
CHE COS'È QUESTA CRISI?
ON ESISTONO PASTI GRATIS.
Ma ogni tanto Cottarelli potrebbe offrire lui…
di Marc Mansion 27 febbraio 2020
ON ESISTONO PASTI GRATIS.
Ma ogni tanto Cottarelli potrebbe offrire lui…
di Marc Mansion 27 febbraio 2020
Pachidermi e pappagalli. Tutte le bufale sull'economia a cui continuiamo a credere, pubblicato da Feltrinelli nel 2019 è - a modesto avviso di chi scrive - uno dei peggiori libri di divulgazione economica uscito negli ultimi anni. L’autore Carlo Cottarelli, come molti sapranno, è considerato tra i maître à penser più influenti del panorama politico ed economico italiano, soprattutto nel centrosinistra, ospite spesso in tv principalmente nei programmi più seguiti dall’elettorato del PD. Non a caso i suoi incarichi governativi, come quello di commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica, hanno avuto luogo all’interno di coalizioni di quel colore politico.
Sebbene si presenti, come molti altri, in qualità di tecnico super partes, l’autore intende attaccare, smontando bufale su notizie economiche, una parte politica ben precisa. In particolare il bersaglio è costituito dai due partiti che, nel momento in cui lui scriveva, erano al governo: Movimento 5 Stelle e Lega.
Quello dell’importanza dei conti in ordine è il leitmotiv di tutto il libro.
L’affermazione di fondo è sempre la stessa. Ripetuta continuamente è diventata verità: esistono delle regole europee che vanno rispettate. Queste regole ci sono per evitare che un paese che fa parte di un’area monetaria faccia il “furbo” incorrendo in deficit insostenibili sperando che gli altri paesi o la BCE lo salvi dalla crisi. Se un paese si comportasse da furbo si genererebbe l’esplosione di debito pubblico o di moneta (che sappiamo essere peggio delle piaghe d’Egitto). Le regole europee sono comunque criticabili secondo Cottarelli, non perché insensate (come pure parrebbe!) ma perché complicate, rendendo difficile anche per i paesi a debito basso di utilizzare le leve di finanza pubblica per sostenere l’economia.
Le suddette regole servono a evitare, in sintesi, che i paesi aumentino i deficit e quindi i debiti, influenzando così i mercati che percepiscono rischi elevati di sostenibilità e quindi fanno lievitare i prezzi dei titoli di debito pubblico, portando gli spread verso l’alto.
Difendendo questi principi-base per cui i mercati devono essere lasciati liberi di operare e bisogna rispettare le regole, non ci saranno problemi per l’economia dei paesi aderenti all’area monetaria.
A questo punto comincia da parte di Cottarelli una serie di spiegazioni che servono a smontare alcuni luoghi comuni, come quello per cui Francia e Germania fanno i furbi e hanno creato le regole a loro vantaggio, o che siamo entrati nell’Euro con una valuta poco svalutata che ha fatto schizzare i prezzi nel momento del cambio 1 €/1936,27 Lire. Tutte queste “notizie” - così le chiama Cottarelli - sono false. È vero che esistono degli squilibri interni (come ad esempio l’elevato avanzo delle partite correnti della Germania), ma questi possono essere superati non tanto con il rispetto delle regole europee che viene tirato in ballo all’inizio, ma con le famose “riforme”: taglio burocrazia, riduzione tempi giustizia civile, riduzione tasse. “Se ci riusciremo diventeremo più competitivi: le esportazioni diventeranno di nuovo il motore della nostra crescita (…) Magari riusciremo a portar via quote di mercato alla Germania” (p. 49).
Ho voluto citare questo pezzo perché ritengo rappresenti la cifra di tutto il discorso liberale sul quale si fondano le affermazioni del “tecnico esperto”. Insomma, c’è una contraddizione profonda in queste tesi secondo cui le regole sui deficit e debiti vanno rispettate da tutti i paesi aderenti e il rispetto di queste regole porta maggiore fiducia nei mercati; e il combinato disposto tra regole e riforme ci fa diventare più competitivi nei confronti degli altri paesi aderenti. Insomma, l’armonia all’interno di un’area monetaria viene tirata in ballo quando occorre parlare di conti pubblici, mentre non viene messo in discussione l’equilibrio nei conti “privati” (partite correnti, bilancia dei pagamenti, saldi finanziari, eccetera). Come se settore pubblico e settore privato in macroeconomia non si influenzassero a vicenda. Diversi studi dimostrano invece che se di armonia occorre discutere, dovrebbe riguardare tutti i settori di un’area valutaria. Gli Stati Uniti, per fare un esempio molto utilizzato dagli stessi tecnici, hanno regole fiscali uniche, così come quelle sul mercato del lavoro e quelle sui capitali. Anche se i conti sono in ordine ma poi un paese fa dumping salariale grazie ad un mercato del lavoro disomogeneo, non c’è equilibrio di bilancio che tenga.
Un altro capitolo viene dedicato ai luoghi comuni sulla gestione della politica monetaria della BCE. La tesi principale del Nostro è che la BCE stampa molti soldi, ma questi ristagnano nel sistema bancario non perché le banche non vogliono prestare (come viene sostenuto dal Movimento 5 Stelle o a alla Lega, nel libro criticati), ma per effetto della regolamentazione sui requisiti di capitale proprio delle banche. Insomma qui siamo ancora nella velata difesa di una teoria che sta molto a cuore agli economisti liberali, ovvero che gli istituti che gestiscono le politiche monetarie riuscirebbero a controllare l’offerta di moneta e pertanto la quantità in circolazione nel sistema. In realtà diversi studi, come quelli effettuati da studiosi post-keynesiani, ci dicono che la moneta ristagna nelle banche per effetto delle strette finanziarie dovute a una diminuzione della domanda di prestiti. Insomma la moneta è endogena e non esogena come sostenuto dagli apologeti della teoria quantitativa.
Sulle affermazioni ‘post-ideologiche’ del Movimento 5 Stelle, come quella dell’esistenza dei “poteri forti” che controllano le sorti del mondo, Cottarelli parte da una premessa logica. In un’economia di mercato, i poteri forti sono spesso in conflitto, e grazie al conflitto i poteri tendono a bilanciarsi. Quando c’è un’accumulazione dei poteri in mano a pochi o, peggio, in mano allo Stato, si creano degli squilibri. I mercati finanziari, che nell’immaginario comune vengono considerati come oligopoli, si comportano come le mandrie. Quando scappa un animale molti lo seguono. L’Italia dovrebbe evitare che allo scappare dell’animale di un operatore finanziario lo seguano gli altri, e magari con i conti in ordine si eviterebbe l’effetto a catena che porta alle crisi. Questa lettura è intrisa di ideologia di mercato. Non esistono in realtà casi di economie perfettamente concorrenziali in cui gli Stati abbiano avuto ruoli secondari. Mentre hanno avuto un ruolo sempre più determinante, nel funzionamento dei mercati mondiali, la presenza di monopoli ed oligopoli.
Per concludere: il libro di Cottarelli è una critica dei luoghi comuni sull’economia messi in piedi da alcuni partiti populisti. Ma le argomentazioni a difesa della critica sono quelle ideologicamente liberali, sostenute da teorie economiche che - sebbene studiate nelle maggiori università del mondo - non hanno in realtà alcun fondamento scientifico che regga alla prova dei numeri. Esistono migliaia di articoli che smontano la credenza secondo la quale l’austerità fa crescere l’economia. Alla prova dei fatti il concetto di austerità espansiva, in auge in Europa anche grazie ai lavori di Alesina e Giavazzi, cozza con il dato che i paesi che più hanno applicato l’austerità non sono usciti dalla crisi (per esempio Italia e Grecia). Alcune economie, come la Spagna, sono tornate a crescere, ma il recupero dei tassi di crescita e di occupazione pre-crisi sono molto lontani. Perfino l’economista premio Nobel, non certo bolscevico, Paul Krugman ha criticato questa impostazione, smontando lo studio che più di tutti ha influenzato la politica dell’austerity nel mondo, ovvero quello degli economisti Reinhart e Rogoff che nel 2010 hanno pubblicato il famoso lavoro scientifico Growth in a Time of Debt. La tesi centrale dello studio era quella secondo la quale quando il debito raggiunge il 60% del Prodotto interno lordo, il tasso annuo di crescita economica di un paese calerebbe di due punti percentuali, mentre per livelli del debito superiori al 90% la crescita del PIL sarebbe all'incirca dimezzata.
Così Paul Krugman rispondeva allo studio nel 2013:
Quello che ci insegna il caso dello studio Reinhart-Rogoff è fino a che punto l'austerity è stata spacciata servendosi di falsi pretesti. Per tre anni, l'adozione di politiche di austerity è stata presentata non come una scelta ma come una necessità. Secondo i suoi sostenitori, era la ricerca economica ad aver mostrare come eventi terribili succedano ogni volta che il debito superi il 90 per cento del PIL. Ma la "ricerca economica" non ha affatto mostrato cose del genere; è stata una coppia di economisti a sostenere quell'asserzione, mentre molti altri dissentivano. I decisori delle policy hanno abbandonato i disoccupati e si sono rivolti all'austerity per scelta, non perché vi fossero costretti [1]
Il libro di Cottarelli è profondamente ‘sporcato’ da incrostazioni ideologiche liberali, tipiche degli economisti che credono fideisticamente che le teorie studiate e sostenute in università e istituzioni importanti, di livello internazionale, siano di necessità quelle più solide. Tuttavia la cultura dell’austerity - come dimostrano i casi dei cosiddetti PIIGS - non ha portato grandi risultati.
Mi viene in mente un dialogo che girava qualche giorno fa su internet e che riassume bene la posizione dei “tecnici” chiamati a risolvere i problemi economici. Il dialogo era tra Elsa Fornero e Marta Collot, con la presenza in studio di Cottarelli, in una trasmissione televisiva condotta dal giornalista Giovanni Floris[2]. La Fornero epitetava le affermazioni della sua interlocutrice come “slogan”, concludendo però il suo intervento con un altro slogan reso celebre dall’economista monetarista Milton Friedman e molto usato oggi dagli economisti mainstream: “non esistono pasti gratis”. Alla fin fine dunque gli economisti “tecnici” ricorrono anche loro a slogan, come questo dei “pasti gratis” o l’altro sul “fare i compiti a casa”, alla stessa stregua dei movimenti populisti che Cottarelli critica nel libro.
Riguardo agli studi universitari alla base delle politiche di austerità: perfino il FMI nel 2010, con a capo l’ultra ortodosso Olivier Blanchard, ha ammesso degli errori nelle stime sui moltiplicatori fiscali[3]. Le statistiche ci dicono che i paesi che hanno più di tutti applicato le regole sul contenimento della spesa pubblica e sulle “riforme” in generale, non sono usciti dalla crisi, anzi, hanno peggiorato la situazione. L’Italia, ad esempio, è il paese che produce avanzi primari (deficit al netto di interessi) dal 1991, ed è al 7° posto per spesa pubblica in percentuale sul PIL (non al primo o al secondo posto, si badi)[4]. Inoltre, l’Italia è il paese che più di tutti in Europa ha applicato le riforme del mercato del lavoro, con indici di flessibilità primi nel continente, ma che non sono stati accompagnati da altrettanti aumenti di occupazione[5] (la riforma dell’art. 18 voluta da Renzi, ad esempio, approvata anche dal PD facendo pressione sul mondo sindacale, non ha sortito gli effetti annunciati riguardo all’occupazione stabile).
Si dovrebbe ritornare a parlare di deficit di bilancio quale strumento di sviluppo e di politica anticiclica (cioè di contrasto alle fluttuazioni economiche negative), dimenticando le narrazioni ideologiche di destra, sia liberali che populiste, sul pareggio di bilancio (ahimè ormai inscritto nella Costituzione grazie anche al voto della Lega, che oggi assolda economisti “keynesiani”).
Bisogna tornare a usare quelli che Alain Parguez ha chiamato “deficit buoni”, ovvero quelli che hanno lo scopo di incidere nel lungo periodo al fine di creare stock di capitale, sia materiale (esempio infrastrutture) che non-materiale (ricerca avanzata, sanità, insegnamento)[6].
La retorica dei conti pubblici in equilibrio è stata utilizzata come strumento politico per continuare a peggiorare le condizioni economiche e sociali delle categorie più deboli della società, spostando quote sempre maggiori di prodotto netto verso le classi più abbienti. La privatizzazione e lo smantellamento di quei servizi essenziali come pensioni, istruzione, sanità, che Cottarelli & co. suppongono essere troppo cari per la situazione italiana (i cosiddetti pasti gratis), assumono, alla luce delle riflessioni fin qui esposte, il sapore di una grande sconfitta del mondo del lavoro ed un conseguente peggioramento delle condizioni di vita dello stesso.
[1] Traduzione di un estratto dall'articolo https://www.nytimes.com/2013/04/19/opinion/krugman-the-excel-depression.html?_r=0
[2] https://www.youtube.com/watch?v=jsXq13PB9Zw
[3] https://st.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-01-12/lautocritica-caso-italia-081037.shtml?uuid=AbF90cJH
[4] http://grafici.altervista.org/spesa-pubblica-in-italia-e-altri-paesi/
[5] Emiliano Brancaccio ne spiega gli aspetti econometrici in Anti-Blanchard, Un approccio comparato allo studio della macroeconomia, FrancoAngeli editore
[6] https://archiviopubblico.ilmanifesto.it/Articolo/2003187985. Rimandiamo inoltre il lettore non specialista alla chiara e puntuale critica alle politiche austeritarie svolta da Francesco Saraceno in La scienza inutile, LUISS 2018
Sebbene si presenti, come molti altri, in qualità di tecnico super partes, l’autore intende attaccare, smontando bufale su notizie economiche, una parte politica ben precisa. In particolare il bersaglio è costituito dai due partiti che, nel momento in cui lui scriveva, erano al governo: Movimento 5 Stelle e Lega.
Quello dell’importanza dei conti in ordine è il leitmotiv di tutto il libro.
L’affermazione di fondo è sempre la stessa. Ripetuta continuamente è diventata verità: esistono delle regole europee che vanno rispettate. Queste regole ci sono per evitare che un paese che fa parte di un’area monetaria faccia il “furbo” incorrendo in deficit insostenibili sperando che gli altri paesi o la BCE lo salvi dalla crisi. Se un paese si comportasse da furbo si genererebbe l’esplosione di debito pubblico o di moneta (che sappiamo essere peggio delle piaghe d’Egitto). Le regole europee sono comunque criticabili secondo Cottarelli, non perché insensate (come pure parrebbe!) ma perché complicate, rendendo difficile anche per i paesi a debito basso di utilizzare le leve di finanza pubblica per sostenere l’economia.
Le suddette regole servono a evitare, in sintesi, che i paesi aumentino i deficit e quindi i debiti, influenzando così i mercati che percepiscono rischi elevati di sostenibilità e quindi fanno lievitare i prezzi dei titoli di debito pubblico, portando gli spread verso l’alto.
Difendendo questi principi-base per cui i mercati devono essere lasciati liberi di operare e bisogna rispettare le regole, non ci saranno problemi per l’economia dei paesi aderenti all’area monetaria.
A questo punto comincia da parte di Cottarelli una serie di spiegazioni che servono a smontare alcuni luoghi comuni, come quello per cui Francia e Germania fanno i furbi e hanno creato le regole a loro vantaggio, o che siamo entrati nell’Euro con una valuta poco svalutata che ha fatto schizzare i prezzi nel momento del cambio 1 €/1936,27 Lire. Tutte queste “notizie” - così le chiama Cottarelli - sono false. È vero che esistono degli squilibri interni (come ad esempio l’elevato avanzo delle partite correnti della Germania), ma questi possono essere superati non tanto con il rispetto delle regole europee che viene tirato in ballo all’inizio, ma con le famose “riforme”: taglio burocrazia, riduzione tempi giustizia civile, riduzione tasse. “Se ci riusciremo diventeremo più competitivi: le esportazioni diventeranno di nuovo il motore della nostra crescita (…) Magari riusciremo a portar via quote di mercato alla Germania” (p. 49).
Ho voluto citare questo pezzo perché ritengo rappresenti la cifra di tutto il discorso liberale sul quale si fondano le affermazioni del “tecnico esperto”. Insomma, c’è una contraddizione profonda in queste tesi secondo cui le regole sui deficit e debiti vanno rispettate da tutti i paesi aderenti e il rispetto di queste regole porta maggiore fiducia nei mercati; e il combinato disposto tra regole e riforme ci fa diventare più competitivi nei confronti degli altri paesi aderenti. Insomma, l’armonia all’interno di un’area monetaria viene tirata in ballo quando occorre parlare di conti pubblici, mentre non viene messo in discussione l’equilibrio nei conti “privati” (partite correnti, bilancia dei pagamenti, saldi finanziari, eccetera). Come se settore pubblico e settore privato in macroeconomia non si influenzassero a vicenda. Diversi studi dimostrano invece che se di armonia occorre discutere, dovrebbe riguardare tutti i settori di un’area valutaria. Gli Stati Uniti, per fare un esempio molto utilizzato dagli stessi tecnici, hanno regole fiscali uniche, così come quelle sul mercato del lavoro e quelle sui capitali. Anche se i conti sono in ordine ma poi un paese fa dumping salariale grazie ad un mercato del lavoro disomogeneo, non c’è equilibrio di bilancio che tenga.
Un altro capitolo viene dedicato ai luoghi comuni sulla gestione della politica monetaria della BCE. La tesi principale del Nostro è che la BCE stampa molti soldi, ma questi ristagnano nel sistema bancario non perché le banche non vogliono prestare (come viene sostenuto dal Movimento 5 Stelle o a alla Lega, nel libro criticati), ma per effetto della regolamentazione sui requisiti di capitale proprio delle banche. Insomma qui siamo ancora nella velata difesa di una teoria che sta molto a cuore agli economisti liberali, ovvero che gli istituti che gestiscono le politiche monetarie riuscirebbero a controllare l’offerta di moneta e pertanto la quantità in circolazione nel sistema. In realtà diversi studi, come quelli effettuati da studiosi post-keynesiani, ci dicono che la moneta ristagna nelle banche per effetto delle strette finanziarie dovute a una diminuzione della domanda di prestiti. Insomma la moneta è endogena e non esogena come sostenuto dagli apologeti della teoria quantitativa.
Sulle affermazioni ‘post-ideologiche’ del Movimento 5 Stelle, come quella dell’esistenza dei “poteri forti” che controllano le sorti del mondo, Cottarelli parte da una premessa logica. In un’economia di mercato, i poteri forti sono spesso in conflitto, e grazie al conflitto i poteri tendono a bilanciarsi. Quando c’è un’accumulazione dei poteri in mano a pochi o, peggio, in mano allo Stato, si creano degli squilibri. I mercati finanziari, che nell’immaginario comune vengono considerati come oligopoli, si comportano come le mandrie. Quando scappa un animale molti lo seguono. L’Italia dovrebbe evitare che allo scappare dell’animale di un operatore finanziario lo seguano gli altri, e magari con i conti in ordine si eviterebbe l’effetto a catena che porta alle crisi. Questa lettura è intrisa di ideologia di mercato. Non esistono in realtà casi di economie perfettamente concorrenziali in cui gli Stati abbiano avuto ruoli secondari. Mentre hanno avuto un ruolo sempre più determinante, nel funzionamento dei mercati mondiali, la presenza di monopoli ed oligopoli.
Per concludere: il libro di Cottarelli è una critica dei luoghi comuni sull’economia messi in piedi da alcuni partiti populisti. Ma le argomentazioni a difesa della critica sono quelle ideologicamente liberali, sostenute da teorie economiche che - sebbene studiate nelle maggiori università del mondo - non hanno in realtà alcun fondamento scientifico che regga alla prova dei numeri. Esistono migliaia di articoli che smontano la credenza secondo la quale l’austerità fa crescere l’economia. Alla prova dei fatti il concetto di austerità espansiva, in auge in Europa anche grazie ai lavori di Alesina e Giavazzi, cozza con il dato che i paesi che più hanno applicato l’austerità non sono usciti dalla crisi (per esempio Italia e Grecia). Alcune economie, come la Spagna, sono tornate a crescere, ma il recupero dei tassi di crescita e di occupazione pre-crisi sono molto lontani. Perfino l’economista premio Nobel, non certo bolscevico, Paul Krugman ha criticato questa impostazione, smontando lo studio che più di tutti ha influenzato la politica dell’austerity nel mondo, ovvero quello degli economisti Reinhart e Rogoff che nel 2010 hanno pubblicato il famoso lavoro scientifico Growth in a Time of Debt. La tesi centrale dello studio era quella secondo la quale quando il debito raggiunge il 60% del Prodotto interno lordo, il tasso annuo di crescita economica di un paese calerebbe di due punti percentuali, mentre per livelli del debito superiori al 90% la crescita del PIL sarebbe all'incirca dimezzata.
Così Paul Krugman rispondeva allo studio nel 2013:
Quello che ci insegna il caso dello studio Reinhart-Rogoff è fino a che punto l'austerity è stata spacciata servendosi di falsi pretesti. Per tre anni, l'adozione di politiche di austerity è stata presentata non come una scelta ma come una necessità. Secondo i suoi sostenitori, era la ricerca economica ad aver mostrare come eventi terribili succedano ogni volta che il debito superi il 90 per cento del PIL. Ma la "ricerca economica" non ha affatto mostrato cose del genere; è stata una coppia di economisti a sostenere quell'asserzione, mentre molti altri dissentivano. I decisori delle policy hanno abbandonato i disoccupati e si sono rivolti all'austerity per scelta, non perché vi fossero costretti [1]
Il libro di Cottarelli è profondamente ‘sporcato’ da incrostazioni ideologiche liberali, tipiche degli economisti che credono fideisticamente che le teorie studiate e sostenute in università e istituzioni importanti, di livello internazionale, siano di necessità quelle più solide. Tuttavia la cultura dell’austerity - come dimostrano i casi dei cosiddetti PIIGS - non ha portato grandi risultati.
Mi viene in mente un dialogo che girava qualche giorno fa su internet e che riassume bene la posizione dei “tecnici” chiamati a risolvere i problemi economici. Il dialogo era tra Elsa Fornero e Marta Collot, con la presenza in studio di Cottarelli, in una trasmissione televisiva condotta dal giornalista Giovanni Floris[2]. La Fornero epitetava le affermazioni della sua interlocutrice come “slogan”, concludendo però il suo intervento con un altro slogan reso celebre dall’economista monetarista Milton Friedman e molto usato oggi dagli economisti mainstream: “non esistono pasti gratis”. Alla fin fine dunque gli economisti “tecnici” ricorrono anche loro a slogan, come questo dei “pasti gratis” o l’altro sul “fare i compiti a casa”, alla stessa stregua dei movimenti populisti che Cottarelli critica nel libro.
Riguardo agli studi universitari alla base delle politiche di austerità: perfino il FMI nel 2010, con a capo l’ultra ortodosso Olivier Blanchard, ha ammesso degli errori nelle stime sui moltiplicatori fiscali[3]. Le statistiche ci dicono che i paesi che hanno più di tutti applicato le regole sul contenimento della spesa pubblica e sulle “riforme” in generale, non sono usciti dalla crisi, anzi, hanno peggiorato la situazione. L’Italia, ad esempio, è il paese che produce avanzi primari (deficit al netto di interessi) dal 1991, ed è al 7° posto per spesa pubblica in percentuale sul PIL (non al primo o al secondo posto, si badi)[4]. Inoltre, l’Italia è il paese che più di tutti in Europa ha applicato le riforme del mercato del lavoro, con indici di flessibilità primi nel continente, ma che non sono stati accompagnati da altrettanti aumenti di occupazione[5] (la riforma dell’art. 18 voluta da Renzi, ad esempio, approvata anche dal PD facendo pressione sul mondo sindacale, non ha sortito gli effetti annunciati riguardo all’occupazione stabile).
Si dovrebbe ritornare a parlare di deficit di bilancio quale strumento di sviluppo e di politica anticiclica (cioè di contrasto alle fluttuazioni economiche negative), dimenticando le narrazioni ideologiche di destra, sia liberali che populiste, sul pareggio di bilancio (ahimè ormai inscritto nella Costituzione grazie anche al voto della Lega, che oggi assolda economisti “keynesiani”).
Bisogna tornare a usare quelli che Alain Parguez ha chiamato “deficit buoni”, ovvero quelli che hanno lo scopo di incidere nel lungo periodo al fine di creare stock di capitale, sia materiale (esempio infrastrutture) che non-materiale (ricerca avanzata, sanità, insegnamento)[6].
La retorica dei conti pubblici in equilibrio è stata utilizzata come strumento politico per continuare a peggiorare le condizioni economiche e sociali delle categorie più deboli della società, spostando quote sempre maggiori di prodotto netto verso le classi più abbienti. La privatizzazione e lo smantellamento di quei servizi essenziali come pensioni, istruzione, sanità, che Cottarelli & co. suppongono essere troppo cari per la situazione italiana (i cosiddetti pasti gratis), assumono, alla luce delle riflessioni fin qui esposte, il sapore di una grande sconfitta del mondo del lavoro ed un conseguente peggioramento delle condizioni di vita dello stesso.
[1] Traduzione di un estratto dall'articolo https://www.nytimes.com/2013/04/19/opinion/krugman-the-excel-depression.html?_r=0
[2] https://www.youtube.com/watch?v=jsXq13PB9Zw
[3] https://st.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-01-12/lautocritica-caso-italia-081037.shtml?uuid=AbF90cJH
[4] http://grafici.altervista.org/spesa-pubblica-in-italia-e-altri-paesi/
[5] Emiliano Brancaccio ne spiega gli aspetti econometrici in Anti-Blanchard, Un approccio comparato allo studio della macroeconomia, FrancoAngeli editore
[6] https://archiviopubblico.ilmanifesto.it/Articolo/2003187985. Rimandiamo inoltre il lettore non specialista alla chiara e puntuale critica alle politiche austeritarie svolta da Francesco Saraceno in La scienza inutile, LUISS 2018
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