
ESULI A PALERMO
di Richard Brodie 26 febbraio 2016
di Richard Brodie 26 febbraio 2016
La sera di venerdì 19 febbraio si è svolta a Palermo l’Assemblea Gambiana – sperabilmente solo la prima di una serie - organizzata da un gruppo di ragazzi gambiani che abitano al centro per i senzatetto di Biagio Conte, in collaborazione con il circolo Arci ‘Porco Rosso’. L’incontro, cui hanno partecipato circa sessanta persone,è stato aperto da Fausto dell’Arci, dopodiché quattro oratori hanno fatto brevi interventi su aspetti diversi delle lotte sociali cui hanno preso parte in patria e su quelle in cui sono impegnati oggi in Italia.
Il primo a prendere la parola, Batch, dopo aver ringraziato la squadra di soccorso in mare e gli attivisti di Palermo, ci ha parlato dell’attuale deplorevole situazione in Gambia, un piccolo stato formatosi intorno ad un fiume “nella bocca” del Senegal, in cui vivono meno di due milioni persone. Il governo, controllato dal dittatore Jammeh nel corso degli ultimi tre decenni, sostiene di aver ricevuto più voti del totale degli elettori, e attribuisce un numero insignificante di consensi alle candidature indipendenti. I partiti politici esplicitamente all’opposizione sono invece illegali; e la maggiore parte di coloro che cercanooggi un rifugio a Palermo fanno parte di uno di tali partiti. Batch ha sottolineato il fatto che l’impiego della violenza da parte del regime ha assunto caratteri stragistici. E d’altro canto le promesse da parte dello Stato di rimettere in sesto l’economia sono prive di fondamento: basti pensare che il prezzo del riso è decuplicato in soli tre anni.
Ousman, il secondo gambiano intervenuto, ci ha raccontato in breve i diversi viaggi attraverso cui lui e suoi compatrioti hanno raggiunto la Sicilia: chi attraverso la Nigeria, chi attraverso il Senegal, tutti infine attraverso la Libia e il Mar Mediterraneo. Il terzo oratore, Bakeba, ha spiegato come, a Lampedusa, a causa del nuovo sistema degli “Hotspot” introdotto dall’UE e messo in opera dalle autorità italiane, questo gruppo di gambiani abbia immediatamente ricevuto notifica di respingimento, con l’ordine di lasciare l’Italia entro sette giorni. Questo attraverso un documento che è stato chiesto loro di firmare senza alcuna informazione in merito ad altre eventuali opzioni o anche soltanto sulle conseguenze della firma; e in un momento di inevitabile disorientamento in seguito al viaggio di fortuna per mare e senza potersi giovare di un’adeguata traduzione. Com’è già stato documentato, questi ragazzi sono in seguito stati abbandonati nelle strade agrigentine: evidentemente si riteneva che i migranti dovessero essere assorbiti nella massa dei senza-documenti che continua a crescere in Europa. È meno certo che si riesca mai a capire cosa i responsabili di tali decisioni immaginassero del futuro di questi profughi politici da quel momento in poi. Grazie alla fortuna ed anche all’auto-organizzazione di alcuni militanti, questo gruppo in particolare è riuscito a portare le notifiche in tribunale, dove un giudice le ha sospese per anticostituzionalità.
Ebrim, che vive in Italia da più di un anno e ha ricevuto protezione internazionale, è stato l’ultimo a intervenire e ci ha descritto le condizione di vita presso il centro di Biagio Conte. Ponendo l’accento sulla gratitudine collettiva dei gambiani nei confronti del prete laico (che ha recentemente effettuato uno sciopero della fame per protestare contro il tentativo di vendere il lotto su cui sorge la missione ad un centro commerciale: le forze del capitale contro la forza della carità, insomma), Ebrim ha comunque dovuto rilevare gli effetti negativi sulla salute che risultano dall’affollamento del centro, dove si dorme fianco a fianco, un centinaio per stanza. Il fatto che l’accoglienza dei profughi in città pesi quasi esclusivamente sulla carità del centro è di per sé abbastanza vergognoso: ma – se possibile – è ancora più grave la vicenda specifica di questi ragazzi, che sono chiaramente profughi politici cui dovrebbe andare un sostegno statale.
Si tratta di una situazione contraddittoria, che fa pesare la gestione europea e italiana della crisi dei confini sulle spalle di profughi le cui motivazioni sono eminentemente politiche: infatti questi ragazzi sono cresciuti in un paese con una popolazione solo un po’ più numerosa di quella della provincia palermitana e che è stata governata, per una generazione almeno, tra violenza e corruzione mafiosa ai peggiori livelli. In questi mesi i nuovi report di alcune associazioni per i diritti umani parlano di squadre speciali che rispondono direttamente ai vertici dello stato e che eseguono rapimenti, torture e uccisioni: con il peggioramento dell’economia, negli ultimi anni, la repressione politica si è infatti rafforzata. Il grosso della resistenza politica è pertanto organizzata dagli esuli, in Senegal come in altri paesi. La quasi totale repressione della libertà di parola in patria significa che l’auto-organizzazione e l’espressione politica dei gambiani a Palermo non è solo una cosa importante dal punto di vista di migrazioni e confini, ma un aspetto, sebbene piccolo e bisognoso di sostegno, del movimento internazionale contro il regime dittatoriale, che a sua volta ha promesso violenza ritorsiva agli esuli che dovessero far ritorno in patria. Un altro ragazzo gambiano ha perciò sottolineato come, pur desiderando rientrare in Gambia nel futuro, potrà farlo solo quando la dittatura sarà caduta.
D’altronde, com’è stato sottolineato da altri interventi di italiani che si occupano del monitoraggio e della difesa dei diritti dei migranti, il fatto che i gambiani arrivati a Lampedusa in questi mesi adesso si trovano in un centro per i senzatetto e non in uno centro di accoglienza finanziato dallo Stato è dovuto al nuovo sistema ‘Hotspot’, un sistema che divide coloro che sono benedetti da un umanitarismo basato esclusivamente sulla nazionalità di provenienza – ad esempio Sudan, Eritrea, Siria, Afghanistan, Iraq – da tutti gli altri. Questo è successo nonostante le garanzie presenti nella legge internazionale, in base a cui il richiedente asilo dovrebbe essere “vagliato” in base alla propria vicenda individuale. Che oggi i funzionari di Lampedusa ed altri ‘Hotspot’ distribuiscano le notifiche per i respingimenti senza ulteriori domande mostra chiaramente come, al confine– letteralmente - della società, crolli oggi la divisione classica tra potere giuridico e potere esecutivo.
In seguito all’atto di coraggio compiuto nel far sentire la propria voce, alcune associazioni hanno già aiutato questi ragazzi, soprattutto riguardo all’individuazione di un alloggio degno di questo nome. Si spera che l’intervento del nuovo prefetto o dell’Acnur possa affrettare una soluzione. Al tempo stesso non basta sostenere questi ragazzi gambiani affinché siano accolti in Italia e abbiano la possibilità di lavorare; è importante capire che si sono lasciati alle spalle amici, famiglie e compagni tuttora in balia di una classe dirigente violenta, in una situazione sociale e politica che non va considerata come naturale “naturalizzata” bensì superata nei fatti.
Il primo a prendere la parola, Batch, dopo aver ringraziato la squadra di soccorso in mare e gli attivisti di Palermo, ci ha parlato dell’attuale deplorevole situazione in Gambia, un piccolo stato formatosi intorno ad un fiume “nella bocca” del Senegal, in cui vivono meno di due milioni persone. Il governo, controllato dal dittatore Jammeh nel corso degli ultimi tre decenni, sostiene di aver ricevuto più voti del totale degli elettori, e attribuisce un numero insignificante di consensi alle candidature indipendenti. I partiti politici esplicitamente all’opposizione sono invece illegali; e la maggiore parte di coloro che cercanooggi un rifugio a Palermo fanno parte di uno di tali partiti. Batch ha sottolineato il fatto che l’impiego della violenza da parte del regime ha assunto caratteri stragistici. E d’altro canto le promesse da parte dello Stato di rimettere in sesto l’economia sono prive di fondamento: basti pensare che il prezzo del riso è decuplicato in soli tre anni.
Ousman, il secondo gambiano intervenuto, ci ha raccontato in breve i diversi viaggi attraverso cui lui e suoi compatrioti hanno raggiunto la Sicilia: chi attraverso la Nigeria, chi attraverso il Senegal, tutti infine attraverso la Libia e il Mar Mediterraneo. Il terzo oratore, Bakeba, ha spiegato come, a Lampedusa, a causa del nuovo sistema degli “Hotspot” introdotto dall’UE e messo in opera dalle autorità italiane, questo gruppo di gambiani abbia immediatamente ricevuto notifica di respingimento, con l’ordine di lasciare l’Italia entro sette giorni. Questo attraverso un documento che è stato chiesto loro di firmare senza alcuna informazione in merito ad altre eventuali opzioni o anche soltanto sulle conseguenze della firma; e in un momento di inevitabile disorientamento in seguito al viaggio di fortuna per mare e senza potersi giovare di un’adeguata traduzione. Com’è già stato documentato, questi ragazzi sono in seguito stati abbandonati nelle strade agrigentine: evidentemente si riteneva che i migranti dovessero essere assorbiti nella massa dei senza-documenti che continua a crescere in Europa. È meno certo che si riesca mai a capire cosa i responsabili di tali decisioni immaginassero del futuro di questi profughi politici da quel momento in poi. Grazie alla fortuna ed anche all’auto-organizzazione di alcuni militanti, questo gruppo in particolare è riuscito a portare le notifiche in tribunale, dove un giudice le ha sospese per anticostituzionalità.
Ebrim, che vive in Italia da più di un anno e ha ricevuto protezione internazionale, è stato l’ultimo a intervenire e ci ha descritto le condizione di vita presso il centro di Biagio Conte. Ponendo l’accento sulla gratitudine collettiva dei gambiani nei confronti del prete laico (che ha recentemente effettuato uno sciopero della fame per protestare contro il tentativo di vendere il lotto su cui sorge la missione ad un centro commerciale: le forze del capitale contro la forza della carità, insomma), Ebrim ha comunque dovuto rilevare gli effetti negativi sulla salute che risultano dall’affollamento del centro, dove si dorme fianco a fianco, un centinaio per stanza. Il fatto che l’accoglienza dei profughi in città pesi quasi esclusivamente sulla carità del centro è di per sé abbastanza vergognoso: ma – se possibile – è ancora più grave la vicenda specifica di questi ragazzi, che sono chiaramente profughi politici cui dovrebbe andare un sostegno statale.
Si tratta di una situazione contraddittoria, che fa pesare la gestione europea e italiana della crisi dei confini sulle spalle di profughi le cui motivazioni sono eminentemente politiche: infatti questi ragazzi sono cresciuti in un paese con una popolazione solo un po’ più numerosa di quella della provincia palermitana e che è stata governata, per una generazione almeno, tra violenza e corruzione mafiosa ai peggiori livelli. In questi mesi i nuovi report di alcune associazioni per i diritti umani parlano di squadre speciali che rispondono direttamente ai vertici dello stato e che eseguono rapimenti, torture e uccisioni: con il peggioramento dell’economia, negli ultimi anni, la repressione politica si è infatti rafforzata. Il grosso della resistenza politica è pertanto organizzata dagli esuli, in Senegal come in altri paesi. La quasi totale repressione della libertà di parola in patria significa che l’auto-organizzazione e l’espressione politica dei gambiani a Palermo non è solo una cosa importante dal punto di vista di migrazioni e confini, ma un aspetto, sebbene piccolo e bisognoso di sostegno, del movimento internazionale contro il regime dittatoriale, che a sua volta ha promesso violenza ritorsiva agli esuli che dovessero far ritorno in patria. Un altro ragazzo gambiano ha perciò sottolineato come, pur desiderando rientrare in Gambia nel futuro, potrà farlo solo quando la dittatura sarà caduta.
D’altronde, com’è stato sottolineato da altri interventi di italiani che si occupano del monitoraggio e della difesa dei diritti dei migranti, il fatto che i gambiani arrivati a Lampedusa in questi mesi adesso si trovano in un centro per i senzatetto e non in uno centro di accoglienza finanziato dallo Stato è dovuto al nuovo sistema ‘Hotspot’, un sistema che divide coloro che sono benedetti da un umanitarismo basato esclusivamente sulla nazionalità di provenienza – ad esempio Sudan, Eritrea, Siria, Afghanistan, Iraq – da tutti gli altri. Questo è successo nonostante le garanzie presenti nella legge internazionale, in base a cui il richiedente asilo dovrebbe essere “vagliato” in base alla propria vicenda individuale. Che oggi i funzionari di Lampedusa ed altri ‘Hotspot’ distribuiscano le notifiche per i respingimenti senza ulteriori domande mostra chiaramente come, al confine– letteralmente - della società, crolli oggi la divisione classica tra potere giuridico e potere esecutivo.
In seguito all’atto di coraggio compiuto nel far sentire la propria voce, alcune associazioni hanno già aiutato questi ragazzi, soprattutto riguardo all’individuazione di un alloggio degno di questo nome. Si spera che l’intervento del nuovo prefetto o dell’Acnur possa affrettare una soluzione. Al tempo stesso non basta sostenere questi ragazzi gambiani affinché siano accolti in Italia e abbiano la possibilità di lavorare; è importante capire che si sono lasciati alle spalle amici, famiglie e compagni tuttora in balia di una classe dirigente violenta, in una situazione sociale e politica che non va considerata come naturale “naturalizzata” bensì superata nei fatti.
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