IL FRONTE CULTURALE
PER UNA NUOVA LETTERATURA
Note sparse su un problema storico
di Alessandro Romanello 18 febbraio 2021
PER UNA NUOVA LETTERATURA
Note sparse su un problema storico
di Alessandro Romanello 18 febbraio 2021
Nell’introduzione a un suo notevole volume del 2018, La letteratura circostante, amplissima ricognizione della letteratura italiana contemporanea dagli anni ’70 del secolo scorso a oggi, Gianluigi Simonetti scrive: “Non è la letteratura in senso forte ad essere in pericolo; in pericolo è invece la sua presenza sociale, e il senso politico della sua esistenza. Il mondo va in un’altra direzione”. Simonetti esprime una preoccupazione molto diffusa e condivisibile: l’industria culturale ha ristretto gli spazi disponibili per la grande letteratura che aveva contraddistinto il “Secolo breve”, motivo per cui oggi la più gran parte della produzione letteraria consiste in prodotti di consumo e di intrattenimento privi di alcun valore conoscitivo. A ben vedere, contro l’industria culturale si scagliavano già, forti della loro esperienza americana, Horkheimer e Adorno nella Dialettica dell’illuminismo (1947) ma certamente oggi il fenomeno ha subito un salto quantico ed è infinitamente più pervasivo e totalizzante. La produzione letteraria, in prosa e in poesia, indirizzata alle masse e ai semicolti comprende una mole enorme di scritture e anche il numero degli scrittori è aumentato in modo considerevole. Questa “svolta democratica”, che ha raggiunto il suo zenit con i social media come Facebook o Instagram, ha cambiato i termini della questione, poiché la quantità stupefacente di scritture che ne sono il risultato sono di una qualità spesso imbarazzante, quasi a voler confermare una vecchia legge della dialettica engelsiana. Se tuttavia parliamo di “senso politico” dell’esistenza della letteratura, come fa giustamente Simonetti, non possiamo non fare qualche altra considerazione di ordine più generale, relativa al ruolo degli intellettuali oggi. Il grande scrittore della tradizione del Novecento si poneva ipso facto come intellettuale, come educatore e maestro anche attraverso la negazione e la critica dell’esistente: il “grande stile” (riprendo il sintagma da Magris) della miglior letteratura del Novecento implicava in ogni caso un’istanza educativa se non addirittura normativa. Successori dei sacerdoti, secondo la celebre intuizione di Mallarmé, poeti, romanzieri, filosofi e saggisti consentivano l’accesso del lettore alla verità e al sapere, alla consapevolezza e alla critica del mondo e perciò alla libertà intellettuale. La “svolta democratica” che abbiamo tratteggiato più sopra - che coincide in realtà con la fase post-ideologica e neoliberista determinata dalla caduta del muro di Berlino e dalla fine del comunismo – ha definitivamente disincantato o secolarizzato il mondo, ragion per cui la letteratura è rientrata nell’ambito della gestione del leisure time e gli intellettuali sono divenuti semplici funzionari al servizio del mercato (anche le università oggi sono in fondo aziende). Eppure, per quanto mutati, i bisogni profondi cui rispondeva la grande letteratura rimangono, tanto più che oggi anche i migliori scrittori e poeti sono obbligati, come non mai, a concedere qualcosa al gusto più corrivo, essendo obbligati a promuovere un prodotto, un brand autoriale. Come uscire allora da questa impasse? Come garantire la presenza sociale e il senso politico, emancipatorio della letteratura? Siamo sicuri che l’editoria tradizionale, l’università, i premi letterari, i giornali ma persino i blog letterari siano in grado di realizzare questo compito? In fondo anche i litblog, almeno i migliori, sono gestiti da addetti ai lavori di formazione universitaria e non sono altro che una continuazione on-line del mondo “analogico”. Non ho una risposta certa a questa domanda ma provo ad abbozzare qualche considerazione provvisoria. Nelle attuali condizioni è impossibile ipotizzare un ruolo “politico”, liberatorio per la letteratura. Il pubblico – tranne minoranze molto esigue - è costituito da meri consumatori culturali, totalmente integrati nella semiosfera neoliberista, in quello che ritengono il migliore dei mondi possibili. Persino quel che rimane della vecchia “paideia” umanistica (e classista) non è che orpello, ornamento. Date queste condizioni, per carattere e formazione tenderei a essere ancora più pessimista di Simonetti. Eppure, proprio appellandomi alla mia formazione, trovo possibili sviluppi interessanti: dal mio hegelismo giovanile (in particolare, dalla lettura di Kojève della Fenomenologia dello Spirito) riprendo il concetto della “potenza del negativo”, del “lavoro del negativo”, ossia della dissoluzione necessaria di fasi o stati della realtà per determinarne altri, che purtuttavia conservano in qualche modo i lasciti trasformati del passato. Dove si presenta oggi il “lavoro del negativo” al massimo della sua forza distruttrice, se parliamo di letteratura? Si potrebbe pensare alla piccola editoria, che pubblica, per lo più on demand, di tutto, puntando verso una sorta di autorialità diffusa se non universalizzata. Ma la piccola editoria, per quanto capillare, rimane un fenomeno marginale e puntiforme, senza ricadute anche a causa delle tirature minime delle scritture pubblicate. No, lo spazio del “lavoro del negativo” in letteratura oggi è nei social networks come Facebook, tramite i quali chiunque può divenire scrittore, poeta, saggista, romanziere senza dover sottostare ad alcuna istanza di controllo, a nessuna selezione e disponendo, per di più, di un pubblico virtualmente infinito. Le scritture presenti su Facebook, spesso accoppiate a immagini o fotografie (nella letteratura “alta” succede la stessa cosa ad es. nei libri di W.G. Sebald), sono della natura e della qualità più varia, dall’orribile e infantile (la maggior parte di esse) al decisamente notevole. Un tratto comune è la natura essenzialmente aforistica di tali scritture: la “percezione distratta” della modernità di cui parlava già Walter Benjamin negli anni Trenta del secolo scorso ha raggiunto oggi nuove vette. La soglia dell’attenzione è ridotta ormai a pochi minuti e pertanto ci troviamo di fronte a scritture per lo più brevi e che sfidano le convenzioni dei generi, ponendosi spesso a metà strada tra l’autofiction e il saggio breve. Un tratto polemico e satirico è frequentissimo tra queste scritture, almeno tra le migliori di esse, spesso prodotte da professionisti della parola scritta (scrittori, giornalisti, sceneggiatori ecc.) ma adattate alle esigenze imposte dai social (brevità, condensazione, sarcasmo, sprezzatura grammaticale e sintattica etc.). Detto questo, ritengo che la letteratura del futuro, se ce ne sarà una, e la sua funzione critica e politica lato sensu, se ne potrà avere una, nasceranno, attraverso un processo selettivo ancora tutto da studiare, proprio nella “trincea” dei social, in mezzo al “fango” delle troppe scritture che vi si incontrano ma che ne determinano le tendenze principali (autobiografismo, tendenziale superamento dei generi, magmaticità ecc.). Occorre provare a pensare che dalla “svolta democratica” in letteratura, una svolta che sta stravolgendo il senso della letteratura se non addirittura annientandola – specchio in realtà della svolta autoritaria nella società e nella politica determinata dal neoliberismo – possa paradossalmente scaturire una scintilla rivoluzionaria, che porti a una nuova letteratura, della quale intravediamo con incertezza qualche primo carattere. Non è un caso, credo, che il romanzo italiano forse più significativo del 2019, Lo stradone di Francesco Pecoraro, sia stato in parte “anticipato” su Facebook, con la pubblicazione da parte dell’autore di alcune sequenze di scrittura, poi rimontate nel romanzo (sempre che, vista la sua libertà d’impianto, tra saggio, ricostruzione storica e autobiografia, Lo stradone possa essere ancora definito tale). Anche diversi libri di poesia sono stati “anticipati” allo stesso modo su Facebook. E lo stesso discorso può valere anche per la più strenua poesia di ricerca, che dispone oggi di un pubblico virtualmente infinito. Credo dunque che si possano aprire delle possibilità di sopravvivenza per la letteratura e per il suo spessore simbolico solo a patto di immergersi fino in fondo in questi nuovi scenari virtuali, che costituiscono in fondo, oggi, gran parte della nostra realtà. In questo settore, qualsiasi battaglia di retroguardia, in nome di una civiltà perduta o solo ipotizzata, è perduta in partenza. Resta da vedere come l’industria culturale si possa appropriare di questa nuova realtà ma è forse possibile pensare che tanta nuova letteratura, un domani, possa restare solo in rete, senza alcun bisogno di essere pubblicata (in parte è già così). L’universo di monadi in cui è stata trasformata la societas troverebbe così modo di esprimersi e di autorivelarsi. Se è ingenuo pensare di poter abbattere, come si sarebbe detto un tempo, il Sistema, o anche solo di poter riformare il mercato globale che determina la nostra esistenza, altrettanto sbagliato sarebbe rinunciare a qualsiasi forma se non di resistenza quanto meno di critica, senza pensare con ciò di poter restare au-dessus de la mêlée come tanti mandarini del secolo scorso. Questa è l’unica strada percorribile, poiché tutte le altre non sono ormai che sentieri interrotti.
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