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NEOLIBERISTI SU MARTE
di Pavlov Dogg 6 ottobre 2015 




 Muoviamo insieme queste mani/Come farebbero i marziani
                                                                                      (E.Vianello)
​

 
Sopravvissuto - The Martian regia di Ridley Scott
 
La versione italiana di questo film propala l’errata informazione che presso il ristorante newyorchese dell’Algonquin si svolgessero delle “tavole rotonde”. E chissà se alla fin fine è un bene che l’unica citazione colta di tutto il film[1] fallisca clamorosamente nelle sale del nostro paese, mantenendo al cocktail servito da Ridley Scott l’immacolata purezza dei suoi due ingredienti: una parte scientifica desunta dai fumetti dei Fantastici Quattro e una parte “umana” da far impallidire i fumetti cinesi dell’epoca di Mao, in cui tutti incessantemente si sacrificavano per la patria e per il popolo.
 
Indicare le due fonti e componenti di questo Sopravvissuto – The Martian non equivale però a un “verdetto” necessariamente negativo. In primo luogo perché il regista è lo stesso de I duellanti, Alien e Blade Runner (certo, è anche lo stesso di Il Gladiatore e Hannibal, come potreste ribattere voi!), pur sempre capacissimo di proiettare ambiguità sul soggetto francamente fascista (ecco, ce l’avevo sulla punta della lingua) che ha per le mani. In secondo luogo perché la trasparenza dei contenuti (e non c’è contraddizione con l’ambiguità di cui sopra, come vedremo) è pur sempre un valore: e il film ci spiattella davanti i problemi e le prospettive, le tensioni e le fobie della fase attuale della dominazione di classe - negli USA, in tutto il pianeta e potenzialmente in tutto il sistema solare – con una chiarezza encomiabile, talché poco mi preme far l’imitazione della Guida Michelin  e valutarne con una o due stelle la riuscita “artistica”. E va detto che la lunghezza (2 ore e 21 minuti) e le lungaggini, la stessa scelta - teoricamente suicida - di dar luogo a una interminabile “prova d’attore” del legnosissimo Matt Damon, sono altrettanti perfetti correlativi – stilistici e oggettivi – del tema centrale della pellicola, ovverosia la totale flessibilizzazione della forza lavoro, con particolare attenzione alla realtà del lavoro straordinario.
 
Non solo questo problema è espressamente sottolineato (“Ci costerà una fortuna in straordinari!” esclamano alla NASA, non appena si accorgono di aver dimenticato Matt Damon su Marte); non solo l’unico personaggio davvero “geniale” del film, il nerd interpretato da Donald Glover, è costantemente a pezzi per l’assoluta mancanza di riposo (nella prima scena in cui appare non fa altro che cascare a terra per il sonno, e più avanti lo si vede letteralmente “attaccato” al computer d’ordinanza); ma addirittura gli altri 5 astronauti – e i loro cari sulla Terra! – non battono ciglio di fronte alla prospettiva di restare nello spazio per mesi e mesi più del dovuto, pur di assecondare il piano propagandistico e rischiosissimo portato avanti da Sean Bean (che in quanto neolib “prestato” al governo alla fine non ha  problemi a dimettersi dalla NASA, di contro al direttore che è un burocrate “puro”, con il volto prudente e perdente di Jeff Daniels); e la stessa modalità con cui Bean istiga l’ammutinamento della ciurma dell’Ares 3, ovvero un messaggio segreto inviato hackerando la casella di posta elettronica della moglie di uno degli astronauti, segnala l’abbattimento del confine tra ambito e orario lavorativo e dimensione privata.
 
Ed è proprio in base allo slogan “Lavorare di Più/Ma Non Lavorare Tutti” (vedi le folle di sfaccendati che seguono passo passo le vicende dell’ Ares 3 dai maxischermi di New York, Londra e Pechino) che va inquadrato lo stesso tema della colonizzazione dello spazio, per come lo affronta The Martian. Non si tratta tanto di arare un suolo vergine e da fertilizzare, in cerca di un’alternativa alla Terra oramai invivibile: “Su questo pianeta non cresce un cazzo” chiarisce subito il botanico Damon a proposito di Marte. Qui si tratta piuttosto di accumulare nuovi rapporti di classe; la precondizione per ritrovare la profittabilità perduta è una rinnovata espropriazione dei lavoratori, ovvero l’azzeramento dei diritti acquisiti per rendere flessibile la prestazione d’opera: espropriazione che, con un “effetto fionda” (altro correlativo messo in bocca a Donald Glover, ma che - rispetto a quello immaginato dall’astrofisico del film - funziona in senso di marcia inverso: da Marte verso la Terra) parte dall’assoluta disponibilità lavorativa dei coloni (Matt Damon, stakanovista del capitalismo suo malgrado, all’inizio del film si trova di fronte alla prospettiva di dover prolungare di quattro anni la missione rispetto al contratto di ingaggio) e arriva fino alla NASA, mobilitandone 24x7 il personale caffeina-dipendente.
 
Se tutto questo è vero, la questione dell’atteggiamento di Ridley Scott, della sua “distanza” rispetto alla materia del racconto, non deve turbarci più di tanto. Certo, alla fine del film Damon (che si appresta a catechizzare i nuovi aspiranti coloni), seduto sulla panchina del college, è chiaramente un uomo finito; certo il grigiore assoluto e fastidioso dell’equipaggio dell’Ares 3 non può che essere voluto (basta fare il paragone con il ben più caloroso “popolo della NASA”); e, certo, se c’è identificazione fra il protagonista “marziano” e lo stesso regista, questa è nel senso di un compito ingrato e triturapalle che spetta a entrambi (rispettivamente, sopravvivere su Marte e dirigere questo film). È legittimo però il sospetto di trovarsi di fronte a una “doppia verità” di bellarminiana memoria, e pertanto ad una doppia morale. Un primo livello di fruizione nel segno dell’entusiasmo tecno-scientifico-futuribile, con i “sacrifici” che passano in cavalleria; ed un secondo livello – non certo sbandierato - in cui affiora la verità dei sentimenti, e dunque tutta un’altra storia. Ma non è questa la cosa importante. Il punto è che il magari un po’ annebbiato Ridley Scott perlomeno una cosa la vede benissimo: la classe dirigente USA e i suoi ideologi hanno deciso che non è vero che “non c’è futuro”: il futuro c’è, ed è uguale al presente. Su Marte c’è vita, ma “Non C’E’ Alternativa” (cit.).
 
Uomo avvisato, mezzo salvato.






[1] Con la possibile eccezione della canzone Waterloo degli ABBA, utilizzata però in una scena di lotta indomita che conduce alla vittoria. Verosimilmente un errore in fase di postproduzione (o com’è che si chiama), dato che Scott ha pur sempre diretto il napoleonico Il duellanti e non può avere dimenticato del tutto la storia.


  


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