
LA CRISI VISTA DAL SUD
L’8 MARZO:
24 ORE DI SCIOPERO,
NONUNADIMENO
Le matriosche: soggettività molteplici,
trasversali e complesse in Movimento
di Roberta Di Bella 7 marzo 2017
L’8 MARZO:
24 ORE DI SCIOPERO,
NONUNADIMENO
Le matriosche: soggettività molteplici,
trasversali e complesse in Movimento
di Roberta Di Bella 7 marzo 2017
Il 26 novembre 2016 a Roma c’è stata una grande manifestazione nazionale contro la violenza sulle donne con la partecipazione di migliaia di donne, uomini, soggetti LGBTQI e femministe di differente provenienza. Il giorno dopo,il 27, ci si è incontrati ai tavoli tematici e ad un’assemblea plenaria. Il silenzio generale della stampa e dei mezzi di comunicazione, non volendo dare risalto alla “marea” di soggetti in piazza, rendendoli “invisibili”, in realtà ha fatto esplodere l’energia di tutti quei corpi, il loro bisogno di esserci, ed ha aumentato in tutt* la voglia di rivedersi per continuare un percorso sempre più unitario e solidale per il riconoscimento dei diritti delle differenti femminilità che hanno partecipato.
A Palermo c’è stata una prima assemblea il 2 febbraio ed una seconda il 13 dello stesso mese, per discutere dell’organizzazione dello sciopero dell’8 marzo e delle differenti forme di protesta. Prossima tappa, l’assemblea di Non una di meno ad aprile a Roma.
La costruzione del movimento NonUnadiMeno, è scaturita dalle discussioni avvenute a Roma e dalle Assemblee in diverse città, e si è anche sviluppata ed è cresciuta grazie alla costituzione di differenti tavoli: Percorsi di fuoriuscita dalla violenza; Legislativo e Giuridico; Lavoro e Welfare; Diritto alla salute sessuale e riproduttiva; Educazione e formazione; Femminismi e migrazioni; Narrazione della violenza attraverso i media; Sessismo nei movimenti.
Tutte le matriosche (simbolo del movimento) coinvolte dai temi trattati ai tavoli si sono poste l’obiettivo di un documento nazionale, una piattaforma comune contro la violenza sulle donne. Ci si è lasciate alla plenaria anche con la proposta delle donne Argentine di organizzare uno sciopero in ogni città o paese contro la violenza maschile sulle donne, ad oggi i paesi aderenti sono più di 40.
Si è deciso uno sciopero nazionale perché con lo sciopero si vuole una sospensione dal lavoro produttivo e riproduttivo per fare emergere l’importanza e lo sfruttamento dei lavori di cura, interni alla famiglia ma anche agiti nel lavoro “formale-produttivo”. Si è voluto evidenziare come ciò che per il profitto era improduttivo, tutte le attività nella formazione, attività relazionali, consumo, riproduzione sociale, grazie alle trasformazioni del mercato, sono diventate produttive, funzionali al mercato. Per attività riproduttive il Movimento considera non solo quelle connesse alla biologia, ma tutte quelle capacità organizzative, relazionali che noi donne abbiamo sviluppato non per vocazione naturale ma per costruzione socio-culturale e che, nel sistema socio-produttivo in cui viviamo, vengono sfruttate e assimilate in forme lavorative ipocritamente proposte per venire incontro ai bisogni delle lavoratrici, in realtà finalizzate allo sfruttamento di saperi e capacità femminili.
Nell’assemblea del 4-5 a Bologna: si è continuato il lavoro dei tavoli tematici di Roma, approfondendo i temi trattati e proponendo modalità di fuoriuscita dalla violenza, violenza psicologica, fisica, potenziale, attraverso il riconoscimento dei diritti, di un reddito di autodeterminazione, di una formazione alle differenze, di una comunicazione priva di stereotipi, di uno sguardo a tutte quelle forme di potere che si annidano anche nei movimenti, che sono presenti anche nelle relazioni instaurate tra donne e finanche inconsapevolmente in noi stesse, quando non siamo in grado di riconoscerci un valore, riconoscerlo ad altr*, riproducendo relazioni asimmetriche con il mondo.
Punto fondamentale delle assemblee: coltivare un sapere critico verso le relazioni di potere fra i generi e verso i modelli stereotipati di femminilità e maschilità, non promuovere una generica politica delle pari opportunità, ma praticare modalità di stare al mondo fuori da certe relazioni/forme di potere che esistono tra i generi, all’interno dello stesso genere femminile e che riguardano anche le costruzioni sociali e culturali di cosa si intende e rappresenta il femminile e il maschile.
I principi fissati dal movimento Nonunadimeno sono sintetizzati nel seguente pensiero: “la nostra autodeterminazione sessuale e riproduttiva non si tocca. Sul nostro piacere, sulla nostra salute, sulle nostre scelte e sui nostri corpi decidiamo noi; siamo orgogliosamente anomale, sproporzionate, poco produttive e disfunzionali, vogliamo sottrarci alla violenza medica e ostetrica, il diritto all’aborto libero e perché nessuna sia obbligata alla maternità”.
Riguardo la 194, ci si è concentrate sulla regolamentazione dell’obiezione di coscienza dei medici. L’abolizione dell’obiezione di coscienza negli ospedali pubblici con la proposta di fermare l’avanzata illegittima dell’obiezione nelle farmacie e nei consultori. L’importanza del riconoscere i consultori come luoghi di aggregazione e centri culturali per rispondere alle esigenze e ai desideri delle donne e delle soggettività lgbtqi. Luoghi in grado di promuovere e tutelare il diritto alla salute delle persone trasgender, lesbiche, queer, gay, bisex, e intersex. Leitmotiv degli incontri è stato quello di considerare le differenze di cui sono portatori i corpi, non qualcosa da standardizzare.
Orientamento della nostra azione e narrazione del mondo, il partire da sé, riconoscersi come soggetti situati, porsi l’obiettivo dell’autodeterminazione e il riconoscimento di diritti fondamentali per una accettazione diffusa e unitaria della cittadinanza delle donne e di quelle soggettività respinte dalla stessa visione che genera esclusioni e costruisce modelli fondanti ed unici, opporsi pensando pluralità di punti di vista, di modelli, esistenze differenti.
Altri punti affrontati: assicurare il recepimento della direttiva europea sul risarcimento del danno per le vittime di violenza (condanna dell’Italia alla Corte di Strasburgo); riconoscere il diritto dei centri antiviolenza e delle case rifugio già operanti sul territorio nazionale ad ottenere la diretta attribuzione dei fondi per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità in caso di mancato utilizzo da parte delle regioni delle risorse assegnate; netto rifiuto del regime dei confini e sottolineata l’urgenza di una complessiva critica del sistema dell’accoglienza e dell’accesso alla cittadinanza. Si è considerato il peso della dipendenza economica e della precarietà come causa della maggiore vulnerabilità ed esposizione delle donne alla violenza. Si è prospettata la necessità di esenzioni fiscali per il lavoro di cura ed un discorso specifico per le lavoratrici autonome, che sono tendenzialmente prive di qualsiasi forma di tutela, mentre alcune hanno indicato l’urgenza di estendere le tutele anche alle lavoratrici del sesso e alle madri surrogate.
Dalla posizione di subordinazione a cui le donne sono obbligate, sia dal doppio carico di lavoro, sia da una generale penalizzazione della maternità, reale o potenziale, si è discussa la necessità di un salario minimo per riuscire a contrastare i bassi salari, il gender pay gap e i dispositivi di dumping salariale. Da una prospettiva femminista sull’organizzazione del lavoro produttivo e di quello riproduttivo si è discusso della necessità di considerare il problema della maternità e della riproduzione come questione non femminile ma sociale. Così, come altri posizionamenti femministi hanno considerato il binarismo di genere uomo-donna e la norma eterosessuale fondamentali per la riproduzione di soggettività “redditizie”, realizzabili grazie all’esistenza di una governance neoliberale che ha fatto in modo, attraverso ideologie e repressione, che si radicasse e standardizzasse il binarismo di genere, e dunque l’eteronormatività. Tutte espressioni di un pensiero fondamentalista che genera anche quelle forme di violenza che sono state vagliate ai nostri incontri come quella psicologica, economica ed assistita agita nei confronti dei figli/e minorenni nonché le molestie sessuali sui luoghi di lavoro, sul web e attraverso i social media.
Espressa, al tavolo sulle migrazioni, anche l’importanza di garantire protezione e accesso alla giustizia alle donne straniere vittime di violenza, sfruttamento sessuale e lavorativo, tratta e traffico di esseri umani, indipendentemente dalla loro posizione giuridica sul territorio italiano e dalla denuncia, garantendo loro un permesso di soggiorno permanente svincolato dal loro aggressore, assicurando l’accesso ai servizi di protezione e supporto quali consulenze legali, sostegno psicologico.
Per tutte le ragioni sopra elencate, intorno alle quali è solo iniziato un ampio dibattito, è importante essere presenti l’8 in piazza, come cittadin* e con le istituzioni che vogliono aderire. Perché una ‘marea’ si sta diffondendo carsicamente e visibilmente, sviluppando un movimento plurale femminista che grazie a reti nazionali e transnazionali che seguono un percorso democratico dal basso, si sta radicando in diversi paesi del mondo.
L’assemblea aderente a Non una di meno, Insieme contro la violenza maschile sulle donne, il nome con cui è nato l’incontro di differenti realtà femministe a Palermo, coordinerà le varie iniziative proposte da singole ed associazioni per la giornata dell’8 marzo; ci sarà un corteo, proiezioni, letture, testi recitati in piazza; ci sarà anche chi praticherà altre forme di astensione dal lavoro abituale sia nei posti di lavoro che a casa. È un percorso appena iniziato, che continuerà dopo l’8 marzo, e che spero possa sempre più crescere, senza scissioni e problemi al suo interno. A tal proposito, da tutte le assemblee ed incontri, quello che posso rimandare ed immaginare è l’avvio di un nuovo processo orizzontale e democratico di solidarietà, sorellanza, sostegno e alleanze trasversali, senza attaccamenti a gruppi o ideologie, qualcosa che sappia includere, ampliando la platea dei soggetti aventi riconoscimento dei loro diritti, differenti femminili, femminismi, soggettività queer e trans gender, migranti (di qualsiasi credo religioso), non normo-dotate-i, etc, Per sconfiggere tutti i Trump, il bigottismo e l’ipocrisia dei nostri politici, e rompere quel sistema in cui siamo immers* che genera violenza, dobbiamo impegnarci a creare una società in cui tutte le donne – incluse le donne non bianche, le donne indigene, le donne in difficoltà economiche, le donne immigrate, le donne disabili, le donne musulmane, le donne lesbiche, le queer, le donne transgender – siano libere ed in grado di autodeterminarsi.
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