
SO' BONI, SO' GRECI. LA VITTORIA DI SYRIZA E
DEL SUO LEADER
Scritto da Roberto Salerno 11 febbraio 2015
DEL SUO LEADER
Scritto da Roberto Salerno 11 febbraio 2015
La vittoria di Syriza e del suo leader, Alex Tsipras, ha prodotto una serie di reazioni in Italia che possono sommariamente essere raggruppate in due tipi.
La prima, diciamo quella ottimista, vuole che la vittoria del partito di sinistra greco sia uno dei primi passi per poter davvero cominciare a mutare il segno delle politiche d'austerità che nel corso di questi anni hanno decisamente aggravato la crisi dei vari paesi europei, circostanza che ormai praticamente nessuno si sogna più di smentire.
La seconda, diciamo quella pessimista, vuole al contrario che dalla vittoria di Tsipras non c'è da attendersi chissà quale mutamento, in quanto il programma di Syriza non solo non è "marxista" ma addirittura non mette neanche in discussione la moneta unica, per molti vera arma finale delle classi dominanti europee.
Ad attenuare l'entusiasmo o la depressione delle due posizioni, c'è nel primo caso, quello ottimista, la consapevolezza dell'enorme difficoltà che il nuovo governo greco potrà trovare nei rapporti con un UE ancora del tutto impermeabile alla possibilità di cambiare direzione alle proprie politiche. Per quanto possa aver tutte le migliori intenzioni, costoro riconoscono che all'interno delle condizioni date il rischio che le politiche perseguite da Syriza si attenuino è alto. Nel secondo caso i pessimisti sanno bene che considerato il quadro politico – anche locale - non si potesse fare poi tanto di più e che una posizione più radicale sarebbe andata incontro a una ulteriore sconfitta elettorale.
Qui proveremo a partire da considerazioni preliminari, dicendo magari sin da subito che stiamo più sul versante "pessimista" che in quello "ottimista" per poi provare a spiegare il perché si crede che non ci sia poi così tanto da sperare.
La prima considerazione preliminare è il "modo" con cui Syriza ha vinto le elezioni. In Grecia esiste un premio di maggioranza che consente a chi rappresenta il 22% circa dell'elettorato di avere un ampio margine parlamentare nei confronti di partiti che non hanno poi preso tanti voti in meno. La distanza tra Syriza e Nea Demokratia è stata di appena 8.5% (più bassa ancora se consideriamo l'astensione) ma in Parlamento Syriza ha 149 seggi a 76, praticamente il doppio. Che questo aspetto venga ricordato da chi si batte in tutti modi perché il PD riesca artificialmente ad ottenere una maggioranza trionfale alle prossime elezioni fa ovviamente ridere. Ma che a sinistra la questione venga rimossa e non venga neanche presa in considerazione è francamente sconcertante. Ma non tanto o non solo per questioni di semplice etica parlamentarista, se è consentito il termine. Quanto per le implicazioni che questo comporta. La prima delle quali è legata alla seconda considerazione preliminare, la lettura sociale del voto.
In pochi si illudono sul fatto che la vittoria di Syriza sia "strutturale". La società greca – e con essa la parte maggioritaria, ad essere ottimisti, dell'opinione pubblica europea - non ha improvvisamente cambiato segno. Non è diventata solidale, egualitaria, civile. Se ne deduce che la vittoria non è che alquanto episodica. Una congiuntura favorevole, provocata più che dall'abilità tattica o - non sia mai - dal lavoro profondo con le classi subalterne che Syriza ha fatto in Grecia, dall'intollerabile pressione esercitata dalla crisi economica sulla maggior parte del popolo greco. Agli occhi degli stessi vincitori la vittoria non sembra essersi basata sulla capacità di convincimento delle ricette economiche di sinistra o eterodosse che dir si voglia, quanto dall'incapacità delle destre greche di presentarsi sotto una veste accettabile, cosa che li ha (speriamo a lungo) resi invotabili anche da quelli che non ne potevano più di Samaras e i suoi accoliti. Inoltre, a differenza dell'accettabile destra italiana - il Pd ovviamente – i partiti al governo hanno distrutto interi settori produttivi greci, mentre in Italia il partito di Renzi - e del misterioso neopresidente della repubblica – in fondo è ancora a metà dell'opera.
Una terza considerazione dovrebbe far riflettere tutti coloro che in Italia si stracciano le vesti perché manca la famosa unità a sinistra. Syriza non ha unito granché; ha al suo interno una componente di sinistra abbastanza consistente (il 32%) ed è retto dal "moderato" Tsipras. Inoltre, come è più noto, un partito di estrema sinistra (il KKE) ha raccolto un risultato che sarebbe impensabile non solo per Rifondazione ma persino per SEL, mandando in Parlamento qualcosa come 15 deputati e ottenendo il 5.5% dei voti. Da notare che se in Italia si è litigiosi in Grecia i due partiti della sinistra neanche hanno ritenuto di mettersi a discutere di qualcosa, tanto si sentono distanti. Il KKE crede - a torto o a ragione - che l'unica attività di Syriza sarà un tentativo di salvare il salvabile senza neanche provare a mettere in discussione il sistema capitalistico.
Basterebbero queste considerazioni per guardare quando meno con scetticismo - se non proprio con sospetto - la vittoria di Tsipras. Ma purtroppo non finisce qui. Il primo passo (obbligato?) del partito greco ha aggiunto la questione meno digeribile di tutte: l'alleanza con il partito di Panos Kammanos, ANEL.
Come è diventato immediatamente noto, ANEL si è certamente contraddistinta, in questi suoi tre anni di vita, per l'esercizio di un'opposizione molto dura alle politiche di austerità ma anche per le sue posizioni decisamente populiste su temi "sensibili" per un elettore di sinistra, come l'immigrazione o il sistema educativo. Senza per forza voler arrivare alle folcloristiche prese di posizione sulle scie chimiche e robe di questo genere. In ogni caso, e con i soliti distinguo del caso, è come se in Italia Sel o Rifondazione (che ha una posizione decisamente più moderata del KKE) facessero un'alleanza di governo con il partito della Meloni, Fratelli d'Italia.
La scelta di Syriza è stata presentata in un modo che non è proprio del tutto accettabile e che tradisce in qualche modo l'idea che Tsipras ha del proprio successo elettorale, cioè che non sia del tutto strutturale. Ma vediamola nel dettaglio.
Syriza sostiene di "non avere avuto alternative". Visto che il KKE si è detto indisponibile a qualsiasi discussione e visto che To Potami non condivide l'agenda economica del partito di Tsipras, fuori discussione l'allenza con i neonazisti di Alba Dorata non sono rimasti che loro. Alternativa? Nessuna. Nessuna? Naturalmente in politica non esiste la mancanza di alternative, esiste un modo di presentarle. Renderle grottesche, impraticabili, massimaliste, illusorie è pratica a cui in Italia - ma non solo, ovviamente - dovremmo essere abituati. È da quando c'era il PCI che da "meno peggio a meno peggio" siamo finiti ad essere sepolti da nefandezze di ogni genere, dai pacchetti Treu a i centri di detenzione per immigrati, a riforme universitarie a a a. Perché, l'argomento è sempre quello: chissà cosa succederebbe se al governo ci fossero gli altri. L'argomento misteriosamente non smette mai di stancare. Per quanto si possa precipitare nel più bieco conservatorismo, per quanto ci si sforzi di mostrare come non ci siano differenze sostanziali tra i vari governi che si sono succeduti in questi anni alla guida dei paesi europei – e non solo sulle questioni economiche, ma persino su quelle che riguardano le garanzie dei cittadini, i diritti dei lavoratori, il laicismo, l'immigrazione e si può continuare fino all'esportazione della democrazia attraverso le bombe, idee accolte con malcelato entusiasmo da governi laburisti e pdiessini - ci saranno sempre coloro i quali ti dicono che “adesso è diverso” e che “non ci sono alternative”. Così il ritorno alle urne viene visto alla stessa stregua di un'ingenua idea massimalista, piuttosto che una opzione politica che serve anche a descrivere il vero margine di manovra che può avere lo schieramento “antiausterità”.
In Italia lo schieramento che fa capo a Sel e a quel che rimane di Rifondazione Comunista ha gioito anche nella sua versione meno politica. Il manifesto si è lanciato in gioiose prime pagine prima di precipitare in azzardati (meglio: insensati) paragoni tra quello che succede in Italia, tra i tentativi della sinistra italiana di trovare alleati nel Pd e quello che è stato costretto a fare Syriza. Addirittura cercando di trovare una qualche forma di giustificazione per le intollerabili posizioni di ANEL. Una stancante versione forse della “contraddizione primaria” (anche errata a voler fare i puntigliosi) o peggio e più volgarmente la desolante idea di fare della realpolitik, rimproverando, ovvio, coloro i quali si permettono di avanzare qualche dubbio sul fatto che dall'altra parte del mediterraneo ci si debba aspettare notizie confortanti. Queste posizioni finiscono spesso col far insorgere il sospetto che oltre alle modalità tattiche, alle strategie, la differenza a sinistra sia persino negli obiettivi finali e soprattutto nella lettura della società. Quest'ultima ovviamente irredimibile, tanto per cambiare. E in quanto tale da depredare, però ci mancherebbe, nel senso buono. Posizione che tradisce, se guardato con attenzione, nella migliore delle ipotesi una forma di paternalismo d'accatto (ci pensiamo noi a fare il bene della popolazione che non capisce cosa gli conviene) e nella peggiore, pensiero colonizzato dalla destra (non meritano niente, ma lo facciamo perché siamo tanto buoni). La totale rinuncia a qualsiasi attenzione per quello che si muove nella società, perché tanto è minoritaria e particolarista, anche se si parla di temi enormi come quello dei senza casa; l'attenzione spasmodica per quanto si muova nell'arena parlamentare, come se ci fosse bisogno di chissà quante altre dimostrazioni per fissarne una volta e per tutte la totale ininfluenza, se i rapporti di forza all'interno della società sono questi; il solito adagiarsi su formule che misteriosamente non stancano i promotori ma che arrivano già stremate al potenziale (vabbè) elettorato, quello che vede il vecchio saggio difensore della costituzione insieme al prete tanto socialmente impegnato e pezzi di un sindacato di un partito e di frammenti della società civile sì, ma quella per bene, non certo quella che, non sia mai, prende a sprangate una macchina: questo è un grado di dire la sinistra, sociale e politica italiana. Almeno quella “riformista”. Certo, questa semplice panoramica di cosa succede a cosa nostra farebbe in effetti venir voglia di correre armi e bagagli in braccia al simpatico Alexis. Ma il problema è che lì si troverebbero di nuovo tutti quelli che si vuol lasciare alle spalle e non certo perché Syriza è strabica ma perché è quello il pezzo di società “radicale” che ha vinto le elezioni greche. Meglio di Samaras? Certo, figurarsi. Come Obama era meglio di McCain e di Romney, no?
La prima, diciamo quella ottimista, vuole che la vittoria del partito di sinistra greco sia uno dei primi passi per poter davvero cominciare a mutare il segno delle politiche d'austerità che nel corso di questi anni hanno decisamente aggravato la crisi dei vari paesi europei, circostanza che ormai praticamente nessuno si sogna più di smentire.
La seconda, diciamo quella pessimista, vuole al contrario che dalla vittoria di Tsipras non c'è da attendersi chissà quale mutamento, in quanto il programma di Syriza non solo non è "marxista" ma addirittura non mette neanche in discussione la moneta unica, per molti vera arma finale delle classi dominanti europee.
Ad attenuare l'entusiasmo o la depressione delle due posizioni, c'è nel primo caso, quello ottimista, la consapevolezza dell'enorme difficoltà che il nuovo governo greco potrà trovare nei rapporti con un UE ancora del tutto impermeabile alla possibilità di cambiare direzione alle proprie politiche. Per quanto possa aver tutte le migliori intenzioni, costoro riconoscono che all'interno delle condizioni date il rischio che le politiche perseguite da Syriza si attenuino è alto. Nel secondo caso i pessimisti sanno bene che considerato il quadro politico – anche locale - non si potesse fare poi tanto di più e che una posizione più radicale sarebbe andata incontro a una ulteriore sconfitta elettorale.
Qui proveremo a partire da considerazioni preliminari, dicendo magari sin da subito che stiamo più sul versante "pessimista" che in quello "ottimista" per poi provare a spiegare il perché si crede che non ci sia poi così tanto da sperare.
La prima considerazione preliminare è il "modo" con cui Syriza ha vinto le elezioni. In Grecia esiste un premio di maggioranza che consente a chi rappresenta il 22% circa dell'elettorato di avere un ampio margine parlamentare nei confronti di partiti che non hanno poi preso tanti voti in meno. La distanza tra Syriza e Nea Demokratia è stata di appena 8.5% (più bassa ancora se consideriamo l'astensione) ma in Parlamento Syriza ha 149 seggi a 76, praticamente il doppio. Che questo aspetto venga ricordato da chi si batte in tutti modi perché il PD riesca artificialmente ad ottenere una maggioranza trionfale alle prossime elezioni fa ovviamente ridere. Ma che a sinistra la questione venga rimossa e non venga neanche presa in considerazione è francamente sconcertante. Ma non tanto o non solo per questioni di semplice etica parlamentarista, se è consentito il termine. Quanto per le implicazioni che questo comporta. La prima delle quali è legata alla seconda considerazione preliminare, la lettura sociale del voto.
In pochi si illudono sul fatto che la vittoria di Syriza sia "strutturale". La società greca – e con essa la parte maggioritaria, ad essere ottimisti, dell'opinione pubblica europea - non ha improvvisamente cambiato segno. Non è diventata solidale, egualitaria, civile. Se ne deduce che la vittoria non è che alquanto episodica. Una congiuntura favorevole, provocata più che dall'abilità tattica o - non sia mai - dal lavoro profondo con le classi subalterne che Syriza ha fatto in Grecia, dall'intollerabile pressione esercitata dalla crisi economica sulla maggior parte del popolo greco. Agli occhi degli stessi vincitori la vittoria non sembra essersi basata sulla capacità di convincimento delle ricette economiche di sinistra o eterodosse che dir si voglia, quanto dall'incapacità delle destre greche di presentarsi sotto una veste accettabile, cosa che li ha (speriamo a lungo) resi invotabili anche da quelli che non ne potevano più di Samaras e i suoi accoliti. Inoltre, a differenza dell'accettabile destra italiana - il Pd ovviamente – i partiti al governo hanno distrutto interi settori produttivi greci, mentre in Italia il partito di Renzi - e del misterioso neopresidente della repubblica – in fondo è ancora a metà dell'opera.
Una terza considerazione dovrebbe far riflettere tutti coloro che in Italia si stracciano le vesti perché manca la famosa unità a sinistra. Syriza non ha unito granché; ha al suo interno una componente di sinistra abbastanza consistente (il 32%) ed è retto dal "moderato" Tsipras. Inoltre, come è più noto, un partito di estrema sinistra (il KKE) ha raccolto un risultato che sarebbe impensabile non solo per Rifondazione ma persino per SEL, mandando in Parlamento qualcosa come 15 deputati e ottenendo il 5.5% dei voti. Da notare che se in Italia si è litigiosi in Grecia i due partiti della sinistra neanche hanno ritenuto di mettersi a discutere di qualcosa, tanto si sentono distanti. Il KKE crede - a torto o a ragione - che l'unica attività di Syriza sarà un tentativo di salvare il salvabile senza neanche provare a mettere in discussione il sistema capitalistico.
Basterebbero queste considerazioni per guardare quando meno con scetticismo - se non proprio con sospetto - la vittoria di Tsipras. Ma purtroppo non finisce qui. Il primo passo (obbligato?) del partito greco ha aggiunto la questione meno digeribile di tutte: l'alleanza con il partito di Panos Kammanos, ANEL.
Come è diventato immediatamente noto, ANEL si è certamente contraddistinta, in questi suoi tre anni di vita, per l'esercizio di un'opposizione molto dura alle politiche di austerità ma anche per le sue posizioni decisamente populiste su temi "sensibili" per un elettore di sinistra, come l'immigrazione o il sistema educativo. Senza per forza voler arrivare alle folcloristiche prese di posizione sulle scie chimiche e robe di questo genere. In ogni caso, e con i soliti distinguo del caso, è come se in Italia Sel o Rifondazione (che ha una posizione decisamente più moderata del KKE) facessero un'alleanza di governo con il partito della Meloni, Fratelli d'Italia.
La scelta di Syriza è stata presentata in un modo che non è proprio del tutto accettabile e che tradisce in qualche modo l'idea che Tsipras ha del proprio successo elettorale, cioè che non sia del tutto strutturale. Ma vediamola nel dettaglio.
Syriza sostiene di "non avere avuto alternative". Visto che il KKE si è detto indisponibile a qualsiasi discussione e visto che To Potami non condivide l'agenda economica del partito di Tsipras, fuori discussione l'allenza con i neonazisti di Alba Dorata non sono rimasti che loro. Alternativa? Nessuna. Nessuna? Naturalmente in politica non esiste la mancanza di alternative, esiste un modo di presentarle. Renderle grottesche, impraticabili, massimaliste, illusorie è pratica a cui in Italia - ma non solo, ovviamente - dovremmo essere abituati. È da quando c'era il PCI che da "meno peggio a meno peggio" siamo finiti ad essere sepolti da nefandezze di ogni genere, dai pacchetti Treu a i centri di detenzione per immigrati, a riforme universitarie a a a. Perché, l'argomento è sempre quello: chissà cosa succederebbe se al governo ci fossero gli altri. L'argomento misteriosamente non smette mai di stancare. Per quanto si possa precipitare nel più bieco conservatorismo, per quanto ci si sforzi di mostrare come non ci siano differenze sostanziali tra i vari governi che si sono succeduti in questi anni alla guida dei paesi europei – e non solo sulle questioni economiche, ma persino su quelle che riguardano le garanzie dei cittadini, i diritti dei lavoratori, il laicismo, l'immigrazione e si può continuare fino all'esportazione della democrazia attraverso le bombe, idee accolte con malcelato entusiasmo da governi laburisti e pdiessini - ci saranno sempre coloro i quali ti dicono che “adesso è diverso” e che “non ci sono alternative”. Così il ritorno alle urne viene visto alla stessa stregua di un'ingenua idea massimalista, piuttosto che una opzione politica che serve anche a descrivere il vero margine di manovra che può avere lo schieramento “antiausterità”.
In Italia lo schieramento che fa capo a Sel e a quel che rimane di Rifondazione Comunista ha gioito anche nella sua versione meno politica. Il manifesto si è lanciato in gioiose prime pagine prima di precipitare in azzardati (meglio: insensati) paragoni tra quello che succede in Italia, tra i tentativi della sinistra italiana di trovare alleati nel Pd e quello che è stato costretto a fare Syriza. Addirittura cercando di trovare una qualche forma di giustificazione per le intollerabili posizioni di ANEL. Una stancante versione forse della “contraddizione primaria” (anche errata a voler fare i puntigliosi) o peggio e più volgarmente la desolante idea di fare della realpolitik, rimproverando, ovvio, coloro i quali si permettono di avanzare qualche dubbio sul fatto che dall'altra parte del mediterraneo ci si debba aspettare notizie confortanti. Queste posizioni finiscono spesso col far insorgere il sospetto che oltre alle modalità tattiche, alle strategie, la differenza a sinistra sia persino negli obiettivi finali e soprattutto nella lettura della società. Quest'ultima ovviamente irredimibile, tanto per cambiare. E in quanto tale da depredare, però ci mancherebbe, nel senso buono. Posizione che tradisce, se guardato con attenzione, nella migliore delle ipotesi una forma di paternalismo d'accatto (ci pensiamo noi a fare il bene della popolazione che non capisce cosa gli conviene) e nella peggiore, pensiero colonizzato dalla destra (non meritano niente, ma lo facciamo perché siamo tanto buoni). La totale rinuncia a qualsiasi attenzione per quello che si muove nella società, perché tanto è minoritaria e particolarista, anche se si parla di temi enormi come quello dei senza casa; l'attenzione spasmodica per quanto si muova nell'arena parlamentare, come se ci fosse bisogno di chissà quante altre dimostrazioni per fissarne una volta e per tutte la totale ininfluenza, se i rapporti di forza all'interno della società sono questi; il solito adagiarsi su formule che misteriosamente non stancano i promotori ma che arrivano già stremate al potenziale (vabbè) elettorato, quello che vede il vecchio saggio difensore della costituzione insieme al prete tanto socialmente impegnato e pezzi di un sindacato di un partito e di frammenti della società civile sì, ma quella per bene, non certo quella che, non sia mai, prende a sprangate una macchina: questo è un grado di dire la sinistra, sociale e politica italiana. Almeno quella “riformista”. Certo, questa semplice panoramica di cosa succede a cosa nostra farebbe in effetti venir voglia di correre armi e bagagli in braccia al simpatico Alexis. Ma il problema è che lì si troverebbero di nuovo tutti quelli che si vuol lasciare alle spalle e non certo perché Syriza è strabica ma perché è quello il pezzo di società “radicale” che ha vinto le elezioni greche. Meglio di Samaras? Certo, figurarsi. Come Obama era meglio di McCain e di Romney, no?
Lascia un commento.