
CHE COS'È QUESTA CRISI?
NISIDA È UN'ISOLA,
MA NON SOLO
Il lockdown nel carcere minorile
di Roberta Rao*
14 luglio 2020
NISIDA È UN'ISOLA,
MA NON SOLO
Il lockdown nel carcere minorile
di Roberta Rao*
14 luglio 2020
Per i napoletani Nisida non è soltanto un isola ma è soprattutto il luogo che ospita il carcere minorile. Nella città di Napoli il carcere minorile di Nisida e il carcere di Poggioreale, situato in pieno centro cittadino, sono le principali strutture penali che simbolicamente rappresentano la parte violenta della città. Il carcere, sia per i minorenni che per gli adulti, riflette in maniera univoca il "respiro" della città. Esso rappresenta una voce "corale" della città, delle sue criticità e disagi sociali.
Napoli è una città duale, come osservava il sociologo Amato Lamberti[1]: una città che vive apparentemente di "normalità" e una abbandonata a se stessa, vittima di un degrado crescente socio-culturale. Una città che continua ad avere il primato della violenza, osserva Isaia Sales[2], con la guerra feroce tra i clan rivali[3]. Una città che è sempre in pieno fermento criminale, in cui si registra una vera e propria sovrapopolazione criminale, nella quale - afferma Sales - ci sono più criminali che occasioni di commettere reati.
Una città ed un’area metropolitana estesa, governata dal senso di illegalità diffusa che coinvolge, aggrega, recluta soprattutto i soggetti più vunerabili: i giovani, gli adolescenti, i minori, i bambini delle tante periferie della città metropolitana che sono diventati sempre più un "serbatoio di riserva" di manodopera criminale. Sono soprattutto i giovani i protagonisti delle cosiddette "stese" camorristiche della città violenta; giovani che hanno fatto della strada, del vicolo, del gruppo dei pari, l'humus vitale delle loro esperienze di apprendimento anche di natura criminale. Giovani provenienti da nuclei familiari “scassati”, spesso con precedenti penali, logorati dalle ristrettezze economiche che vivono in territori controllati dalla camorra[4]. Famiglie che si ritrovano completamente intrappolate nelle loro condizioni sociali diseguali a tal punto che non possono fare altro che riprodurre nei figli lo stesso svantaggio socio-economico ereditato dai loro genitori.
Ecco, riflettere su Nisida, o per la precisione sull’Istituto Penale per i Minorenni (I.P.M.) di Nisida e sull’emergenza corona-virus in questo carcere implica dover considerare sia il “fuori” che il “dentro”. Forse come non mai nel periodo di chiusura della città la popolazione numerosa giovanile della città "di fuori" ha sperimentato per la prima volta la "detenzione" tipica dei ragazzi di "dentro". E come se il corona virus, nella sua sospensione del tempo, avesse diminuito la distanza che separa la città di “dentro” da quella di “fuori”. Con il corona virus viviamo tutti indistintamente una difficoltà comune. Siamo "tutti ai margini", osserva il cappellano di Nisida, Gennaro Pagano: "Per la prima volta non sono solo loro ai margini, ma tutti siamo un po’ messi ai margini dal virus"[5].
Forse è proprio a partire da questa condizione di isolamento che possiamo comprendere meglio certi atteggiamenti che emergono all’interno delle mura, in apparenza “anormali”.
L’I.P.M. e il periodo di lockdown
Nel periodo di marzo 2020 di chiusura totale disposta dal governo a causa dell'emergenza Covid-19, diversamente dalle carceri per adulti, negli Istituti penali distribuiti sul territorio nazionale che ospitano i minorenni ed i giovani adulti (fino a 25 anni) non sono stati segnalati particolari disordini e sommosse.
L'Istituto penale per i minorenni di Nisida che ospita prevalentemente giovani adulti in gran parte residenti nella città di Napoli, non fa eccezione: durante la pandemia infatti non sono emersi particolari problemi, proteste e/o disordini da parte dei giovani detenuti. Al tempo stesso non sono stati rilevati casi di contagio da Covid-19.
L'emergenza corona virus ha necessariamente condizionato la vita quotidiana dell'Istituto penale che è stata completamente riorganizzata. Secondo le disposizioni ministeriali sono state sospese tutte le attività di laboratorio e quelle trattamentali che prevedono contatti con operatori provenienti dall'esterno al fine di assicurare e garantire la sicurezza sanitaria della struttura. Solo il personale interno, con i dovuti controlli e dispositivi di protezione, poteva interagire con i giovani detenuti. Le attività scolastiche sono state effettuate a distanza tramite piattaforme informatiche. La sospensione ha riguardato anche i colloqui con i familiari che sono stati sostituiti dalle videochiamate.
L'emergenza corona virus ha in qualche modo diffuso tra i giovani detenuti una certa tensione e preoccupazione dovuta ai rischi del contagio del virus. In generale tuttavia l'umore dei ragazzi non è stato caratterizzato né da tendenze depressive, né aggressive, nel senso che, nonostante l'emergenza Covis-19, non si è diffuso un clima negativo, come è avvenuto nelle carceri per adulti, sia tra i ragazzi sia nei confronti del personale.
La pandemia paradossalmente sembra che abbia avuto come effetto positivo quello di migliorare le relazioni tra i detenuti: sono infatti regrediti i momenti di conflitto tra i ragazzi. In un certo senso, il sopraggiungere di una situazione critica esterna, come spesso accade, ha creato come effetto immediato quello di creare una maggiore coesione sociale tra i vari gruppi di detenuti.
C'è da dire però che l'emergenza sanitaria li ha comunque coinvolti: sono stati sempre molto attenti e preoccupati in merito alle notizie allarmanti sulla pandemia che provenivano dall'esterno. Si è avuta l'impressione che avessero capito bene l'entità dell'emergenza sanitaria in atto ed hanno mostrato tutta la loro apprensione per la vicenda, seguendo con costanza i telegiornali e gli aggiornamenti sugli esiti della diffusione del Covid-19 e ascoltando le indicazioni di chiarificazione e sostegno da parte del medico e del personale della struttura del carcere.
A riprova della loro consapevolezza della gravità della situazione sanitaria sono stati molto rispettosi sia nei confronti degli operatori sia verso l'esterno. Nei confronti degli operatori hanno mantenuto il distanziamento fisico richiesto, accettando che gli operatori si relazionassero con l'utilizzo delle mascherine ed a distanza. Per quanto riguarda i contatti verso l’esterno, si segnala che la stessa sospensione dei colloqui con le famiglie (che in tempi "normali" avrebbe comportato comunque una qualche reazione individuale e/o collettiva) è stata, invece, ben accettata dai ragazzi anche a tutela dei loro familiari. Essi hanno mostrato di aver compreso, in altri termini, il senso e la necessità di tali disposizioni.
Un aspetto particolare relativo a come la pandemia è stata vissuta dai ragazzi di Nisida riguarda il fatto che i giovani detenuti non hanno mostrato affatto di aver paura di essere contagiati. Nel senso che la loro stessa preoccupazione mostrata sulla emergenza sanitaria è stata più rivolta ai possibili rischi di contagio dei loro familiari e meno nei loro confronti.
Tale aspetto a prima vista può apparire strano perché nella città di Napoli, la paura di essere contagiati da corona virus, si percepiva, almeno nel primissimo periodo di lockdown, in maniera immediata, da parte di chiunque uscisse di casa. I ragazzi, invece, all'interno dell'Istituto, hanno mostrato un atteggiamento caratterizzato da una sorta di immunità di base. Essi si sono auto-percepiti "immuni" al contagio: era loro convinzione che il virus non li avrebbe infettati.
Il principale indicatore di tale atteggiamento è riscontrabile nel fatto che tra di loro non si sono preoccupati di mantenere il distanziamento sociale. I giovani detenuti hanno cioè continuato ad interagire con le stesse modalità, a mantenere la stessa "vicinanza" e contatto fisico che normalmente manifestano tra di loro.
Le interpretazioni possibili di questo atteggiamento possono essere tante. In questa sede vogliamo solo evidenziare che questi ragazzi, sono soliti mostrare nell'ambiente "libero" le loro performance, anche criminali, di coraggio, di audacia. Essi inoltre sono abituati a vivere nel rischio, anche quello estremo, di perdere la vita per una azione criminale[6]. Sono giovani forse troppo presi dalle proprie angosce e realizzazioni mancate, con una evidente difficoltà di cogliere non solo il dolore e la sofferenza di altri, ma anche di cogliere il proprio dolore. Sono anche giovani che hanno buone capacità di fronteggiare situazioni difficili, quali ad esempio, l'esperienza detentiva per periodi lunghi, mostrando una capacità di adattamento all’ambiente superiore a quella della media dei ragazzi "normali" della stessa età. Se consideriamo il loro punto di vista, forse questi ragazzi, ritengono di aver affrontato e superato "prove" ben più pesanti e difficili rispetto a quella dell'emergenza sanitaria da corona virus … forse per loro rappresenta semplicemente una nuova sfida alla loro esistenza.
*Roberta Rao è Funzionario della professionalità pedagogica, Centro Europeo di studi di Nisida , Dipartimento giustizia minorile e di comunità
[1] Lamberti A., Napoli: dov’è l’uscita, Grass Ed. 2008.
[2] Sales I., "Minorenni estorsori della camorra, la «riserva dei boss"", il Mattino 26 dicembre 2018.
[3] Si vedano ad esempio gli ultimi rapporti della DIA sull’impiego di giovanissimi a capo dei clan di camorra.
[4] Come osserva Amato Lamberti ogni organizzazione criminale, ha un proprio territorio di riferimento sul quale controlla tutte le attività criminali, e sul quale esercita una vera e propria forma di dominio attrevsro la violenza al fine di amministrare la gestione delle risorse e il controllo dei traffici economici sul territorio. La difesa del territorio, come spesso avviene, può dar luogo a scontri sanguinosi tra gruppi criminali (Lamberti A., Napoli: dov’è l’uscita, Grass Ed. 2008).
[5] Fonte: www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2020-03/coronavirus-carcere-minorile-nisida-speranza.html
[6] Significative sono le osservazioni sui ragazzi di Nisida dell’attuale Presidente del Tribunale per i minorenni di Napoli, Patrizia Esposito: “La vita per loro vale zero. E non è vero che non hanno paura; ma pur mettendo in conto che potranno morire, non gliene frega niente” (“Prefazione”, Libertà marginali, La sfida educativa tra devianza, delinquenza e sistema camorristico a cura di Fausta Sabatano e Gennaro Pagano, Guerrini Scientifica, 2019).
Napoli è una città duale, come osservava il sociologo Amato Lamberti[1]: una città che vive apparentemente di "normalità" e una abbandonata a se stessa, vittima di un degrado crescente socio-culturale. Una città che continua ad avere il primato della violenza, osserva Isaia Sales[2], con la guerra feroce tra i clan rivali[3]. Una città che è sempre in pieno fermento criminale, in cui si registra una vera e propria sovrapopolazione criminale, nella quale - afferma Sales - ci sono più criminali che occasioni di commettere reati.
Una città ed un’area metropolitana estesa, governata dal senso di illegalità diffusa che coinvolge, aggrega, recluta soprattutto i soggetti più vunerabili: i giovani, gli adolescenti, i minori, i bambini delle tante periferie della città metropolitana che sono diventati sempre più un "serbatoio di riserva" di manodopera criminale. Sono soprattutto i giovani i protagonisti delle cosiddette "stese" camorristiche della città violenta; giovani che hanno fatto della strada, del vicolo, del gruppo dei pari, l'humus vitale delle loro esperienze di apprendimento anche di natura criminale. Giovani provenienti da nuclei familiari “scassati”, spesso con precedenti penali, logorati dalle ristrettezze economiche che vivono in territori controllati dalla camorra[4]. Famiglie che si ritrovano completamente intrappolate nelle loro condizioni sociali diseguali a tal punto che non possono fare altro che riprodurre nei figli lo stesso svantaggio socio-economico ereditato dai loro genitori.
Ecco, riflettere su Nisida, o per la precisione sull’Istituto Penale per i Minorenni (I.P.M.) di Nisida e sull’emergenza corona-virus in questo carcere implica dover considerare sia il “fuori” che il “dentro”. Forse come non mai nel periodo di chiusura della città la popolazione numerosa giovanile della città "di fuori" ha sperimentato per la prima volta la "detenzione" tipica dei ragazzi di "dentro". E come se il corona virus, nella sua sospensione del tempo, avesse diminuito la distanza che separa la città di “dentro” da quella di “fuori”. Con il corona virus viviamo tutti indistintamente una difficoltà comune. Siamo "tutti ai margini", osserva il cappellano di Nisida, Gennaro Pagano: "Per la prima volta non sono solo loro ai margini, ma tutti siamo un po’ messi ai margini dal virus"[5].
Forse è proprio a partire da questa condizione di isolamento che possiamo comprendere meglio certi atteggiamenti che emergono all’interno delle mura, in apparenza “anormali”.
L’I.P.M. e il periodo di lockdown
Nel periodo di marzo 2020 di chiusura totale disposta dal governo a causa dell'emergenza Covid-19, diversamente dalle carceri per adulti, negli Istituti penali distribuiti sul territorio nazionale che ospitano i minorenni ed i giovani adulti (fino a 25 anni) non sono stati segnalati particolari disordini e sommosse.
L'Istituto penale per i minorenni di Nisida che ospita prevalentemente giovani adulti in gran parte residenti nella città di Napoli, non fa eccezione: durante la pandemia infatti non sono emersi particolari problemi, proteste e/o disordini da parte dei giovani detenuti. Al tempo stesso non sono stati rilevati casi di contagio da Covid-19.
L'emergenza corona virus ha necessariamente condizionato la vita quotidiana dell'Istituto penale che è stata completamente riorganizzata. Secondo le disposizioni ministeriali sono state sospese tutte le attività di laboratorio e quelle trattamentali che prevedono contatti con operatori provenienti dall'esterno al fine di assicurare e garantire la sicurezza sanitaria della struttura. Solo il personale interno, con i dovuti controlli e dispositivi di protezione, poteva interagire con i giovani detenuti. Le attività scolastiche sono state effettuate a distanza tramite piattaforme informatiche. La sospensione ha riguardato anche i colloqui con i familiari che sono stati sostituiti dalle videochiamate.
L'emergenza corona virus ha in qualche modo diffuso tra i giovani detenuti una certa tensione e preoccupazione dovuta ai rischi del contagio del virus. In generale tuttavia l'umore dei ragazzi non è stato caratterizzato né da tendenze depressive, né aggressive, nel senso che, nonostante l'emergenza Covis-19, non si è diffuso un clima negativo, come è avvenuto nelle carceri per adulti, sia tra i ragazzi sia nei confronti del personale.
La pandemia paradossalmente sembra che abbia avuto come effetto positivo quello di migliorare le relazioni tra i detenuti: sono infatti regrediti i momenti di conflitto tra i ragazzi. In un certo senso, il sopraggiungere di una situazione critica esterna, come spesso accade, ha creato come effetto immediato quello di creare una maggiore coesione sociale tra i vari gruppi di detenuti.
C'è da dire però che l'emergenza sanitaria li ha comunque coinvolti: sono stati sempre molto attenti e preoccupati in merito alle notizie allarmanti sulla pandemia che provenivano dall'esterno. Si è avuta l'impressione che avessero capito bene l'entità dell'emergenza sanitaria in atto ed hanno mostrato tutta la loro apprensione per la vicenda, seguendo con costanza i telegiornali e gli aggiornamenti sugli esiti della diffusione del Covid-19 e ascoltando le indicazioni di chiarificazione e sostegno da parte del medico e del personale della struttura del carcere.
A riprova della loro consapevolezza della gravità della situazione sanitaria sono stati molto rispettosi sia nei confronti degli operatori sia verso l'esterno. Nei confronti degli operatori hanno mantenuto il distanziamento fisico richiesto, accettando che gli operatori si relazionassero con l'utilizzo delle mascherine ed a distanza. Per quanto riguarda i contatti verso l’esterno, si segnala che la stessa sospensione dei colloqui con le famiglie (che in tempi "normali" avrebbe comportato comunque una qualche reazione individuale e/o collettiva) è stata, invece, ben accettata dai ragazzi anche a tutela dei loro familiari. Essi hanno mostrato di aver compreso, in altri termini, il senso e la necessità di tali disposizioni.
Un aspetto particolare relativo a come la pandemia è stata vissuta dai ragazzi di Nisida riguarda il fatto che i giovani detenuti non hanno mostrato affatto di aver paura di essere contagiati. Nel senso che la loro stessa preoccupazione mostrata sulla emergenza sanitaria è stata più rivolta ai possibili rischi di contagio dei loro familiari e meno nei loro confronti.
Tale aspetto a prima vista può apparire strano perché nella città di Napoli, la paura di essere contagiati da corona virus, si percepiva, almeno nel primissimo periodo di lockdown, in maniera immediata, da parte di chiunque uscisse di casa. I ragazzi, invece, all'interno dell'Istituto, hanno mostrato un atteggiamento caratterizzato da una sorta di immunità di base. Essi si sono auto-percepiti "immuni" al contagio: era loro convinzione che il virus non li avrebbe infettati.
Il principale indicatore di tale atteggiamento è riscontrabile nel fatto che tra di loro non si sono preoccupati di mantenere il distanziamento sociale. I giovani detenuti hanno cioè continuato ad interagire con le stesse modalità, a mantenere la stessa "vicinanza" e contatto fisico che normalmente manifestano tra di loro.
Le interpretazioni possibili di questo atteggiamento possono essere tante. In questa sede vogliamo solo evidenziare che questi ragazzi, sono soliti mostrare nell'ambiente "libero" le loro performance, anche criminali, di coraggio, di audacia. Essi inoltre sono abituati a vivere nel rischio, anche quello estremo, di perdere la vita per una azione criminale[6]. Sono giovani forse troppo presi dalle proprie angosce e realizzazioni mancate, con una evidente difficoltà di cogliere non solo il dolore e la sofferenza di altri, ma anche di cogliere il proprio dolore. Sono anche giovani che hanno buone capacità di fronteggiare situazioni difficili, quali ad esempio, l'esperienza detentiva per periodi lunghi, mostrando una capacità di adattamento all’ambiente superiore a quella della media dei ragazzi "normali" della stessa età. Se consideriamo il loro punto di vista, forse questi ragazzi, ritengono di aver affrontato e superato "prove" ben più pesanti e difficili rispetto a quella dell'emergenza sanitaria da corona virus … forse per loro rappresenta semplicemente una nuova sfida alla loro esistenza.
*Roberta Rao è Funzionario della professionalità pedagogica, Centro Europeo di studi di Nisida , Dipartimento giustizia minorile e di comunità
[1] Lamberti A., Napoli: dov’è l’uscita, Grass Ed. 2008.
[2] Sales I., "Minorenni estorsori della camorra, la «riserva dei boss"", il Mattino 26 dicembre 2018.
[3] Si vedano ad esempio gli ultimi rapporti della DIA sull’impiego di giovanissimi a capo dei clan di camorra.
[4] Come osserva Amato Lamberti ogni organizzazione criminale, ha un proprio territorio di riferimento sul quale controlla tutte le attività criminali, e sul quale esercita una vera e propria forma di dominio attrevsro la violenza al fine di amministrare la gestione delle risorse e il controllo dei traffici economici sul territorio. La difesa del territorio, come spesso avviene, può dar luogo a scontri sanguinosi tra gruppi criminali (Lamberti A., Napoli: dov’è l’uscita, Grass Ed. 2008).
[5] Fonte: www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2020-03/coronavirus-carcere-minorile-nisida-speranza.html
[6] Significative sono le osservazioni sui ragazzi di Nisida dell’attuale Presidente del Tribunale per i minorenni di Napoli, Patrizia Esposito: “La vita per loro vale zero. E non è vero che non hanno paura; ma pur mettendo in conto che potranno morire, non gliene frega niente” (“Prefazione”, Libertà marginali, La sfida educativa tra devianza, delinquenza e sistema camorristico a cura di Fausta Sabatano e Gennaro Pagano, Guerrini Scientifica, 2019).
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