN TEORIA
SUBPRIME E COVID 19
Le due grandi crisi dell'economia del debito
(seconda parte)
di Giordano Sivini 04 agosto 2020
SUBPRIME E COVID 19
Le due grandi crisi dell'economia del debito
(seconda parte)
di Giordano Sivini 04 agosto 2020
(la prima parte la trovate a questo link)
Il grande lockdown
La diffusione del covid 19 è partita dalla città di Wuhan, nella provincia cinese dello Hubei, area di grande sviluppo industriale (metallurgia, automobile, chimica, tessile, navale ed elettronica), le cui attività si sono bloccate nel mese di gennaio. Nella provincia hanno la sede centrale 17 mila società. A febbraio il blocco si è esteso a 24 provincie della Cina in cui si produce più del 20 per cento del PIL nazionale e il 90 per cento delle esportazioni. C’è una fitta rete di piccole imprese, per il 70 per cento con meno di 10 dipendenti e un altro 20 per cento tra 10 e 100. Alcune producono per il mercato interno, ma in gran parte sono fornitori diretti o di primo livello di 50 mila società operanti nel mondo - soprattutto Stati Uniti, Giappone, Germania e Svizzera - e fornitori di livello più basso di circa altri cinque milioni[1].
Il blocco della produzione e del mercato cinese ha avuto effetti negativi sulle attività degli altri Stati prima che questi, grossomodo a partire da marzo, decidessero a loro volta la sospensione delle attività non essenziali, mentre la Cina già affrontava le conseguenze del blocco delle proprie supply chains; con il governo alla ricerca di fonti alternative di approvvigionamento, e impegnato anche ad offrire sostegno a quelle di esportazione[2].
Il paese aveva già sperimentato, nella grande recessione, il blocco delle supply-chains, meno pesante e tuttavia più generalizzato negli effetti, dal momento che è recente la tendenza alla ristrutturazione su basi regionali di una parte delle relazioni di fornitura, entro le aree del Nafta, dell’Europa e dell’Asia Orientale, con centri rispettivamente negli Stati Uniti, in Cina, Giappone, Corea, e in Germania[3].
Dalla grande recessione il paese era uscito rafforzato rispetto alle altre economie del globo, che avevano subìto la recessione in maniera più massiccia. Nel 2009 la Cina era cresciuta dell’8 per cento, e un anno dopo, superato il Giappone, era diventata la seconda economia del mondo. L’uscita dalla crisi attuale potrebbe avere conseguenze analoghe. Per il 2020 la Banca mondiale stima una sua crescita dell’1 per cento, molto più bassa degli anni precedenti, che tuttavia va messa a confronto con il meno 6 per cento degli Stati Uniti.
Dalla Cina è partito il processo che, sviluppandosi nel mondo globalizzato, ha bloccato il circuito produttivo, intaccando il flusso di rendimenti che, partendo dai sottostanti, alimenta i titoli, e privando temporaneamente il capitale produttivo di interesse della possibilità di erogare crediti e il capitale produttivo di merce di erogare rendimenti. Il blocco ha prodotto per gli Stati Uniti conseguenze sintetizzate da questi indicatori: Pil – 5,0 per cento, disoccupazione 14,7, commercio al dettaglio – 16,4, produzione industriale -11,2, prezzo delle abitazioni – 30,2.
Stando ad alcune analisi, il covid 19 ha solo anticipato l’emergenza di una crisi che avrebbe potuto essere prodotta dallo scoppio di una bolla finanziaria globale, negli anni recenti sempre più spesso evocata. “Le bolle speculative su credito e equity che circolavano nel sistema attendevano una miccia per esplodere e la crisi finanziaria sarebbe arrivata comunque, anche solo per una semplice recessione. Se si continua ad insistere nell’attribuire a un virus, e cioè a un fattore esterno, il motivo della crisi che ci attende, si continua a negare l’evidenza di un modello finanziario ed economico che funziona solo con eccesso di leva, compressione dei redditi, ampio debito speculativo e pochi investimenti nell’economia reale, un modello che non è sostenibile”[4]. Il PIL non cresce, e cresce invece il debito. “perché una parte rilevante di questo nuovo debito serve per fare finanza (leverage) e non per fare investimenti nell’economia”[5].
Dal 2009 il valore dei titoli obbligazionari delle società quotate in borsa è triplicato, e ne è aumentato il rischio. Non di rado l’indebitamento è servito al riacquisto dei propri titoli azionari, per realizzare l’estremo tentativo di sostenere una redditività non raggiunta con profitti operativi, praticamente fermi da 5 anni[6]. Il credito veniva non dalle banche ma dagli investitori istituzionali frustrati dal calo quasi a zero degli interessi dei titoli di Stato, causato dalla liquidità elargita dalle Banche centrali anche dopo la fine della grande recessione. Prima dell’arrivo del covid “il 22 per cento del debito societario non finanziario comprende obbligazioni spazzatura emesse a fini speculativi e un altro 40 per cento è classificato BBB, solo una tacca sopra la spazzatura. In altre parole, quasi i due terzi delle obbligazioni provengono da società ad alto rischio di insolvenza”[7].
Nella crisi del lockdown lo Stato si è fatto carico di questa situazione. “Così facendo - osserva Valsania, già consigliere economico di Obama - ha prevenuto che una crisi economica si trasformasse in crisi finanziaria e ha significativamente difeso la stabilità del mercato del credito”[8]. Sono stati attivati programmi per sostenere le imprese in difficoltà, offrendo direttamente credito per riattivare i flussi di rendimenti sottoposti a rischio e di sostenere le attività. Uno spostamento di rotta significativo, rispetto alla grande recessione che aveva puntato sulla riattivazione del sistema bancario come mediatore della liquidità necessaria per riavviare il credito.
Questa volta alle banche è stata attribuita la funzione di incubatrici del credito che Federal Reserve e Tesoro avrebbero erogato o garantito direttamente alle imprese. Nel 2019 la Federal Reserve era dovuta intervenire, con prestiti e iniezioni di liquidità, per riattivare le relazioni interbancario minacciate da insolvenza. Col lockdown la centralità dell’intervento dello Stato si è spostata dalle banche alla Borsa, per proteggere le relazioni tra attività sottostanti e flussi di rendimenti puntualmente identificabili. Su questo terreno la Federal Reserve e il Tesoro gestiscono 6.800 miliardi di dollari, equivalenti al 31,7 per cento del Pil annuo degli Stati Uniti.
La Federal Reserve tiene a zero il tasso di interesse, facilita l’accesso al credito delle banche, sostiene il movimento dei flussi di credito, e rilancia il quantitative easing con acquisti dalle banche per 1.143 miliardi di dollari nelle due settimane a cavallo tra marzo e aprile (801miliardi di titoli del Tesoro e 302 di titoli derivati), in seguito progressivamente ridotti. In quei due mesi monetizza il cento per cento del debito legato all’emissione di titoli del Tesoro[9].
Il sostegno alle imprese in difficoltà consiste in contributi al fondo perduto alle piccole imprese, nell’acquisto in Borsa di quote azionarie e obbligazionarie, di garanzie sul debito e in credito agevolato.
I contributi a fondo perduto erogati dal Tesoro sono previsti dal Paycheck Protection Program, che ha una dotazione di 669 miliardi di dollari sui 2.350 stanziati a fine marzo dal Congresso con il Cares Act e di altri 494 il mese successivo. Copre nella totalità i prestiti bancari ottenuti da imprese in attività con non più di 500 dipendenti per far fronte ai costi diretti e indiretti di otto settimane di salari. Ne hanno beneficiato cinque milioni di imprese. Per le compagnie aereonautiche e per la Boeing sono riservati invece 46 miliardi a fronte di partecipazioni, vincoli sull’utilizzazione dei fondi e licenziamenti limitati al 10 per cento dei dipendenti.
L’acquisto in Borsa di titoli azionari e obbligazionari è stato annunciato dalla Federal Reserve il 23 marzo per ridare fiducia alla Borsa, dopo un mese di andamenti incerti seguiti al crollo del 20 febbraio. La Banca centrale agirà sul mercato primario e su quello secondario, mettendo al sicuro tutti i titoli in difficoltà. È la salvezza per i fallen angels, come Carnival. Kraft, Heinz, Ford, Hertz, i cui debiti potranno essere garantiti dalla Banca centrale.
Il messaggio è chiaro e nei mesi successivi la Borsa cresce. “Quale crisi?”, si domanda il New York Times, osservando che nel trimestre del covid l’indice S&P 500, che rappresenta bene il mercato borsistico, è cresciuto del 20 per cento, l’aumento trimestrale più alto dal 1998. L’indice Nasdaq sta inoltre puntando su un guadagno che su base annuale sarebbe tra i migliori degli ultimi due decenni. Non c’è dubbio che sia stata la Federal Reserve, rassicurando gli investitori, a preparare il terreno per questa carica speculativa. Ma 200 società del S&P 500 hanno difficoltà a fornire previsioni agli azionisti; il Nasdaq è del tutto sconnesso dai fondamentali, centinaia di imprese hanno dichiarato bancarotta. Potrebbe prospettarsi una crisi come quella Dot-Com[10]. Ci sono però 5 giganti che trascinano la Borsa: Apple, Microsoft, Amazon, Alphabet e Facebook. Fin dal gennaio 2018 il mercato azionario “è diventato totalmente dipendente da essi con una immensa concentrazione di potere che adesso si trova in una situazione di sicurezza normativa”[11].
La Federal Reserve dovrebbe limitarsi per legge a trattare titoli di Stato o coperti da garanzie governative. Supera però l’ostacolo agendo attraverso società appositamente costituite dal Tesoro, a cui affida i propri fondi per erogare crediti o acquistare titoli che a fine programma verranno reimmessi sul mercato. Queste soluzioni sono autorizzate dal Dodd-Frank Act, che dopo la grande recessione ha emendato l’articolo 13 paragrafo 3 del Federal Reserve Act del 1913: vengono appunto definite thireen three facilities.
Il Tesoro a questo fine dispone di 500 miliardi avuti dal Congresso. Investe 75 miliardi nei programmi Primary and Secondary Market Corporate Credit Facilities per la costituzione di due società che gestiranno 750 miliardi della Federal Reserve per gli acquisti in Borsa. La gestione delle società è affidata a BlackRock Financial Market Advisory, che si presenta così sul web: “Sfrutta i dati di BlackRock, le sue capacità di analisi dei rischi, la tecnologia e i modelli finanziari, mantenendo al contempo barriere informative rigorose e altre procedure per gestire i potenziali conflitti di interesse”.
BlackRock è la più grande società d’investimento al mondo, e gestisce un patrimonio di 6.3 mila miliardi di dollari, È azionista di peso di grandi banche e di imprese in molti paesi, e interviene nelle loro assemblee. La sua fortuna viene dagli ETF (Exchanged Traded Funds), fondi di investimento passivi negoziati in borsa, costituiti da indici compositi di titoli azionari e obbligazionari il cui rendimento complessivo proviene dai loro sottostanti. Gli ETF sono tra i titoli di cui la Federal Reserve prevede l’acquisto; l’annuncio ha contribuito ad attirare in aprile sugli ETF di Blackrock un flusso di investimenti di quasi 4 miliardi di dollari[12].
Per facilitare il credito alle piccole e medie imprese in difficoltà con meno di 15 mila dipendenti la Federal Reserve interviene invece con il Main Street Lending Program. Il Tesoro investe 75 miliardi nella costituzione di una società che con 600 miliardi della Federal Reserve acquista dalle banche il ’95 per cento di crediti quadriennali erogati anche senza garanzie. La parte restante resta a carico delle banche, che, assieme al Tesoro, alla maturazione del debito saranno responsabili di eventuali perdite.
Un’altra società è creata dal Tesoro con 10 miliardi di dollari per implementare la cartolarizzazione. Con 100 miliardi della Federal Reserve, acquista titoli derivati dalle imprese che li producono cartolarizzando mutui e prestiti entro un elenco che spazia dall’acquisto dell’automobile, alle carte di credito, ai beni di consumo. L’obiettivo enunciato è di facilitare l’indebitamento di persone e famiglie, facilitando la cartolarizzazione dei loro debiti.
Non manca dunque la fantasia nell’allestimento e nell’implementazione dei programmi congiunti del Tesoro e della Federal Reserve che sono più di quelli qui citati. Su Bloomberg un analista finanziario osserva: “La Fed sta dando al Tesoro l'accesso alla sua macchina da stampa. In ultima analisi, ciò significa che l'Amministrazione sarà libera di esercitare il proprio controllo, non quello della Fed, su queste società, incaricandola di stampare sempre più denaro in modo da poter acquistare titoli e distribuire prestiti, nel tentativo di spingere in alto i mercati finanziari in periodo di elezioni”[13].
Segretario al Tesoro è Steven T. Mnuchin, “un lupo di Wall Street impigliato in vari scandali finanziari”, secondo Philip Mirowski, un economista statunitense[14]. Mnuchin è stato promotore di un fondo di investimento assieme a Soros, produttore a Hollywood di Avatar e Suicide Squad, sostenitore finanziario del partito democratico. È approdato al Tesoro dopo aver diretto la campagna finanziaria di Trump. “È il tipo di persona che riutilizzerà il denaro messo a disposizione dalla Banca centrale per riorganizzare l'economia come preferisce. Se Mnuchin poteva avere dubbi su ciò che stava facendo nel 2008 - allora era in Goldman Sachs - è ovvio che ora è pienamente consapevole degli abusi che sta commettendo”, aggiunge Mirowski[15]. Secondo Robert Brenner, col Tesoro e la Federal Reserve si realizza una “intensificazione della predazione politica”[16]
Il credito al consumo costituiva, prima del covid, il driver dell’economia[17] che gonfiava una bolla. Su questo fronte lo Stato non ha previsto interventi mirati, limitandosi alla erogazione di contributi. Con il Cares Aid sono stati stanziati 293 miliardi per l’erogazione di 1.200 dollari più 500 per ogni figlio a carico a ottanta milioni di persone di basso e medio reddito; altri 268 miliardi per dare 600 dollari a settimana per quattro mesi a trenta milioni di disoccupati, oltre ai contributi di disoccupazione. Si aggiungono alcune facilitazioni fiscali, 25 miliardi buoni alimentari per gli indigenti, moratoria (se i creditori sono d’accordo) sulle scadenze dei debiti, che rinvia di pochi mesi la crisi dei derivati che li hanno cartolarizzati. Niente che apra una prospettiva. “È chiaro che, più tempo ci vorrà per sviluppare e distribuire vaccini e cure efficaci, più grande sarà la montagna di debito non pagato con carta di credito, affitti, impegni ipotecari e altri conti che emergeranno”[18]. Ma la tempistica è stata definita dai repubblicani che controllano il Senato, e non vogliono interferenze sul mercato del lavoro.
Conclusioni
Nella grande recessione il discorso pubblico era concentrato sulla liquidità dei titoli e la solvibilità delle banche. I rendimenti si alimentavano del valore espropriato alle famiglie che avevano impegnato le case e i salari futuri. La soluzione non riguardò queste attività sottostanti, bensì i titoli per ritirali temporaneamente dal circuito finanziario fin quando fossero diventati liquidi, di compensare le banche per questi ritiri, e risanare i loro bilanci. La liquidità immessa dallo Stato restò in parte all’interno del circuito finanziario, in parte servì ad alimentare l’indebitamento privato.
Nel grande lockdown il discorso pubblico è concentrato su debito e sulle difficoltà delle attività sottostanti di farvi fronte, a causa del fermo delle imprese. La soluzione è di intervenire per garantirle nell’erogazione dei rendimenti e nell’accesso al credito per sostenere la ripresa. La liquidità immessa a piene mani nel circuito produttivo sta gonfiando la Borsa, immunizzata dai disastrosi eventi sociali e produttivi.
Le banche invece sono fuori gioco; non sanno più chi è degno di credito. Le tre agenzie che classificano i consumatori sulla base dell’affidabilità creditizia non sono in grado di contabilizzare gli oltre 4 milioni di pagamenti rinviati. Le banche non conoscono i propri clienti, essendosi affidate all’algoritmo, che definisce il punteggio di credito, sufficiente per valutare i rischi formali dei derivati. La Federal Reserve ha affermato che una prolungata recessione potrebbero subire perdite fino a 700 miliardi di dollari.
In Borsa le imprese sono rappresentate da titoli di debito che esse stesse devono remunerare con i rendimenti sottratti ai loro profitti. Se riescono a farlo possono riprendere ad estrarre valore da quello che già incorporano o dal plusvalore che ancora producono, per trasferirlo agli investitori che hanno in mano i titoli avendo erogato il credito.
Questo orizzonte è segnato dalla riduzione irreversibile della valorizzazione e dalla incessante espropriazione di ricchezza sociale che alimenta la crescita economica basata sul debito. Ma, in Borsa come in banca, il movimento procede sul breve periodo con la crescita fittizia che la speculazione riesce a realizzare puntando al rialzo dei prezzi dei titoli e sulle plusvalenze, che Federal Reserve e Tesoro stimolano nel lockdown.
Nella grande recessione questa crescita aveva già mostrato la corda con lo scoppio della grande bolla e la generale svalorizzazione. Prima dell’arrivo dei covid era stata prevista una nuova bolla, che potrà riproporsi al termine della breve moratoria sui pagamenti dei rendimenti dei nuovi titoli cartolarizzati basati sul debito delle famiglie. Ma una nuova, gonfiata dallo Stato, sta maturando in Borsa, e le banche, qui declassate ad imprese, attribuiscono al Volker rule lo spostamento di campo della speculazione.
Lo Stato, più rapido e alacre di prima, nel grande lockdown si espone finanziariamente senza limiti poiché la distribuzione di liquidità, ovunque sia politicamente conveniente, è l’unica strategia di cui dispone nell’economia del debito. Consente alle attività sottostanti di indebitarsi per far fronte ai rendimenti dei debiti già pendenti, e colma le aspettative dei possessori di titoli in quanto creditori.
Con le due grandi crisi diventa anacronistica la rappresentazione della Banca Centrale dome espressione della sovranità del denaro, che le era stata attribuita nella società del valore. Il Congresso ne ha allargato le funzioni, in una sorta di connubio con il Tesoro che consente alla politica monetaria di intrecciarsi con la politica fiscale, e allo Stato di contare su una illimitata potenza di intervento.
In entrambe le crisi la Federal Reserve ha monetizzato integralmente la spesa straordinaria decisa dal Congresso, acquistando dalle banche i titoli del Tesoro. I rendimenti che lo Stato paga vanno alla Federal Reserve e sono girati al Tesoro fin quando i titoli si estinguono. Questo, pur detto sommariamente, indica che il livello di dipendenza dello Stato dagli investitori è un problema politico se Tesoro e Banca centrale cooperano entro la stessa sfera di sovranità[19].
Quel che avviene negli Stati Uniti con la seconda grande crisi dell’economia del debito accelera la transizione egemonica che Giovanni Arrighi aveva preannunciato all’inizio della prima grande crisi[20]. Lo rileva con chiarezza Maurizio Novelli su Milano Finanza. “Mentre tutti si scannano per comprare un mercato ormai sostenuto solo dalla FED, dall’altra parte del mondo si aprono spazi di manovra che non dipendono solo da quanto QE fanno le Banche Centrali, ma dalla capacità di creare nuova domanda per consumi e investimenti in un potenziale mercato di oltre 3 miliardi di consumatori. La Cina si prepara a gestire il decoupling dall’economia americana e ad abbandonare il dollaro al suo destino”[21].
[1] Dun&Bradstreet, Business and Supply Chain Analysis Due to the Coronavirus Outbreak, Special briefing 5 febbraio 2020.
[2] Fondazione Italia-Cina, Instant Analisys, 28 febbraio 2020.
[3] Baldwin R., Freeman R., Supply chain contagion waves, VOX CEPR Policy Portal,1 aprile 2020.
[4] Novelli M., La crisi? Inizierà a settembre. E assomiglia purtroppo al 1929, Milano Finanza, 10 giugno 2020.
[5] Ivi.
[6] Novelli M., Perché il sistema capitalistico è praticamente morto, Milano Finanza, 5 maggio 2020.
[7] Lund S., Are we in a corporate debt bubble?, Project sindacate, 21 giugno 2018.
[8] Valsania M., L’ex consigliere economico di Obama: come risollevare gli Usa dalla crisi del virus, Sole 24 Ore, 20 maggio 2020.
[9] Richter W., Who Bought this Huge Pile of US Government Debt? Wolf Street, 16 giugno 2020.
[10] Ponczec S., Wang L., Blistering Nasdaq Momentus Is Approaching Dot-Com Escape Speed, Bloomberg, 2 luglio 2020.
[11] Richter W., Wild Ride Nowhere, Woolf Street, 11 luglio 2020.
[12] Dorn J.A., The Fed’s Corporate Lending Facilities: A Case of Pseudo Markets, Cato Institute, 26, 13 giugno 2020.
[13] Brown E.H., Hanno nazionalizzato la Federal Reserve?. Tlaxcala, 7 giugno 2020.
[14] Celnik N., L’après ne sera pas favorable à une société de gauche, Liberation, 28 aprile 2020.
[15] Ivi.
[16] Brenner R., Escalating plunder, New Left Review, 123, maggio-giugno 2020.
[17] Novell M., Crisi del debito, cresscita economica e crisi finanziarie, Milano, Sole 24 Ore, 2019, pp. 66-7.
[18] Kane E.J., The Good, the Bad, and the Ugly About the Fed’s New Credit AllocationPolicy, Institute for Economic Thinking website, 30 giugno 2020.
[19] Tankus N., The Federal Government Always Money-Finances Its Spending: A Restatement, Notes on the crisis, 30 giugno 2020.
[20] Arrighi G., Adam Smith a Pechino, Milano, Feltrinelli, 2008.
[21] Novelli M., Perché è il momento di vendere USA allo scoperto, Milano Finanza, 3 luglio 2020.
Il grande lockdown
La diffusione del covid 19 è partita dalla città di Wuhan, nella provincia cinese dello Hubei, area di grande sviluppo industriale (metallurgia, automobile, chimica, tessile, navale ed elettronica), le cui attività si sono bloccate nel mese di gennaio. Nella provincia hanno la sede centrale 17 mila società. A febbraio il blocco si è esteso a 24 provincie della Cina in cui si produce più del 20 per cento del PIL nazionale e il 90 per cento delle esportazioni. C’è una fitta rete di piccole imprese, per il 70 per cento con meno di 10 dipendenti e un altro 20 per cento tra 10 e 100. Alcune producono per il mercato interno, ma in gran parte sono fornitori diretti o di primo livello di 50 mila società operanti nel mondo - soprattutto Stati Uniti, Giappone, Germania e Svizzera - e fornitori di livello più basso di circa altri cinque milioni[1].
Il blocco della produzione e del mercato cinese ha avuto effetti negativi sulle attività degli altri Stati prima che questi, grossomodo a partire da marzo, decidessero a loro volta la sospensione delle attività non essenziali, mentre la Cina già affrontava le conseguenze del blocco delle proprie supply chains; con il governo alla ricerca di fonti alternative di approvvigionamento, e impegnato anche ad offrire sostegno a quelle di esportazione[2].
Il paese aveva già sperimentato, nella grande recessione, il blocco delle supply-chains, meno pesante e tuttavia più generalizzato negli effetti, dal momento che è recente la tendenza alla ristrutturazione su basi regionali di una parte delle relazioni di fornitura, entro le aree del Nafta, dell’Europa e dell’Asia Orientale, con centri rispettivamente negli Stati Uniti, in Cina, Giappone, Corea, e in Germania[3].
Dalla grande recessione il paese era uscito rafforzato rispetto alle altre economie del globo, che avevano subìto la recessione in maniera più massiccia. Nel 2009 la Cina era cresciuta dell’8 per cento, e un anno dopo, superato il Giappone, era diventata la seconda economia del mondo. L’uscita dalla crisi attuale potrebbe avere conseguenze analoghe. Per il 2020 la Banca mondiale stima una sua crescita dell’1 per cento, molto più bassa degli anni precedenti, che tuttavia va messa a confronto con il meno 6 per cento degli Stati Uniti.
Dalla Cina è partito il processo che, sviluppandosi nel mondo globalizzato, ha bloccato il circuito produttivo, intaccando il flusso di rendimenti che, partendo dai sottostanti, alimenta i titoli, e privando temporaneamente il capitale produttivo di interesse della possibilità di erogare crediti e il capitale produttivo di merce di erogare rendimenti. Il blocco ha prodotto per gli Stati Uniti conseguenze sintetizzate da questi indicatori: Pil – 5,0 per cento, disoccupazione 14,7, commercio al dettaglio – 16,4, produzione industriale -11,2, prezzo delle abitazioni – 30,2.
Stando ad alcune analisi, il covid 19 ha solo anticipato l’emergenza di una crisi che avrebbe potuto essere prodotta dallo scoppio di una bolla finanziaria globale, negli anni recenti sempre più spesso evocata. “Le bolle speculative su credito e equity che circolavano nel sistema attendevano una miccia per esplodere e la crisi finanziaria sarebbe arrivata comunque, anche solo per una semplice recessione. Se si continua ad insistere nell’attribuire a un virus, e cioè a un fattore esterno, il motivo della crisi che ci attende, si continua a negare l’evidenza di un modello finanziario ed economico che funziona solo con eccesso di leva, compressione dei redditi, ampio debito speculativo e pochi investimenti nell’economia reale, un modello che non è sostenibile”[4]. Il PIL non cresce, e cresce invece il debito. “perché una parte rilevante di questo nuovo debito serve per fare finanza (leverage) e non per fare investimenti nell’economia”[5].
Dal 2009 il valore dei titoli obbligazionari delle società quotate in borsa è triplicato, e ne è aumentato il rischio. Non di rado l’indebitamento è servito al riacquisto dei propri titoli azionari, per realizzare l’estremo tentativo di sostenere una redditività non raggiunta con profitti operativi, praticamente fermi da 5 anni[6]. Il credito veniva non dalle banche ma dagli investitori istituzionali frustrati dal calo quasi a zero degli interessi dei titoli di Stato, causato dalla liquidità elargita dalle Banche centrali anche dopo la fine della grande recessione. Prima dell’arrivo del covid “il 22 per cento del debito societario non finanziario comprende obbligazioni spazzatura emesse a fini speculativi e un altro 40 per cento è classificato BBB, solo una tacca sopra la spazzatura. In altre parole, quasi i due terzi delle obbligazioni provengono da società ad alto rischio di insolvenza”[7].
Nella crisi del lockdown lo Stato si è fatto carico di questa situazione. “Così facendo - osserva Valsania, già consigliere economico di Obama - ha prevenuto che una crisi economica si trasformasse in crisi finanziaria e ha significativamente difeso la stabilità del mercato del credito”[8]. Sono stati attivati programmi per sostenere le imprese in difficoltà, offrendo direttamente credito per riattivare i flussi di rendimenti sottoposti a rischio e di sostenere le attività. Uno spostamento di rotta significativo, rispetto alla grande recessione che aveva puntato sulla riattivazione del sistema bancario come mediatore della liquidità necessaria per riavviare il credito.
Questa volta alle banche è stata attribuita la funzione di incubatrici del credito che Federal Reserve e Tesoro avrebbero erogato o garantito direttamente alle imprese. Nel 2019 la Federal Reserve era dovuta intervenire, con prestiti e iniezioni di liquidità, per riattivare le relazioni interbancario minacciate da insolvenza. Col lockdown la centralità dell’intervento dello Stato si è spostata dalle banche alla Borsa, per proteggere le relazioni tra attività sottostanti e flussi di rendimenti puntualmente identificabili. Su questo terreno la Federal Reserve e il Tesoro gestiscono 6.800 miliardi di dollari, equivalenti al 31,7 per cento del Pil annuo degli Stati Uniti.
La Federal Reserve tiene a zero il tasso di interesse, facilita l’accesso al credito delle banche, sostiene il movimento dei flussi di credito, e rilancia il quantitative easing con acquisti dalle banche per 1.143 miliardi di dollari nelle due settimane a cavallo tra marzo e aprile (801miliardi di titoli del Tesoro e 302 di titoli derivati), in seguito progressivamente ridotti. In quei due mesi monetizza il cento per cento del debito legato all’emissione di titoli del Tesoro[9].
Il sostegno alle imprese in difficoltà consiste in contributi al fondo perduto alle piccole imprese, nell’acquisto in Borsa di quote azionarie e obbligazionarie, di garanzie sul debito e in credito agevolato.
I contributi a fondo perduto erogati dal Tesoro sono previsti dal Paycheck Protection Program, che ha una dotazione di 669 miliardi di dollari sui 2.350 stanziati a fine marzo dal Congresso con il Cares Act e di altri 494 il mese successivo. Copre nella totalità i prestiti bancari ottenuti da imprese in attività con non più di 500 dipendenti per far fronte ai costi diretti e indiretti di otto settimane di salari. Ne hanno beneficiato cinque milioni di imprese. Per le compagnie aereonautiche e per la Boeing sono riservati invece 46 miliardi a fronte di partecipazioni, vincoli sull’utilizzazione dei fondi e licenziamenti limitati al 10 per cento dei dipendenti.
L’acquisto in Borsa di titoli azionari e obbligazionari è stato annunciato dalla Federal Reserve il 23 marzo per ridare fiducia alla Borsa, dopo un mese di andamenti incerti seguiti al crollo del 20 febbraio. La Banca centrale agirà sul mercato primario e su quello secondario, mettendo al sicuro tutti i titoli in difficoltà. È la salvezza per i fallen angels, come Carnival. Kraft, Heinz, Ford, Hertz, i cui debiti potranno essere garantiti dalla Banca centrale.
Il messaggio è chiaro e nei mesi successivi la Borsa cresce. “Quale crisi?”, si domanda il New York Times, osservando che nel trimestre del covid l’indice S&P 500, che rappresenta bene il mercato borsistico, è cresciuto del 20 per cento, l’aumento trimestrale più alto dal 1998. L’indice Nasdaq sta inoltre puntando su un guadagno che su base annuale sarebbe tra i migliori degli ultimi due decenni. Non c’è dubbio che sia stata la Federal Reserve, rassicurando gli investitori, a preparare il terreno per questa carica speculativa. Ma 200 società del S&P 500 hanno difficoltà a fornire previsioni agli azionisti; il Nasdaq è del tutto sconnesso dai fondamentali, centinaia di imprese hanno dichiarato bancarotta. Potrebbe prospettarsi una crisi come quella Dot-Com[10]. Ci sono però 5 giganti che trascinano la Borsa: Apple, Microsoft, Amazon, Alphabet e Facebook. Fin dal gennaio 2018 il mercato azionario “è diventato totalmente dipendente da essi con una immensa concentrazione di potere che adesso si trova in una situazione di sicurezza normativa”[11].
La Federal Reserve dovrebbe limitarsi per legge a trattare titoli di Stato o coperti da garanzie governative. Supera però l’ostacolo agendo attraverso società appositamente costituite dal Tesoro, a cui affida i propri fondi per erogare crediti o acquistare titoli che a fine programma verranno reimmessi sul mercato. Queste soluzioni sono autorizzate dal Dodd-Frank Act, che dopo la grande recessione ha emendato l’articolo 13 paragrafo 3 del Federal Reserve Act del 1913: vengono appunto definite thireen three facilities.
Il Tesoro a questo fine dispone di 500 miliardi avuti dal Congresso. Investe 75 miliardi nei programmi Primary and Secondary Market Corporate Credit Facilities per la costituzione di due società che gestiranno 750 miliardi della Federal Reserve per gli acquisti in Borsa. La gestione delle società è affidata a BlackRock Financial Market Advisory, che si presenta così sul web: “Sfrutta i dati di BlackRock, le sue capacità di analisi dei rischi, la tecnologia e i modelli finanziari, mantenendo al contempo barriere informative rigorose e altre procedure per gestire i potenziali conflitti di interesse”.
BlackRock è la più grande società d’investimento al mondo, e gestisce un patrimonio di 6.3 mila miliardi di dollari, È azionista di peso di grandi banche e di imprese in molti paesi, e interviene nelle loro assemblee. La sua fortuna viene dagli ETF (Exchanged Traded Funds), fondi di investimento passivi negoziati in borsa, costituiti da indici compositi di titoli azionari e obbligazionari il cui rendimento complessivo proviene dai loro sottostanti. Gli ETF sono tra i titoli di cui la Federal Reserve prevede l’acquisto; l’annuncio ha contribuito ad attirare in aprile sugli ETF di Blackrock un flusso di investimenti di quasi 4 miliardi di dollari[12].
Per facilitare il credito alle piccole e medie imprese in difficoltà con meno di 15 mila dipendenti la Federal Reserve interviene invece con il Main Street Lending Program. Il Tesoro investe 75 miliardi nella costituzione di una società che con 600 miliardi della Federal Reserve acquista dalle banche il ’95 per cento di crediti quadriennali erogati anche senza garanzie. La parte restante resta a carico delle banche, che, assieme al Tesoro, alla maturazione del debito saranno responsabili di eventuali perdite.
Un’altra società è creata dal Tesoro con 10 miliardi di dollari per implementare la cartolarizzazione. Con 100 miliardi della Federal Reserve, acquista titoli derivati dalle imprese che li producono cartolarizzando mutui e prestiti entro un elenco che spazia dall’acquisto dell’automobile, alle carte di credito, ai beni di consumo. L’obiettivo enunciato è di facilitare l’indebitamento di persone e famiglie, facilitando la cartolarizzazione dei loro debiti.
Non manca dunque la fantasia nell’allestimento e nell’implementazione dei programmi congiunti del Tesoro e della Federal Reserve che sono più di quelli qui citati. Su Bloomberg un analista finanziario osserva: “La Fed sta dando al Tesoro l'accesso alla sua macchina da stampa. In ultima analisi, ciò significa che l'Amministrazione sarà libera di esercitare il proprio controllo, non quello della Fed, su queste società, incaricandola di stampare sempre più denaro in modo da poter acquistare titoli e distribuire prestiti, nel tentativo di spingere in alto i mercati finanziari in periodo di elezioni”[13].
Segretario al Tesoro è Steven T. Mnuchin, “un lupo di Wall Street impigliato in vari scandali finanziari”, secondo Philip Mirowski, un economista statunitense[14]. Mnuchin è stato promotore di un fondo di investimento assieme a Soros, produttore a Hollywood di Avatar e Suicide Squad, sostenitore finanziario del partito democratico. È approdato al Tesoro dopo aver diretto la campagna finanziaria di Trump. “È il tipo di persona che riutilizzerà il denaro messo a disposizione dalla Banca centrale per riorganizzare l'economia come preferisce. Se Mnuchin poteva avere dubbi su ciò che stava facendo nel 2008 - allora era in Goldman Sachs - è ovvio che ora è pienamente consapevole degli abusi che sta commettendo”, aggiunge Mirowski[15]. Secondo Robert Brenner, col Tesoro e la Federal Reserve si realizza una “intensificazione della predazione politica”[16]
Il credito al consumo costituiva, prima del covid, il driver dell’economia[17] che gonfiava una bolla. Su questo fronte lo Stato non ha previsto interventi mirati, limitandosi alla erogazione di contributi. Con il Cares Aid sono stati stanziati 293 miliardi per l’erogazione di 1.200 dollari più 500 per ogni figlio a carico a ottanta milioni di persone di basso e medio reddito; altri 268 miliardi per dare 600 dollari a settimana per quattro mesi a trenta milioni di disoccupati, oltre ai contributi di disoccupazione. Si aggiungono alcune facilitazioni fiscali, 25 miliardi buoni alimentari per gli indigenti, moratoria (se i creditori sono d’accordo) sulle scadenze dei debiti, che rinvia di pochi mesi la crisi dei derivati che li hanno cartolarizzati. Niente che apra una prospettiva. “È chiaro che, più tempo ci vorrà per sviluppare e distribuire vaccini e cure efficaci, più grande sarà la montagna di debito non pagato con carta di credito, affitti, impegni ipotecari e altri conti che emergeranno”[18]. Ma la tempistica è stata definita dai repubblicani che controllano il Senato, e non vogliono interferenze sul mercato del lavoro.
Conclusioni
Nella grande recessione il discorso pubblico era concentrato sulla liquidità dei titoli e la solvibilità delle banche. I rendimenti si alimentavano del valore espropriato alle famiglie che avevano impegnato le case e i salari futuri. La soluzione non riguardò queste attività sottostanti, bensì i titoli per ritirali temporaneamente dal circuito finanziario fin quando fossero diventati liquidi, di compensare le banche per questi ritiri, e risanare i loro bilanci. La liquidità immessa dallo Stato restò in parte all’interno del circuito finanziario, in parte servì ad alimentare l’indebitamento privato.
Nel grande lockdown il discorso pubblico è concentrato su debito e sulle difficoltà delle attività sottostanti di farvi fronte, a causa del fermo delle imprese. La soluzione è di intervenire per garantirle nell’erogazione dei rendimenti e nell’accesso al credito per sostenere la ripresa. La liquidità immessa a piene mani nel circuito produttivo sta gonfiando la Borsa, immunizzata dai disastrosi eventi sociali e produttivi.
Le banche invece sono fuori gioco; non sanno più chi è degno di credito. Le tre agenzie che classificano i consumatori sulla base dell’affidabilità creditizia non sono in grado di contabilizzare gli oltre 4 milioni di pagamenti rinviati. Le banche non conoscono i propri clienti, essendosi affidate all’algoritmo, che definisce il punteggio di credito, sufficiente per valutare i rischi formali dei derivati. La Federal Reserve ha affermato che una prolungata recessione potrebbero subire perdite fino a 700 miliardi di dollari.
In Borsa le imprese sono rappresentate da titoli di debito che esse stesse devono remunerare con i rendimenti sottratti ai loro profitti. Se riescono a farlo possono riprendere ad estrarre valore da quello che già incorporano o dal plusvalore che ancora producono, per trasferirlo agli investitori che hanno in mano i titoli avendo erogato il credito.
Questo orizzonte è segnato dalla riduzione irreversibile della valorizzazione e dalla incessante espropriazione di ricchezza sociale che alimenta la crescita economica basata sul debito. Ma, in Borsa come in banca, il movimento procede sul breve periodo con la crescita fittizia che la speculazione riesce a realizzare puntando al rialzo dei prezzi dei titoli e sulle plusvalenze, che Federal Reserve e Tesoro stimolano nel lockdown.
Nella grande recessione questa crescita aveva già mostrato la corda con lo scoppio della grande bolla e la generale svalorizzazione. Prima dell’arrivo dei covid era stata prevista una nuova bolla, che potrà riproporsi al termine della breve moratoria sui pagamenti dei rendimenti dei nuovi titoli cartolarizzati basati sul debito delle famiglie. Ma una nuova, gonfiata dallo Stato, sta maturando in Borsa, e le banche, qui declassate ad imprese, attribuiscono al Volker rule lo spostamento di campo della speculazione.
Lo Stato, più rapido e alacre di prima, nel grande lockdown si espone finanziariamente senza limiti poiché la distribuzione di liquidità, ovunque sia politicamente conveniente, è l’unica strategia di cui dispone nell’economia del debito. Consente alle attività sottostanti di indebitarsi per far fronte ai rendimenti dei debiti già pendenti, e colma le aspettative dei possessori di titoli in quanto creditori.
Con le due grandi crisi diventa anacronistica la rappresentazione della Banca Centrale dome espressione della sovranità del denaro, che le era stata attribuita nella società del valore. Il Congresso ne ha allargato le funzioni, in una sorta di connubio con il Tesoro che consente alla politica monetaria di intrecciarsi con la politica fiscale, e allo Stato di contare su una illimitata potenza di intervento.
In entrambe le crisi la Federal Reserve ha monetizzato integralmente la spesa straordinaria decisa dal Congresso, acquistando dalle banche i titoli del Tesoro. I rendimenti che lo Stato paga vanno alla Federal Reserve e sono girati al Tesoro fin quando i titoli si estinguono. Questo, pur detto sommariamente, indica che il livello di dipendenza dello Stato dagli investitori è un problema politico se Tesoro e Banca centrale cooperano entro la stessa sfera di sovranità[19].
Quel che avviene negli Stati Uniti con la seconda grande crisi dell’economia del debito accelera la transizione egemonica che Giovanni Arrighi aveva preannunciato all’inizio della prima grande crisi[20]. Lo rileva con chiarezza Maurizio Novelli su Milano Finanza. “Mentre tutti si scannano per comprare un mercato ormai sostenuto solo dalla FED, dall’altra parte del mondo si aprono spazi di manovra che non dipendono solo da quanto QE fanno le Banche Centrali, ma dalla capacità di creare nuova domanda per consumi e investimenti in un potenziale mercato di oltre 3 miliardi di consumatori. La Cina si prepara a gestire il decoupling dall’economia americana e ad abbandonare il dollaro al suo destino”[21].
[1] Dun&Bradstreet, Business and Supply Chain Analysis Due to the Coronavirus Outbreak, Special briefing 5 febbraio 2020.
[2] Fondazione Italia-Cina, Instant Analisys, 28 febbraio 2020.
[3] Baldwin R., Freeman R., Supply chain contagion waves, VOX CEPR Policy Portal,1 aprile 2020.
[4] Novelli M., La crisi? Inizierà a settembre. E assomiglia purtroppo al 1929, Milano Finanza, 10 giugno 2020.
[5] Ivi.
[6] Novelli M., Perché il sistema capitalistico è praticamente morto, Milano Finanza, 5 maggio 2020.
[7] Lund S., Are we in a corporate debt bubble?, Project sindacate, 21 giugno 2018.
[8] Valsania M., L’ex consigliere economico di Obama: come risollevare gli Usa dalla crisi del virus, Sole 24 Ore, 20 maggio 2020.
[9] Richter W., Who Bought this Huge Pile of US Government Debt? Wolf Street, 16 giugno 2020.
[10] Ponczec S., Wang L., Blistering Nasdaq Momentus Is Approaching Dot-Com Escape Speed, Bloomberg, 2 luglio 2020.
[11] Richter W., Wild Ride Nowhere, Woolf Street, 11 luglio 2020.
[12] Dorn J.A., The Fed’s Corporate Lending Facilities: A Case of Pseudo Markets, Cato Institute, 26, 13 giugno 2020.
[13] Brown E.H., Hanno nazionalizzato la Federal Reserve?. Tlaxcala, 7 giugno 2020.
[14] Celnik N., L’après ne sera pas favorable à une société de gauche, Liberation, 28 aprile 2020.
[15] Ivi.
[16] Brenner R., Escalating plunder, New Left Review, 123, maggio-giugno 2020.
[17] Novell M., Crisi del debito, cresscita economica e crisi finanziarie, Milano, Sole 24 Ore, 2019, pp. 66-7.
[18] Kane E.J., The Good, the Bad, and the Ugly About the Fed’s New Credit AllocationPolicy, Institute for Economic Thinking website, 30 giugno 2020.
[19] Tankus N., The Federal Government Always Money-Finances Its Spending: A Restatement, Notes on the crisis, 30 giugno 2020.
[20] Arrighi G., Adam Smith a Pechino, Milano, Feltrinelli, 2008.
[21] Novelli M., Perché è il momento di vendere USA allo scoperto, Milano Finanza, 3 luglio 2020.
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