LA CRISI VISTA DAL SUD
LUNGA E IMPERVIA È LA STRADA
La sinistra dopo la sconfitta europea
di Marco Palazzotto 31 maggio 2019
LUNGA E IMPERVIA È LA STRADA
La sinistra dopo la sconfitta europea
di Marco Palazzotto 31 maggio 2019
Le elezioni europee – lo sappiamo – rappresentano più un voto di opinione che una scelta governativa, una nomina di rappresentanti all’interno di un’istituzione con poteri abbastanza marginali rispetto a quelli che i parlamenti nazionali in Europa hanno assunto nel ‘900. Ovviamente questo voto di opinione serve, come ad esempio alla Lega, per rimodulare gli equilibri dentro il governo, e rappresenta un banco di prova per future elezioni che potremmo essere chiamati a sostenere nel caso di spaccatura insanabile tra gli alleati dell’esecutivo.
Non mi soffermerò molto sui dati del voto in Italia e nel resto del continente, che abbiamo abbondantemente letto su tutti i mezzi di informazione. Rifletterei, invece, sulle sorti di quella parte politica che mi interessa particolarmente e che sta a sinistra dei partiti già socialdemocratici europei.
Il gruppo GUE/NGL perde consensi, (14 seggi in meno), mentre I Verdi, grazie alla spinta soprattutto tedesca, guadagnano 19 seggi. Le destre preoccupano ma non raggiungono il risultato eclatante che si era paventato, a parte le situazioni interne di alcuni paesi, come ad esempio Italia, Francia e Regno Unito.
Nel nostro paese ha sconvolto il risultato inaspettato della Lega che capitalizza, attraverso retoriche fascistoidi e politiche classiste, l’incompetenza e la debolezza del M5S e l’inadeguatezza del PD a rappresentare e sostenere i ceti meno abbienti. Decenni di alternanza tra centro-sinistra e centro-destra – differenti solo su diritti civili e regolamentazione di alcuni settori – hanno dato luogo a politiche economiche molto simili (se non peggiori per le classi lavoratrici, nel caso del centro-sinistra): tagli alla spesa pubblica orizzontali, attacco al welfare, riduzione delle tutele dei lavoratori, privatizzazioni, politiche estere in linea con i patti europei e atlantici.
La lista La Sinistra, cartello elettorale che raccoglieva, principalmente, l’adesione del PRC e Sinistra Italiana, rimane lontanissima dalla soglia di sbarramento del 4%. Altri partiti minori come il Partito Comunista di Marco Rizzo non superano l’1%. Il primo partito rimane comunque quello dell’astensione, che aumenta rispetto alle precedenti europee soprattutto nelle regioni più colpite dalla crisi. Ciò fa pensare a una disaffezione politica ancora più grave nei ceti poveri.
La situazione negli altri paesi europei è parimenti tragica. Syriza viene abbondantemente superata dai popolari di Néa Dimokratía, scontando le scelte degli ultimi anni di subire la prevaricazione della Troika. Podemos perde ancora, anche rispetto alle ultime elezioni politiche, e perde in città come Madrid e Barcellona (in Spagna si votava anche per il rinnovo di alcuni consigli comunali), dimostrando che il “populismo di sinistra” (succede anche in Francia con La France Insoumise), non è la chiave corretta per disarticolare la macchina neoliberista.
Norma Rangeri, sul Manifesto del 27 maggio scorso, scriveva che “La prima lezione che viene dalle urne ci dice che il problema di unire le forze ormai non ammette repliche e si ripresenterà alle elezioni politiche”. È un ritornello che sento spesso, come quello che il problema è dei gruppi dirigenti dei partitini che si presentano alle elezioni, che vengono sconfitti e quindi si devono mettere da parte.
A mio parere nessuna delle suddette letture è quella corretta.
Il risultato elettorale è sempre la cifra di quello che succede nella società, nel senso che la crisi della sinistra è una crisi della politica e una crisi della rappresentanza. La classi sociali più colpite dalla controrivoluzione neoliberale cominciata a fine anni ’70 si sono spaccate e infine polverizzate subendo l’ideologia dell’individualismo metodologico. Ogni persona o famiglia è un nucleo a sé stante nella società e l’obiettivo è egoisticamente quello di prevaricare il vicino. Non esiste più la coscienza dei gruppi sociali e i partiti attuali non svolgono la loro funzione di mediazione tra società e istituzioni.
I sindacati di massa, che ancora raccolgono milioni di iscritti, non esercitano più il ruolo di cinghia di trasmissione con la politica: in primo luogo perché non esistono più i movimenti politici di massa nell’era della post-democrazia (trasmettere verso cosa e verso chi?), in cui il rapporto tra eletto ed elettore è costruito sul consenso veicolato da media e social network. In secondo luogo perché si è abbandonato il terreno della lotta quale pratica del conflitto, strumento di riequilibrio dei rapporti di forza tra salario e profitto, e quindi di riduzione di plusvalore assoluto e relativo. Lotta che è propedeutica ad una contrattazione più vantaggiosa per gli sfruttati. Oggi invece si chiede di contrattare in base al principio della delega degli iscritti, non sufficiente se i rapporti di forza rimangono immutati. In terzo luogo manca sia a livello politico che sindacale una struttura ideologica che sappia comprendere il presente. Nel ‘900 il marxismo, nelle sue molteplici versioni, aveva offerto un complesso di strumenti per interpretare il capitalismo, di conseguenza utili per agire onde modificarlo. Da oltre 30 anni invece siamo orfani, senza una concezione del mondo: si è spezzato il filo tra teoria e prassi, e l’agire politico subisce, in maniera molto confusa, l’influsso di tutte le idee che i linguaggi dominanti riescono a produrre.
Unire i piccolissimi partiti a sinistra del PD per le future elezioni può essere un’idea solo per mandare qualcuno nelle istituzioni. Il problema è molto più importante e sistemico, e riguarda una sconfitta epocale che vive il movimento dei lavoratori.
Gli attuali partitini intanto dimostrano, anche per il numero di voti raggiunti, di non rappresentare le lotte che attualmente sono in corso nella società. I conflitti nella logistica e nella gig economy, le lotte femministe, i ‘rigurgiti’ antifascisti durante molti eventi pubblici, le lotte contro i caporalati agricoli, il sostegno ai migranti che attraversano il Mediterraneo rischiando la vita, e così via. Battaglie che dovrebbero trasformarsi, in termini di voto, in qualcosa di concreto. Ma solo una minima parte di tutto ciò finisce nelle liste di sinistra. Un’altra, parrebbe a chi scrive, va al PD oggi leggermente in ripresa grazie alla paura del governo di destra. Una grande parte, sicuramente, alimenta l’astensione.
La scommessa per il futuro non sarà quindi tentare di costituire un partito unico a sinistra del PD o, peggio, andare a governare con il PD stesso (come oggi fanno alcuni partiti radicali in alcune municipalità), ma costruire un progetto che cerchi di dare organizzazione alle tante lotte oggi presenti nella società e, inoltre, intercettare il malcontento di chi non partecipa al conflitto cercando di costruire una coscienza che faccia nascere delle soggettività politiche nuove. Bisogna abbandonare l’ottica elettoralistica e invece lavorare nei rapporti di produzione.
Non si può pensare che questo avvenga nel breve e medio periodo e solo in occasione degli appuntamenti elettorali. È un lavoro di ricostruzione anche ideologica, che implica leggere e affrontare i problemi che il capitalismo moderno ci pone innanzi, il ‘come’ si sviluppano le relazioni di sfruttamento, cercando di rompere o superare la connessione sociale che esiste tra attività lavorativa e produzione del valore.
Non mi soffermerò molto sui dati del voto in Italia e nel resto del continente, che abbiamo abbondantemente letto su tutti i mezzi di informazione. Rifletterei, invece, sulle sorti di quella parte politica che mi interessa particolarmente e che sta a sinistra dei partiti già socialdemocratici europei.
Il gruppo GUE/NGL perde consensi, (14 seggi in meno), mentre I Verdi, grazie alla spinta soprattutto tedesca, guadagnano 19 seggi. Le destre preoccupano ma non raggiungono il risultato eclatante che si era paventato, a parte le situazioni interne di alcuni paesi, come ad esempio Italia, Francia e Regno Unito.
Nel nostro paese ha sconvolto il risultato inaspettato della Lega che capitalizza, attraverso retoriche fascistoidi e politiche classiste, l’incompetenza e la debolezza del M5S e l’inadeguatezza del PD a rappresentare e sostenere i ceti meno abbienti. Decenni di alternanza tra centro-sinistra e centro-destra – differenti solo su diritti civili e regolamentazione di alcuni settori – hanno dato luogo a politiche economiche molto simili (se non peggiori per le classi lavoratrici, nel caso del centro-sinistra): tagli alla spesa pubblica orizzontali, attacco al welfare, riduzione delle tutele dei lavoratori, privatizzazioni, politiche estere in linea con i patti europei e atlantici.
La lista La Sinistra, cartello elettorale che raccoglieva, principalmente, l’adesione del PRC e Sinistra Italiana, rimane lontanissima dalla soglia di sbarramento del 4%. Altri partiti minori come il Partito Comunista di Marco Rizzo non superano l’1%. Il primo partito rimane comunque quello dell’astensione, che aumenta rispetto alle precedenti europee soprattutto nelle regioni più colpite dalla crisi. Ciò fa pensare a una disaffezione politica ancora più grave nei ceti poveri.
La situazione negli altri paesi europei è parimenti tragica. Syriza viene abbondantemente superata dai popolari di Néa Dimokratía, scontando le scelte degli ultimi anni di subire la prevaricazione della Troika. Podemos perde ancora, anche rispetto alle ultime elezioni politiche, e perde in città come Madrid e Barcellona (in Spagna si votava anche per il rinnovo di alcuni consigli comunali), dimostrando che il “populismo di sinistra” (succede anche in Francia con La France Insoumise), non è la chiave corretta per disarticolare la macchina neoliberista.
Norma Rangeri, sul Manifesto del 27 maggio scorso, scriveva che “La prima lezione che viene dalle urne ci dice che il problema di unire le forze ormai non ammette repliche e si ripresenterà alle elezioni politiche”. È un ritornello che sento spesso, come quello che il problema è dei gruppi dirigenti dei partitini che si presentano alle elezioni, che vengono sconfitti e quindi si devono mettere da parte.
A mio parere nessuna delle suddette letture è quella corretta.
Il risultato elettorale è sempre la cifra di quello che succede nella società, nel senso che la crisi della sinistra è una crisi della politica e una crisi della rappresentanza. La classi sociali più colpite dalla controrivoluzione neoliberale cominciata a fine anni ’70 si sono spaccate e infine polverizzate subendo l’ideologia dell’individualismo metodologico. Ogni persona o famiglia è un nucleo a sé stante nella società e l’obiettivo è egoisticamente quello di prevaricare il vicino. Non esiste più la coscienza dei gruppi sociali e i partiti attuali non svolgono la loro funzione di mediazione tra società e istituzioni.
I sindacati di massa, che ancora raccolgono milioni di iscritti, non esercitano più il ruolo di cinghia di trasmissione con la politica: in primo luogo perché non esistono più i movimenti politici di massa nell’era della post-democrazia (trasmettere verso cosa e verso chi?), in cui il rapporto tra eletto ed elettore è costruito sul consenso veicolato da media e social network. In secondo luogo perché si è abbandonato il terreno della lotta quale pratica del conflitto, strumento di riequilibrio dei rapporti di forza tra salario e profitto, e quindi di riduzione di plusvalore assoluto e relativo. Lotta che è propedeutica ad una contrattazione più vantaggiosa per gli sfruttati. Oggi invece si chiede di contrattare in base al principio della delega degli iscritti, non sufficiente se i rapporti di forza rimangono immutati. In terzo luogo manca sia a livello politico che sindacale una struttura ideologica che sappia comprendere il presente. Nel ‘900 il marxismo, nelle sue molteplici versioni, aveva offerto un complesso di strumenti per interpretare il capitalismo, di conseguenza utili per agire onde modificarlo. Da oltre 30 anni invece siamo orfani, senza una concezione del mondo: si è spezzato il filo tra teoria e prassi, e l’agire politico subisce, in maniera molto confusa, l’influsso di tutte le idee che i linguaggi dominanti riescono a produrre.
Unire i piccolissimi partiti a sinistra del PD per le future elezioni può essere un’idea solo per mandare qualcuno nelle istituzioni. Il problema è molto più importante e sistemico, e riguarda una sconfitta epocale che vive il movimento dei lavoratori.
Gli attuali partitini intanto dimostrano, anche per il numero di voti raggiunti, di non rappresentare le lotte che attualmente sono in corso nella società. I conflitti nella logistica e nella gig economy, le lotte femministe, i ‘rigurgiti’ antifascisti durante molti eventi pubblici, le lotte contro i caporalati agricoli, il sostegno ai migranti che attraversano il Mediterraneo rischiando la vita, e così via. Battaglie che dovrebbero trasformarsi, in termini di voto, in qualcosa di concreto. Ma solo una minima parte di tutto ciò finisce nelle liste di sinistra. Un’altra, parrebbe a chi scrive, va al PD oggi leggermente in ripresa grazie alla paura del governo di destra. Una grande parte, sicuramente, alimenta l’astensione.
La scommessa per il futuro non sarà quindi tentare di costituire un partito unico a sinistra del PD o, peggio, andare a governare con il PD stesso (come oggi fanno alcuni partiti radicali in alcune municipalità), ma costruire un progetto che cerchi di dare organizzazione alle tante lotte oggi presenti nella società e, inoltre, intercettare il malcontento di chi non partecipa al conflitto cercando di costruire una coscienza che faccia nascere delle soggettività politiche nuove. Bisogna abbandonare l’ottica elettoralistica e invece lavorare nei rapporti di produzione.
Non si può pensare che questo avvenga nel breve e medio periodo e solo in occasione degli appuntamenti elettorali. È un lavoro di ricostruzione anche ideologica, che implica leggere e affrontare i problemi che il capitalismo moderno ci pone innanzi, il ‘come’ si sviluppano le relazioni di sfruttamento, cercando di rompere o superare la connessione sociale che esiste tra attività lavorativa e produzione del valore.
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