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      • FOLLI E TESTARDI
      • TTIP: L'IMPERO COLPISCE ANCORA
      • CONFINDUSTRIA: GLI OPERAI GUADAGNANO TROPPO
      • GLI ANNI TRENTA PROSSIMI VENTURI
      • UN LAVORO DI CHE GENERE?
      • IL MALE OSCURO (MA NON TROPPO) DEL CAPITALE
      • C'E' UNA LOGICA IN QUESTA FOLLIA
      • BENTORNATI AL SUD
      • MOSTRI DI GUERRA DIRIGONO LE SCUOLE
      • QUELL’OSCURO OGGETTO DELLO SFRUTTAMENTO
      • FINCANTIERI: RIEN NE VA PLUS
      • L'INUTILE FATICA DI ESSERE SE STESSI
      • LAVORO, REDDITO, GENERE: CHE DIBATTITO SIA...
      • RENZI E IL DEGRADO DELLA SCUOLA PUBBLICA
      • SVENDESI INDUSTRIA ITALIA
      • LE CONSEGUENZE ECONOMICHE DI MATTEO RENZI
      • NASCE PALERMOGRAD! LUNGA VITA A PALERMOGRAD! >
        • DONAZIONI
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      • DOPO LE LACRIME. MARADONA E LE FEMMINE
      • LUNGA VITA ALLA SIGNORA (DI FERRO)
      • DOBBIAMO POTER DISCUTERE DI TUTTO
      • DEATH RACE
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      • IL FASCINO DISCRETO DEL MODERATISMO
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      • PRO O CONTRO LA SCUOLA PER TUTTI
      • "NON INCOLPATE NESSUNO", MA I REGISTI SI
      • STENDHAL RAZZISTA AL CONTRARIO
      • IL TEMPO INSEGUE LE SUE VIOLE
      • L’UTOPIA DI SCHULZ
      • ADOLESCENZE FRAGILI
      • IL MARCHESE DI VENEZIA
      • “ANNORBÒ TOTÒ”
      • INVISIBILI MA NON TROPPO
      • UOMINI E LUPI
      • “MARIELLA SE N’È DOVUTA SCAPPARE”
      • LA GIUSTA DISTANZA
      • ROLAND IN CAMPO
      • COME SOLO UN AMANTE FA
      • CERTE NOTTI
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      • LIBRI DELL’ANNO 2016
      • TROPPO BARDO PER ESSERE VERO
      • LA BARBARIE PROSSIMA VENTURA
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      • RESISTENZA: FINE DI UN'ANOMALIA?
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      • SENZA RUOLI, SENZA DESTINI
      • REQUIEM PER IL TEMPO LIBERO
      • DICE CH'ERA UN BELL'UOMO
      • GLI OCCHI, LE MANI, LA BOCCA
      • LA FATICA DI ESSERE BUONI
      • BORGHESIA MAFIOSA E POSTFORDISTA
      • CHI PARTE DA SE' FA PER TRE
      • SCUOLA E GENERE. UN DIBATTITO A PALERMO
      • UN CECCHINO DISARMATO
      • FESSO, FETENTE, FORCAIOLO E FASCISTA?
      • GRAFFITI, POETICHE DELLA RIVOLTA
      • NEOLIBERISTI SU MARTE
      • L'ANIMA DEGLI ANIMALI
      • GATTOPARDI BORGHESI
      • LA VERITA', SE CI SI METTE TUTTI INSIEME
      • DENTRO E CONTRO IL POST-MODERNO
      • BOOM BUST BOOM (English version)
      • BOOM BUST BOOM
      • A QUALCUNO PIACE CALDO (ANCHE AI LIBERAL)
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      • CRITICATE, CRITICATE, QUALCOSA RESTERA'
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L'INFIDA CARTAGO E LA PERFIDA ALBIONE 
di Pietro Giammellaro 06 ottobre 2017


Nell’ambito della campagna di scavo dell’Università di Palermo, si è svolto l’estate scorsa sull’isola di Mozia il ciclo di seminari L’isola plurale, coordinato da Paola Sconzo. Pubblichiamo il testo di partenza dell’intervento di Pietro Giammellaro.
 
 
L’accostamento analogico tra la potenza cartaginese e l’impero britannico costituisce un topos ricorrente nella produzione antichistica europea già a partire dal XIX secolo. Al bel saggio Antichisti e Impero fascista di Mariella Cagnetta si deve un primo inquadramento della questione[1], seguìto, in anni più recenti, dai contributi di Martin Bernal[2], Luigi Loreto[3], Timothy Champion[4] e Corinne Bonnet[5], che hanno focalizzato l’attenzione sulle articolazioni “nazionali” di tale parallelo nella storiografia inglese, francese e tedesca.
In questo breve intervento, vorrei provare a concentrarmi, dunque, sul binomio Fenici/Inglesi nella storiografia e nella propaganda italiana durante il regime fascista. È lecito riconoscere infatti, in tale dibattito, una specificità italiana, legata con ogni evidenza all’identificazione dell’Italia moderna con l’impero romano e all’uso spregiudicatamente ideologico che il Fascismo fece della civiltà di Roma antica, al fine di legittimare la propria “volontà di potenza” sul Mediterraneo attraverso una sconsiderata politica coloniale.
Se nel resto d’Europa la connotazione negativa di Cartagine è in qualche modo problematica, se persino Hitler «non nutriva alcuna antipatia pregiudiziale»[6] nei confronti della metropoli nordafricana, se nella storiografia tedesca la disfatta di Cartagine viene addirittura accostata al destino bellico della Germania nazista, in Italia, al contrario, anche quegli storici accusati di posizioni “filocartaginesi” non nascondono il loro disprezzo – prima razziale, poi politico – verso la civiltà fenicia e punica, e non mancano di rilevarne, in maniera più o meno esplicita, la contiguità con la cultura inglese. È il caso di Gaetano De Sanctis, che in più di un'occasione manifesta il suo compiacimento per la sconfitta punica, condizione necessaria perché l’Africa romanizzata potesse «entrare anch’essa nello sviluppo civile dell'antichità»[7]. Si tratta, è bene ricordarlo, delle parole di un “moderato”, uno storico cattolico lontano dal Fascismo e dai suoi eccessi. Non sarà dunque difficile immaginare le posizioni degli intellettuali organici al regime: il siciliano Emanuele Ciaceri, in un saggio del 1935, indica i Fenici come «commercianti o meglio pirati e mercanti ingordi» e, con malcelato riferimento all’Inghilterra, definisce Cartagine «una grande città industriale», sottolineandone l’inclinazione alla frode e all’inganno[8]; Mario Attilio Levi, appena un anno dopo rende esplicito il confronto tra i due imperi coloniali, attribuendo tuttavia alla Gran Bretagna un mercantilismo più temperato[9]. Ciaceri e Levi non sono che due esempi tra i molti che si potrebbero menzionare: com’è stato più volte rilevato[10], gli sforzi di tutta l’antichistica italiana sotto il Fascismo sono pressoché unanimemente concentrati nell’esaltazione entusiastica di Roma come referente ideale dell’Italia mussoliniana: un’operazione ideologica che comporta necessariamente la svalutazione di Cartagine e, con essa, dell’Inghilterra.
C’è però uno studioso che più degli altri si intesta il ruolo di “nemico dei Punici” e dell’Impero britannico; si tratta dello storico Ettore Pais[11], uno dei più celebrati classicisti del Ventennio, formatosi alla scuola di Mommsen e assurto poi ai più alti ranghi dell’Accademia e della politica italiana – fu anche, occorre ricordarlo, tra i più quotati ghost writers di Mussolini.
Il parallelo analogico tra civiltà fenicio-punica e cultura britannica emerge in filigrana da gran parte della sterminata produzione di Pais, fin dai suoi primi lavori su temi di storia arcaica delle regioni italiane. Lo studioso sceglie però di rendere esplicito l’accostamento e di farlo emergere con tutta la sua potenza evocativa in due opere specifiche, redatte a dieci anni di distanza l’una dall'altra e dunque concepite con un differente sistema di equilibri tra contenuti scientifici e motivazioni politico-ideologiche.
Mi riferisco ai due volumi della Storia di Roma durante le guerre puniche, del 1927, e al celebre Roma dall’antico al nuovo impero, pubblicato nel 1938. Il ponderoso saggio del 1927 costituisce, nelle intenzioni dell’autore, il naturale compimento e la prosecuzione ideale di due scritti precedenti, la già citata Storia dell’Italia antica e la Storia di Roma dalle origini fino allo scoppio delle guerre puniche. Sugli intenti propagandistici dell’opera non c’è ragione di dubitare: la dedica a «S. E. Benito Mussolini capo del governo» e le entusiastiche affermazioni relative al «nuovo assetto politico che Voi date all’Italia» ne danno una testimonianza inequivocabile[12].
E tuttavia è ancora possibile intravedere, nella Storia di Roma durante le guerre puniche, il tentativo di conferire al testo almeno una patina di scientificità: l’impiego costante delle fonti antiche, la presenza di un’ampia documentazione grafica e fotografica e la profusione di note bibliografiche ed esplicative sul piano formale, una certa moderazione nel tratteggiare le caratteristiche della civiltà fenicia e punica sul versante del contenuto, rispondono con ogni evidenza a questa necessità.
Le posizioni politiche di Pais vengono espresse così proprio attraverso il continuo e insistente confronto tra Cartagine e l’impero britannico. Le ragioni di tale confronto risiedono innanzitutto nella comune attitudine – propria dei popoli “mercantilisti” – a risolvere i conflitti politici ed economici non sul piano militare bensì tramite i sottili e astuti sotterfugi della diplomazia: «Il guerriero Cartaginese, in tutto il corso della storia della potente Nazione punica, mostrò di saper morire per la patria, ma simile al moderno Britanno, che da abile mercante si trasforma, occorrendo, in leone, l’accorto Cartaginese preferiva i fini e penetranti mezzi della diplomazia e del commercio»[13].
L’impero cartaginese era, in altre parole, solo un impero di mercanti «conseguito non per vigoria intrinseca di una stirpe guerriera, quale era la romana, ma con accorgimenti ed astuzie politiche, che fanno ripensare a quelle ben note di cui si valgono potenti Nazioni marittime dell’età moderna»[14].
Un tema corollario ma non meno rilevante riguarda poi la composizione dell’esercito punico, formato prevalentemente da mercenari: «Simile all’odierna Inghilterra, Cartagine bene sapeva che con l’oro avrebbe sempre e dovunque trovato altre genti che per la sua sicurezza versassero il proprio sangue»[15]. La tendenza a «versare il sangue altrui piuttosto che il proprio»[16] è messa in relazione da Pais con il carattere eminentemente plutocratico della “Nazione” cartaginese, che, col solo scopo di accrescere i propri guadagni, aveva occupato tutti i gangli fondamentali del commercio marittimo nel Mediterraneo, non diversamente dall’impero coloniale britannico:
«Anche oggi, dopo tanti secoli di vita storica le Nazioni che circondano il Mediterraneo sono subordinate agli interessi commerciali della grande Britannia che, a somiglianza dello Stato punico, con le sue squadre navali impone dovunque la sua supremazia marittima e la sua politica commerciale. La potenza dell’antica Cartagine al pari dell’inglese fu mantenuta dal rapido accorrere su ogni costa mediterranea di flotte, costitute da navi superiori per costruzione e per abilità di ciurme a quelle delle altre Nazioni. Anche Cartagine, come la moderna Inghilterra si assunse l’ufficio di monopolizzare e di distribuire nel mondo, a seconda dei suoi interessi nazionali, materie prime e prodotti industriali. Se ai giorni nostri una nave diretta verso lidi lontani non corre più rischio, come ai tempi cartaginesi, di venir affondata, il canale di Suez e lo stretto di Gibilterra sarebbero inesorabilmente chiusi per tutte le nazioni del Mediterraneo, che osassero opporsi agli interessi ed al volere della potente Nazione britannica “che governa le onde del mare”»[17]
La supremazia britannica sul Mediterraneo rappresenta nel ragionamento di Pais una vera e propria ossessione; sotto questa specie, il paragone con Cartagine appare al lettore moderno poco più che un pretesto: per tutto il corso della trattazione, ogni volta che l’autore si accinge a delineare le caratteristiche della talassocrazia punica, non manca puntualmente di rilevarne la pericolosa analogia con l’Inghilterra[18].
A undici anni dalla pubblicazione della Storia di Roma durante le guerre puniche, Pais torna ancora una volta sul nesso Cartagine-Inghilterra. È il 1938, un anno particolarmente significativo dal punto di vista delle politiche razziali in Italia: in luglio il Giornale d’Italia pubblica in forma anonima il Manifesto degli scienziati razzisti, riedito poi, con le firme di alcuni tra i maggiori accademici italiani, ad agosto, nella neonata rivista La difesa della razza; tra settembre e novembre scattano i primi provvedimenti razziali nei confronti degli ebrei.
Il saggio di Pais porta un titolo eloquente, Roma dall’antico al nuovo impero: si tratta, stavolta, di un’operazione ideologico-politica scoperta, di uno scritto propagandistico camuffato (neppure troppo bene) da letteratura scientifica, che inneggia all’«impeto travolgente della rivoluzione fascista»[19], richiamando «i fausti giorni in cui, conseguita – grazie al genio e all’inesauribile energia di Benito Mussolini – la conquista dell’Impero Etiopico, l’Italia riafferma – tra i popoli dell’Europa civile – quelle virtù che resero immortale il nome dell’antica Roma»[20]. Scompare il paludamento della prosa accademica, per cedere il posto a una scrittura meno controllata e al contempo più forte e lapidaria, finalizzata, nell’intento dell'autore, alla «educazione storica del popolo e della gioventù»[21].
Entro un simile contesto, la polemica anticartaginese si sovrappone in tutto e per tutto alla polemica antibritannica: i due popoli rappresentano ormai, nel disegno storiografico di Pais, un unico, metastorico nemico dell’Italia, da debellare nel presente con la stessa determinazione con la quale è stato debellato nel passato. Reagendo con forza all’ipotesi di un paragone tra impero romano e impero britannico, un’ipotesi formulata per lo più sul versante della storia del diritto[22], Pais mette in campo stavolta una violenta requisitoria, non risparmiando pesanti giudizi di valore e utilizzando toni e argomenti di carattere ormai scopertamente razzistico:
«Per chiarire le caratteristiche dell’Impero britannico di fronte alla civiltà antica e particolarmente latina, ancor più che il confronto tra l’opera dell’antica Roma e quella posteriore dell’Inghilterra, giova notare i punti di analogia e di contatto tra la Moderna Britannia e l’antica Cartagine. In modo affatto analogo a quello tenuto dalla gente inglese, e ben diverso dal romano, Cartagine, mossa da sentimenti egoistici, rivolse soprattutto le sue cure agli interessi commerciali e finanziari, sfruttati dapprima dalle plutocratiche classi mercantili, più tardi anche dalla plebe urbana, a danno delle colonie. Perciò queste, come Cadice e Utica, abbandonata la loro metropoli politica si unirono ai nemici della propria nazione, ai Romani, allorché questi offrirono loro migliori condizioni»[23].
Ancora una volta, il nesso più evidente tra Fenici e Inglesi è costituito secondo il nostro autore dallo spregiudicato mercantilismo plutocratico, totalmente estraneo – a suo dire – alla cultura romana. Ma non è questo l’unico anello di congiunzione; dalle politiche economiche all’atteggiamento nei confronti degli alleati, praticamente ogni aspetto della vita istituzionale dei due popoli contribuisce ad avvalorare la tesi di fondo: «basta ricordare – afferma Pais – l’imposizione fatta agli indiani di rinunziare alle eleganti e fiorenti industrie locali, a cui si sovrapponevano forzatamente prodotti usciti dalle fabbriche inglesi. Per analoghe ragioni, generali di stirpe libio-fenicia, esclusi da quegli onori, che solo a sé riservava la metropoli punica, non esitarono ad unirsi a Roma»[24].
Non manca poi un riferimento alla proverbiale fides punica, che viene dallo studioso attribuita tout court anche alla “perfida Albione”:
 
«fra tutti i tratti che associano la storia politica e sociale dell’Inghilterra a quella dell’antica Cartagine, sono caratteristici quelli che si riferiscono alla politica navale e finanziaria e alle relazioni diplomatiche con i vari popoli. Preoccupazione costante dei Puni fu, e lo è tutt’ora per la moderna Inghilterra la ricerca e il possesso esclusivo di tutti i porti, di tutte le miniere che permettono l’accumulo dell’oro, strumento precipuo di potenza e di corruzione. Per raggiungere tali fini, Cartagine non conobbe scrupoli. La “fede punica” divenne proverbiale, come più tardi il detto “Perfida Albione”. La diffidenza e l’astuzia con cui Cartagine impediva agli altri stati la navigazione verso i suoi porti e le sue colonie, fan ripensare ai mezzi coi quali la gente britannica si impadronì di punti strategici, ad esempio di Gibilterra e di Malta, e si rese di fatto padrona del Canale di Suez, e aspira oggi a dominare su tutto quanto il Continente africano»[25].
 
Questi gli argomenti di Pais, che, nella sua trattazione, non risparmia feroci critiche alla politica coloniale inglese, stigmatizzando l’uso violento delle armi – specie nel conflitto coi Boeri e nella cosiddetta “Guerra dell'oppio” – e la tendenza a sottomettere popoli e culture anche vicine, come quella irlandese. Questo attacco diretto si risolve poi in una vera e propria minaccia all'Inghilterra; una minaccia che, di nuovo, passa attraverso il filtro di Cartagine:
 
«se da un lato l’eccessiva ricchezza conduce ad un irrazionale egoismo, eccita d’altra parte l’invidia degli Stati defraudati dei loro mezzi essenziali di sussistenza. L’egoismo e l’eccessiva ricchezza produssero, nell’antichità, la perdita dei Cartaginesi. [...] Mussolini ha avuto il coraggio di guardare fisso negli occhi l’Inghilterra, di valutarne le intenzioni, la fede e la reale potenza; ed ormai, dopo la conquista dell’Abissinia, l’Italia non sopporterà più una ostile preponderanza di qualsiasi altra Nazione nel Mediterraneo, chè anzi in questi giorni il nostro Governo ha enunciato il proposito di sorvegliare e difendere i suoi interessi su tutti gli Oceani»[26].
 
Se questi sono i toni adottati dalla storiografia “scientifica”, è facile farsi un’idea del livello del dibattito in sedi più squisitamente propagandistiche. Il linguaggio si fa più rude, gli attacchi più violenti, la qualità dell’argomentazione se possibile ancora più evanescente.
Sul fronte della propaganda sono in molti a intestarsi la battaglia contro il nemico anglo-punico: lo speaker radiofonico Mario Appelius[27], nella sua Requisitoria contro l’Inghilterra, definisce l’impero britannico come un «gigantesco conglomerato di possedimenti coloniali e di conquiste territoriali, costituito da un popolo di pirati e di mercanti», un «mostruoso impero d’essenza fenicia accampato con la sua massa nei cinque continenti»[28].
Ma gli attacchi più duri arrivano dalla celebre rivista La difesa della razza[29], fortemente voluta da Mussolini e diretta dal giornalista Telesio Interlandi[30]. Uscita con cadenza quindicinale dal 1938 al 1944, La difesa della razza raccoglie i contributi di giornalisti, scienziati e intellettuali sostenitori delle diverse correnti del razzismo italiano[31].
Gli elementi del contatto tra Fenici e Inglesi restano, almeno in una prima fase, quelli individuati dalla storiografia antichistica. Il mercantilismo plutocratico continua ad essere il più scottante dei paralleli analogici, sempre accompagnato dall’accusa di mala fede; così si esprime in proposito il corrispondente Giuseppe Grieco in una lettera intitolata L’Inghilterra e l’onore:
 
La storia è piena di documenti della malafede britannica. [...] Per un popolo mercantile come l’inglese, non può valere che la legge dell’interesse egoistico. [...] Mercante e pirata, ecco il vero volto dell’inglese, quando cade la maschera sovrappostavi da secoli di “ipocrisia” e di “politica”. Questa seconda e più feroce Cartagine, ora che è ridotta agli estremi, scopre gli artigli in un ultimo disperato tentativo di resistenza. Invano. La nuova Europa creata da Mussolini e da Hitler le sta sopra brandendo la spada della giustizia. E giustizia sarà fatta[32].
 
Risvolto più immediato della politica mercantilistica, anche le modalità della colonizzazione diventano un nodo centrale dell’identificazione tra Fenici e Inglesi, i due popoli cui per antonomasia è attribuita un’attività coloniale tesa esclusivamente allo sfruttamento di risorse umane e naturali, senza alcun intento di “civilizzazione”[33].
Ritorna il tema della composizione degli eserciti, costituiti entrambi da mercenari e per questo destinati a soccombere nello scontro con le potenze nemiche: è ancora Giuseppe Grieco, con una lettera dall’Etiopia, a sottolineare il valore dei soldati italiani a confronto con i «biondi figli della pallida Albione»:
 
«Che cosa valgono, a confronto di queste fiere tempre di legionari, i biondi figli della pallida Albione, che hanno preteso di imporre in eterno al mondo la loro pesante cappa di mercanti? La risposta è alle armi, non alle parole [...]. Ma non c’è forse qualcosa di fatale nel fatto che proprio noi italiani siamo chiamati a vibrare il colpo mortale al più gigantesco impero di mercanti sorto dopo quello di Cartagine? Lunga e sanguinosa fu allora la guerra. Ma poi Cartagine cadde. Anche l’Inghilterra cadrà. E presto. Questi soldati ce ne danno la certezza infallibile»[34].
 
E ancora:
 
«poiché tali sono i popoli, tali i loro eserciti, Cartagine, nazione puramente mercantile, o plutocratica che dir si voglia, non poteva avere, come non possono averlo le moderne nazioni plutocratiche, Inghilterra e Stati Uniti d’America, un esercito proprio, ma era obbligata a servirsi di un’accozzaglia raccogliticcia e mercenaria, dove non mancavano le truppe di colore, perché a lato al cavaliere numida abbronzato dal sole e all’etiope nero dai capelli crespi e dal naso camuso vi combatteva il fromboliere delle Baleari»[35].
 
Col passare del tempo, cominciano però a comparire nuovi spunti di collegamento tra Inglesi e Fenici. L’immagine di dissolutezza e sfrenatezza sessuale propria dell’Oriente, propagandata nei libri di storia come nei romanzi di successo[36], viene accostata ben presto alla lussuria e alla “immoralità della razza inglese”, scandagliata da numerosi articoli (corredati da eloquenti immagini) e addirittura oggetto di un intero fascicolo[37].
Il tema dello sfruttamento dei popoli colonizzati e dello schiavismo si fa sempre più martellante, specie in riferimento all’Africa Coloniale[38]. Il culmine di questo processo si raggiunge con l’identificazione del Protestantesimo, e dell’Anglicanesimo in particolare, con le antiche religioni semitiche. Vale la pena di riportare, a questo proposito, la risposta di Massimo Lelj[39] alle rimostranze di un lettore, tale Francesco Jemma, indignato per un articolo contro la religione protestante:
 
«La midolla italiana è cattolica. [...] Non lo vedete sotto i vostri occhi che l’ideale degli imperi europei è quello di dosare la sussistenza dei popoli, con il ricatto delle cosiddette materie prime? Abbiamo gli imperi della materia, e per l’impero della materia si fanno guerre, non per altro onore. Guerre per tener soggetti i popoli alla materia. Quanto non ha lavorato anche il laboremus protestante, non diciamo alla sconfitta dell’Invincibile Armada, ma a costruire il patrimonio dei miliardari? Il patrimonio? Lo spirito cartaginese degli europei. Di questo si tratta. Non ve lo ha detto Marx che la sostanza dell’umanità ha la stessa iniziale della parola materia? Chi meglio di lui ve lo poteva dire? Egli europeo. Egli ebreo, cioè di sangue mercantile o semita, come i cartaginesi. Ora [...] è certo che il Dio di Cartagine non è cattolico, e che Cartagine è una questione di vita e di morte per Roma»[40].
 
E ancora:
 
«Bisogna che Jemma consideri che cosa significhi per noi cattolico, che cosa protestante per gli inglesi e generalmente per l’Europa. Ma che non cerchi questo significato nell’economia o nelle dottrine politiche, ma nel diverso concetto della vita, diverso dal cattolico, in cui consiste ancora, all’atto pratico, il protestantesimo. Bisogna che Jemma si decida a considerare se la società, quale è nata dalle rivoluzioni inglesi ed europee, non gli possa ricordare altre società, per quanto antichissime, come per esempio la cartaginese. E si decida a cercare il significato di quella alternativa, che diceva: o Roma o Cartagine. Gli sembra forse indifferente che scomparisse Cartagine e Roma vincesse? Non gli sembra questo il trionfo di un diverso modo di vivere, diverso dal cartaginese? E le rivoluzioni hanno riedificato Roma o Cartagine? Roma era un matriarcato mercantile o invece ebbe la spina dorsale nell’eroismo e nella comunicazione degli auspici alla plebe? E che differenza c’è tra una società fatta d’eroismo plebeo e un’altra fondata nel commercio?»[41]
Sono parole dure, che collocano in un passato immaginario una contrapposizione ante litteram tra cattolici e protestanti. Su queste basi religiose, e sulla doppia equazione Inglesi = Fenicio-Punici e Fenicio-Punici = Ebrei , non sarà difficile prima veicolare sottilmente, poi proclamare a gran voce la sostanziale identità tra Inglesi ed Ebrei.
Titoli come I due popoli eletti [42], Il dilagare dell’influsso ebraico in Inghilterra[43], Giudaismo fomentatore del Protestantesimo [44], Nobiltà anglosassone oppure nobiltà anglo-giudaica?, Somiglianze tra il Giudaismo e la religione degli Inglesi[45], e molti altri, non sono che le manifestazioni più evidenti e superficiali di una propaganda capillare che trasuda da ogni colonna della Difesa della razza, e che sfocerà in un attacco all’Inghilterra collocato su un piano ormai squisitamente razziale, come documentano i molti numeri della rivista che dal 1943 vengono dedicati monograficamente all’inferiorità razziale degli anglosassone.
 
Vorrei concludere ritornando per un momento alla storiografia accademica. Nel novero degli antichisti propugnatori dell’accostamento tra Fenici e Inglesi c’è una singolare eccezione: si tratta dell’archeologo Biagio Pace, fascista anch’egli, firmatario del Manifesto della Razza nonché titolare di importanti incarichi istituzionali durante il regime. Biagio Pace era uno studioso del Mediterraneo antico, e fu autore di una monumentale – e ancora per certi versi valida – opera sulle antichità di Sicilia[46]: ad un intellettuale col suo profilo scientifico, prima che ad altri, doveva venire in mente un collegamento così immediato. Al contrario, nella sua produzione, pure non immune dal mito di Roma e pregna di nazionalismo fascista, non sembra si trovi traccia del paragone.
Io credo che la ragione di una simile assenza sia da ricercare nella breve ma intensa esperienza dello studioso sul campo, nel corso dei primi scavi sull’isola di Mozia. Pace fu il primo archeologo italiano a studiare la presenza fenicia in Sicilia, e lo fece su sollecitazione del proprietario dell’isola di Mozia, l’inglese Joseph Whitaker. In quell’occasione Pace strinse un forte legame anche con gli altri membri della famiglia Whitaker. Il rapporto intimo e sincero con essi accompagnò tutta la sua esistenza, così come anche l’interesse per la civiltà fenicia e punica, concretizzatosi in numerosi e importanti saggi[47].
Proprio in ragione di questa sua esperienza diretta (e per certi versi simultanea) dei Fenici e degli Inglesi, nonostante la sua totale adesione a molti aspetti dell’ideologia della romanità fascista, Pace non cadde mai in questo tranello basato su un malinteso gioco di specchi e finalizzato alla demonizzazione di un nemico politico su base razziale. Non mancano, negli scritti di Pace, giudizi anche duri sullo «spirito del popolo inglese», tuttavia sempre accompagnati da una certa (quasi involontaria) ammirazione, e comunque sempre mediati dalla frequentazione diretta di una famiglia inglese in carne ed ossa[48].
 
Come sempre accade nei regimi totalitari, l’intolleranza prospera su un tessuto di non-conoscenza, di mancata esperienza dell’alterità, sia essa presente nella realtà contemporanea o proiettata nel passato. E mi sembra che un discorso analitico su questo tipo di rappresentazioni culturali, proprie delle dittature europee della prima metà del Novecento, possa costituire un utile esercizio demistificatorio; un antidoto, sia pur limitato e circoscritto, contro le analoghe rappresentazioni culturali che anche oggi, sempre più spesso, tendono a stigmatizzare in termini squisitamente ideologici le diverse comunità di immigrati stranieri in Occidente, costruendo a tavolino e veicolando attraverso i mezzi di comunicazione di massa identità immaginarie e alterità radicali vicine forse più alla Difesa della razza che alla stampa libera delle grandi democrazie occidentali.
 
 
 



[1]    Cagnetta 1979, 89-95; cfr. anche Cagnetta 1977, 202-204 e Perelli 1977, 215-216.

[2]    Bernal 1991, 437-443.

[3]    Loreto 2000.

[4]    Champion 2001.

[5]    Bonnet 2000; In generale sull’immagine dei Fenici nella storiografia occidentale si veda il bel saggio di Liverani 1998.

[6]    Loreto 2000, 825.

[7]    De Sanctis 1964, 75. Gaetano De Sanctis fu tra gli autori della voce Cartagine dell’Enciclopedia Italiana: anche in questo scritto non mancano pesanti giudizi di valore sulla civiltà punica, e sulle stirpi semitiche in generale, e continua a dominare una prospettiva storiografica che tematizza, nella storia del Mediterraneo antico, lo scontro ciclico tra Ariani e Semiti; vale la pena di citare il passo in cui lo studioso formula un bilancio conclusivo dei conflitti fra  Greci e Cartaginesi in Sicilia: «Queste guerre fra Arî e Semiti per il possesso della Sicilia hanno nella storia della civiltà antica un’importanza non lieve. Con smisurati sacrifizî e con indomabile energia i Greci hanno salvato dal dominio orientale l’isola, serbandola a prezioso avamposto della civiltà occidentale. E quando [...] erano sul punto di cedere, sopravvenne a prendere il loro posto un altro popolo ario, il romano» (De Sanctis 1931,  212). Occorre precisare che, diversamente da De Sanctis, gli altri autori della voce (Giorgio Levi Della Vida, Biagio Pace e Pietro Romanelli) tendono in questa sede ad astenersi da giudizi e valutazioni di merito. Sull’atteggiamento desanctisiano nei confronti di Cartagine cfr. Canfora 1977, 98 e Cagnetta 1990, 215.

[8]    Ciaceri 1935, 31. Sulle idee di Ciaceri a proposito delle culture semitiche nel Mediterraneo antico cfr. Giammellaro 2008 a, 66-73.

[9]    Levi 1936, 60-64.

[10]  Cagnetta 1979 e, più recentemente, Giardina-Vauchez 2000, 212-296 con ampia bibliografia.

[11]  Sulla figura e l’opera di Ettore Pais cfr. la recente raccolta di saggi a cura di Polverini 2002.

[12]  Pais 1927, IX. Vale la pena di ricordare che, proprio in queste pagine, Pais fa esplicito riferimento ad una celebre conferenza tenuta dallo stesso Mussolini presso l’Università per stranieri di Perugia il 5 Ottobre 1926, dal significativo titolo Roma antica sul mare. All’inizio di tale prolusione, pubblicata tre anni dopo in un volumetto, l’oratore dichiara con dovizia di particolari i riferimenti bibliografici del suo intervento, tra i quali, non a caso, compaiono ben due titoli di Pais (Storia critica di Roma del 1913, e Ricerche sulla storia e sul diritto pubblico di Roma, edite tra il 1915 e il 1921). Ma l’acribia della trattazione e le modalità dell’argomentazione ricavabili dal testo fanno pensare a un intervento ben più incisivo da parte dello storico: direi anzi che tutto l’impianto della conferenza risente con ogni probabilità del suo intervento diretto.

[13]  Pais 1927, vol. I, 48.

[14]  Pais 1927, vol. I, 47.

[15]  Pais 1927, vol. II, 361-362.

[16]  Pais 1927, vol. I, 47.

[17]  Pais 1927, vol. I, 64.

[18]  Solo a titolo esemplificativo cfr. Pais 1927, vol. I, 90: «[a proposito della situazione del Mediterraneo all’inizio del III sec. a.C.] si veniva a creare una situazione analoga a quella in cui si trovano oggi le Nazioni mediterranee d’Europa, controllate, per non dire sottomesse al larvato dominio dell’Inghilterra, che nel fatto è signora del canale di Suez e dello stretto di Gibilterra»; vol. I, 138-139: «Cartagine, assoluta padrona del mare, disponeva di velocissime e ben costrutte quinqueremi. Così oggi l’Inghilterra domina il mondo con la potenza delle navi alle quali ha dato il nome di “Imperterrite” (dreadnougts)»; vol. I, 182: «Ove non avesse esercitato predominio nell’Adriatico, Roma non avrebbe potuto sicuramente combattere contro Annibale. Controllo di flotte straniere non concede anche oggi in quel mare libertà di movimento all’attività politica degli Italiani, sebbene questa sia in primo luogo chiamata a svolgersi nel più ampio bacino occidentale del Mediterraneo»; vol. II, 256: «Nessuno stato marittimo era in grado di rivaleggiare con Cartagine. Cartagine aveva quella posizione privilegiata che oggi di fronte alle altre Nazioni d'Europa conserva l’Inghilterra».

[19]  Pais 1938, 9.

[20]  Pais 1938, XV.

[21]  Pais 1938, XIV.

[22]  Significativi in questo senso sono, ad esempio, alcuni scritti del giurista Giovanni Pacchioni: Pacchioni 1907 e Pacchioni 1937 (in particolare il IX capitolo, intitolato Organizzazione imperiale romana e britannica).

[23]  Pais 1938, 430.

[24]  Pais 1938, 430-431.

[25]  Pais 1938, 431.

[26]  Pais 1938, 435-436.

[27]  Su Mario Appelius cfr. De Caro 1961.

[28]  Appelius 1999, 153.

[29]  La difesa della razza è stata recentemente oggetto di due saggi: mi riferisco al libro di Pisanty 2006-2007, che offre una selezione antologica a carattere tematico della rivista, e alla pregevole monografia di Cassata 2008, dal profilo storiografico decisamente più consistente, e con un ricco e utile apparato iconografico.

[30]  Su Telesio Interlandi cfr. Canali 2004 con bibliografia precedente e Cassata 2008, 5-55.

[31]  Sulle varie anime del razzismo fascista rimando all’illuminante saggio di Raspanti 1994.

[32]  La difesa della razza III, n. 19, Questionario, pp. 44-45.

[33]  Cfr. per esempio l’articolo di A. Petrucci intitolato Il fallimento della colonizzazione britannica in Africa, in La difesa della razza II, n. 20, pp. 19-21.

[34]  La difesa della razza III, n. 23, Questionario, p. 47.

[35]  A. Guerrieri, Il Mediterraneo e la civiltà ariana, in La difesa della razza IV, n. 15, pp. 11-15

[36]  Said 2001, 189.

[37]  La difesa della razza VI, n. 9. Il titolo di testa della rivista così recita: «In questo fascicolo si documenta l’immoralità della razza inglese. Tra un mese un numero speciale sulla “inciviltà” britannica».

[38]  Tutto il numero 7 dell'anno VI (1943) è dedicato a questo tema: «Questo fascicolo documenta gli orrori dell’Inghilterra schiavista». Cfr. anche, tra gli altri, l'articolo di F. Graziani Delitti di Albione contro le razze: la tratta dei negri d’America, in La difesa della razza IV, n. 15, pp. 18-20

[39]  Massimo Lelj fu il curatore del Questionario (una sorta di posta dei lettori) della Difesa della razza dalla nascita della rivista al Dicembre 1940. Sul suo profilo biografico e sulle caratteristiche del Questionario cfr. Cassata 2008, 315-340.

[40]  La difesa della razza III, n. 3, Questionario, pp. 44-45.

[41]  La difesa della razza III, n. 7, Questionario, p. 46.

[42]  La difesa della razza IV, n. 7, pp. 6-8.

[43]  La difesa della razza II, n. 11, pp.29-30.

[44]  La difesa della razza III, n. 17, pp. 42-44.

[45]  La difesa della razza IV, n. 2, pp. 28-30.

[46]  Si tratta dei quattro volumi di Arte e civiltà della Sicilia antica, pubblicati tra il 1935 e il 1949.

[47]  Solo per ricordarne alcuni, Prime note sugli scavi di Mozia del 1915, Ricerche cartaginesi del 1925, Le fortificazioni di Cartagine del 1930, oltre alla carta archeologica di Cartagine, redatta in collaborazione con R. Lantier e a una parte della già citata voce Cartagine dell’Enciclopedia Italiana (cfr. supra, nota 7).

[48]  Sui rapporti tra Pace e la famiglia Whitaker, mi permetto di rinviare al mio Giammellaro 2008 b, passim.




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