
CRITICATE, CRITICATE, QUALCOSA RESTERA'
Spazi, mezzi e avversari del pensiero d'opposizione, oggi.
di Roberto Salerno 4 marzo 2016
Spazi, mezzi e avversari del pensiero d'opposizione, oggi.
di Roberto Salerno 4 marzo 2016
L'intervista pubblicata su PalermoGrad a Marcello Benfante http://www.palermo-grad.com/un-cecchino-disarmato.html tra gli altri meriti ha quello di aver dato vita ad un rapido botta e risposta su FB tra redattori, collaboratori e lettori della rivista. Il fatto che sia nato su FB, e non - ad esempio - a margine dell'articolo, che pure è aperto ai commenti, è cosa da meritare riflessione, ma non me ne occuperò. Non qui almeno, segniamolo per un'altra volta. Vorrei tornare al tema del botta e risposta, che cerco di riassumere nella speranza di non far torto alle posizione dei miei due più immediati interlocutori.
Tutto nasce da un intervento di Francesco d'Aquila che ricopio:
"Bellissima intervista! Peccato che sia troppo breve. Finisce sul più bello, quando si parla della funzione, estinta, della critica letteraria. Aspettiamo un lungo seguito."
A questo risponde Angelo Foscari di PalermoGrad, non brevemente:
"a mio avviso [la critica letteraria] non si è estinta affatto, ma giocoforza ha cambiato pelle e ha cambiato luoghi: Internet (e addirittura FaceBook) l'hanno 'democratizzata' (e, all'obiezione di Eco sulla parola agli imbecilli , rispondo con Marco Pomar: ‘adesso è molto più facile riconoscerli’) e l'hanno sparpagliata, diffusa. Tra l'altro, obiettivamente parlando, questa critica popolarizzata NON è che reagisca contro Croce e De Sanctis, sia ben chiaro: reagisce bensì all'avvento e poi al dominio della "Critica Commerciale" (ricordo di avere sentito questa espressione adoperata a mo' di amara constatazione di un fatto già nel 1990). Perciò non facciamo finta che "il Web" abbia spalancato i cancelli ai Barbari mentre qui eravamo tutti a fare il close reading del Sannazzaro e a confrontare la traduzione di Luciano del Settembrini con quella dell'altro tizio. Peraltro anche - e soprattutto - nella nuova 'affollata' situazione i critici di classe tipo Benfante continuano e continueranno a spiccare e ad essere letti. In Italia tutti giocano a pallone e più di tutti fanno il Commissario Tecnico, ma alla fine Roberto Baggio e simili sono chiaramente più bravi degli altri, e Ancelotti continua a capirne parecchio e a lavorare. Casomai possiamo rammaricarci, come mi pare faccia Marcello nell’intervista, di uno strapotere degli editori rispetto a quella che prima era la 'vigilanza' esercitata dal critico. Una situazione che, tuttavia, non è mai esistita alla stato puro (gli editori hanno SEMPRE pesato e "imposto" scelte, nel male ma anche nel bene, basti pensare al catalogo Einaudi, per dire) ; e anche adesso c'è chi riesce (tipo D'Orrico, al di là delle sue specifiche preferenze) a crearsi un suo seguito e a ‘pesare’."
Questo lungo intervento a me pare un po' contraddittorio. Su FB, si scrive di getto, d'impeto, e lì finisce col prevalere la parte ludica. Ma prendendoci tempo possiamo vedere meglio le varie cose che dice Angelo. [Ovviamente senza "impiccarlo" alle sue dichiarazioni: le cose scritte di getto ci appartengono fino ad un certo punto e anche lui rileggendosi magari alcune cose le avrebbe dette diversamente onon dette del tutto]:
1. Non è vero che la critica letteraria non esiste più;
2. La critica oggi è "popolarizzata" e [deduzione] non in mano a Croce e de Sanctis
3. Croce e de Sanctis comunque non ci sono più, c'è da tempo la critica commerciale
Poi però parte una specie, a mio modo di vedere, di corto circuito:
4. Benfante [un critico di spessore e senza peli sulla lingua] purtuttavia spicca e viene letto
5. Ancelotti è bravo e lavora
Per chiudersi con una concessione:
6. Strapotere degli editori (sì, ma forse no, visto che "gli editori hanno sempre pesato e "imposto" scelte")
Confesso che non sono sicuro di non aver frainteso lo spirito con il quale Angelo legge l'intervista. Ho creduto che lui fosse d'accordo (in sintonia, non in disaccordo) con quanto espresso da Benfante, ma in effetti mi accorgo che forse questa è una deduzione indebita.
Gli interventi successivi nel dibattito hanno implicitamente "chiarito": il discorso di Angelo, secondo me, ha una sua coerenza fino al punto 3, per entrare poi in contraddizione con il punto 4, ovvero il permanere di un ruolo e di un pubblico per la critica più avvertita e non commercializzata (vedi Benfante) e - più nettamente - con l’accenno “meritocratico” al punto 5 (simboleggiato da Ancelotti).
Ma il successivo intervento di Francesco ha un po' rimescolato le carte. Correttamente, secondo me, Francesco segnala "luoghi", che adesso non esistono più, dal quale la critica è stata espulsa; e trova che questo sia un segnale, appunto, dell'estinzione (vogliamo dire arretramento?) della critica. Sperando di non aver mal interpretato, Francesco dice una cosa del tipo "ma sì parliamo pure su FB, tanto che conta? È sui giornali e sulle televisioni che siamo spariti, che non ci sono più Pasolini e Fortini ma Gramellini e Battista". Anzi (forse sovrainterpreto) se non ci sono più è anche per via della popolarizzazione. Tutti parlano e quindi su stampa e televisione tutti vanno. Annacquando Pasolini e Fortini o, peggio, escludendoli, perché tanto sono come gli altri.
L'ulteriore replica di Angelo io la condivido in toto, tanto nella prima parte: "Inutile coltivare nostalgie degli spazi che l'industria culturale aveva concesso - in tutt'altra fase storica, con altri rapporti di forza tra le classi - ai ‘rappresentanti’ (spesso un po' autonominati) dei gruppi sociali subalterni" che nella seconda e più brusca versione: "Quegli spazi erano anche e soprattutto poltrone, cadreghini, a volte proprio ‘diritto di tribuna’; servivano ANCHE a stemperare le lotte nelle parole."
Ma a questo punto quello che mi pare interessante è risalire alla fonte. Cosa ha detto nell’intervista Benfante? Intanto preciso subito due cose. Per quello che vale, non posso che manifestare stima e apprezzamento per intellettuali che hanno attraversato un quarantennio rimanendo in qualche modo coerenti a quella che Piero Violante ha chiamato "classe dirigente d'opposizione". Non solo per le loro posizioni, che immagino siano costate anche in termini personali, ma soprattutto per la loro produzione (letteraria in questo caso) che è stata parte non secondaria della formazione di noi ex giovani e della mia in particolare. Però. Però questi "bilanci" di una generazione convincono fino ad un certo punto. Portano (inevitabilmente, credo, vi saprò dire tra 25 anni) una forma di deprecatio temporum che lasciava perplessi da ragazzino e a maggior ragione lascia perplessi adesso. Forse (forse) si può intravedere anche una tendenza – per l’appunto - generazionale (legittima ma chissà quanto produttiva) all'autoassoluzione. Nel caso dell'intervista di Benfante, come nel caso del bellissimo libro di Violante Swinging Palermo, per fare un altro esempio.
Che dice dunque Benfante? (naturalmente inutile, in questa sede, soffermarsi sulle cose che si condividono e che sono la maggior parte):
"Mi mancano anche spazi sul tipo di Kaleghè o di Margini. Ce ne sono, adesso? Non mi pare. A parte Segno, ovviamente, rimasto pressoché l’unico testimone dell’epoca o dell’epica delle riviste."
Ora, chi ha vissuto a Palermo questa storia di "Segno ultima rivista" l'ha sentita chissà quante volte. Io avevo appena occupato la Facoltà nel 1989, e già circolava. Si fa un po' di fatica però a credere che le cose stiano davvero così. Come non segnalare innanzitutto il paradosso che questa affermazione ("Non ci sono più riviste, luoghi") venga fatta proprio all'interno di uno di questi luoghi, per giunta nuovo?
Ma, a parte PalermoGrad, nonostante io non viva a Palermo da non so quanto tempo a me pare – da lontano ma ero lontano anche negli anni '90 o, viceversa, la verità è che non me ne sono mai andato - che a Palermo non si sia ristretto nessuno spazio. Le riviste non sono più cartacee e si sono trasferite su Web, ma non passa giorno che non veniamo "rimandati" ad un imperdibile articolo - che spessissimo è effettivamente di qualità - scritto dallo sconosciuto amico nella sconosciuta rivista telematica. Quando invecchieranno, e magari non si scriverà più, ma si manderanno gli ologrammi, cosa faranno questi amici: ricorderanno con mestizia quando a "Palermo c'era PalermoGrad, oggi cosa rimane oltre a Segno?”
Benfante chiude con la frase che ha scatenato tutto:
"Oggi il critico è divenuto una figura pleonastica e ininfluente".
Su questo punto – che Benfante contraddice proprio con la sua attività ! - ho i miei dubbi, che ho appena cercato di argomentare.
C'è però una cosa che a me pare diversa, che mi pare – questa sì - cambiata: gli avversari. O, forse meglio, i rapporti di forza. I critici di 40 anni fa vivevano in uno spazio che, per quanto minoritario, non era "isolato". Avevano una prospettiva, dei riferimenti, ma soprattutto delle risorse. Mal che vada facevano gli insegnanti. Gli intellettuali che sono venuti dopo si sono trovati di fronte al primum vivere e si sono dispersi tra funzionariati regionali e statali, precariati, emigrazione e call center. E chi è riuscito ad arrivare all'università – fatte salve le dovute eccezioni - lo ha fatto alla maniera di Ancelotti (che è bravo, eh?). Tempo, spazio, o - mi permetto una deriva tecnica - "struttura delle opportunità" sono ben diverse.
Eppure, se guardo oltre lo Stretto, ai risultati lasciati da certi giganti del pensiero critico in Italia, quelli sulle cui spalle dovremmo adesso star seduti, c'è solo da essere ottimisti: peggio non possiamo fare.
Tutto nasce da un intervento di Francesco d'Aquila che ricopio:
"Bellissima intervista! Peccato che sia troppo breve. Finisce sul più bello, quando si parla della funzione, estinta, della critica letteraria. Aspettiamo un lungo seguito."
A questo risponde Angelo Foscari di PalermoGrad, non brevemente:
"a mio avviso [la critica letteraria] non si è estinta affatto, ma giocoforza ha cambiato pelle e ha cambiato luoghi: Internet (e addirittura FaceBook) l'hanno 'democratizzata' (e, all'obiezione di Eco sulla parola agli imbecilli , rispondo con Marco Pomar: ‘adesso è molto più facile riconoscerli’) e l'hanno sparpagliata, diffusa. Tra l'altro, obiettivamente parlando, questa critica popolarizzata NON è che reagisca contro Croce e De Sanctis, sia ben chiaro: reagisce bensì all'avvento e poi al dominio della "Critica Commerciale" (ricordo di avere sentito questa espressione adoperata a mo' di amara constatazione di un fatto già nel 1990). Perciò non facciamo finta che "il Web" abbia spalancato i cancelli ai Barbari mentre qui eravamo tutti a fare il close reading del Sannazzaro e a confrontare la traduzione di Luciano del Settembrini con quella dell'altro tizio. Peraltro anche - e soprattutto - nella nuova 'affollata' situazione i critici di classe tipo Benfante continuano e continueranno a spiccare e ad essere letti. In Italia tutti giocano a pallone e più di tutti fanno il Commissario Tecnico, ma alla fine Roberto Baggio e simili sono chiaramente più bravi degli altri, e Ancelotti continua a capirne parecchio e a lavorare. Casomai possiamo rammaricarci, come mi pare faccia Marcello nell’intervista, di uno strapotere degli editori rispetto a quella che prima era la 'vigilanza' esercitata dal critico. Una situazione che, tuttavia, non è mai esistita alla stato puro (gli editori hanno SEMPRE pesato e "imposto" scelte, nel male ma anche nel bene, basti pensare al catalogo Einaudi, per dire) ; e anche adesso c'è chi riesce (tipo D'Orrico, al di là delle sue specifiche preferenze) a crearsi un suo seguito e a ‘pesare’."
Questo lungo intervento a me pare un po' contraddittorio. Su FB, si scrive di getto, d'impeto, e lì finisce col prevalere la parte ludica. Ma prendendoci tempo possiamo vedere meglio le varie cose che dice Angelo. [Ovviamente senza "impiccarlo" alle sue dichiarazioni: le cose scritte di getto ci appartengono fino ad un certo punto e anche lui rileggendosi magari alcune cose le avrebbe dette diversamente onon dette del tutto]:
1. Non è vero che la critica letteraria non esiste più;
2. La critica oggi è "popolarizzata" e [deduzione] non in mano a Croce e de Sanctis
3. Croce e de Sanctis comunque non ci sono più, c'è da tempo la critica commerciale
Poi però parte una specie, a mio modo di vedere, di corto circuito:
4. Benfante [un critico di spessore e senza peli sulla lingua] purtuttavia spicca e viene letto
5. Ancelotti è bravo e lavora
Per chiudersi con una concessione:
6. Strapotere degli editori (sì, ma forse no, visto che "gli editori hanno sempre pesato e "imposto" scelte")
Confesso che non sono sicuro di non aver frainteso lo spirito con il quale Angelo legge l'intervista. Ho creduto che lui fosse d'accordo (in sintonia, non in disaccordo) con quanto espresso da Benfante, ma in effetti mi accorgo che forse questa è una deduzione indebita.
Gli interventi successivi nel dibattito hanno implicitamente "chiarito": il discorso di Angelo, secondo me, ha una sua coerenza fino al punto 3, per entrare poi in contraddizione con il punto 4, ovvero il permanere di un ruolo e di un pubblico per la critica più avvertita e non commercializzata (vedi Benfante) e - più nettamente - con l’accenno “meritocratico” al punto 5 (simboleggiato da Ancelotti).
Ma il successivo intervento di Francesco ha un po' rimescolato le carte. Correttamente, secondo me, Francesco segnala "luoghi", che adesso non esistono più, dal quale la critica è stata espulsa; e trova che questo sia un segnale, appunto, dell'estinzione (vogliamo dire arretramento?) della critica. Sperando di non aver mal interpretato, Francesco dice una cosa del tipo "ma sì parliamo pure su FB, tanto che conta? È sui giornali e sulle televisioni che siamo spariti, che non ci sono più Pasolini e Fortini ma Gramellini e Battista". Anzi (forse sovrainterpreto) se non ci sono più è anche per via della popolarizzazione. Tutti parlano e quindi su stampa e televisione tutti vanno. Annacquando Pasolini e Fortini o, peggio, escludendoli, perché tanto sono come gli altri.
L'ulteriore replica di Angelo io la condivido in toto, tanto nella prima parte: "Inutile coltivare nostalgie degli spazi che l'industria culturale aveva concesso - in tutt'altra fase storica, con altri rapporti di forza tra le classi - ai ‘rappresentanti’ (spesso un po' autonominati) dei gruppi sociali subalterni" che nella seconda e più brusca versione: "Quegli spazi erano anche e soprattutto poltrone, cadreghini, a volte proprio ‘diritto di tribuna’; servivano ANCHE a stemperare le lotte nelle parole."
Ma a questo punto quello che mi pare interessante è risalire alla fonte. Cosa ha detto nell’intervista Benfante? Intanto preciso subito due cose. Per quello che vale, non posso che manifestare stima e apprezzamento per intellettuali che hanno attraversato un quarantennio rimanendo in qualche modo coerenti a quella che Piero Violante ha chiamato "classe dirigente d'opposizione". Non solo per le loro posizioni, che immagino siano costate anche in termini personali, ma soprattutto per la loro produzione (letteraria in questo caso) che è stata parte non secondaria della formazione di noi ex giovani e della mia in particolare. Però. Però questi "bilanci" di una generazione convincono fino ad un certo punto. Portano (inevitabilmente, credo, vi saprò dire tra 25 anni) una forma di deprecatio temporum che lasciava perplessi da ragazzino e a maggior ragione lascia perplessi adesso. Forse (forse) si può intravedere anche una tendenza – per l’appunto - generazionale (legittima ma chissà quanto produttiva) all'autoassoluzione. Nel caso dell'intervista di Benfante, come nel caso del bellissimo libro di Violante Swinging Palermo, per fare un altro esempio.
Che dice dunque Benfante? (naturalmente inutile, in questa sede, soffermarsi sulle cose che si condividono e che sono la maggior parte):
"Mi mancano anche spazi sul tipo di Kaleghè o di Margini. Ce ne sono, adesso? Non mi pare. A parte Segno, ovviamente, rimasto pressoché l’unico testimone dell’epoca o dell’epica delle riviste."
Ora, chi ha vissuto a Palermo questa storia di "Segno ultima rivista" l'ha sentita chissà quante volte. Io avevo appena occupato la Facoltà nel 1989, e già circolava. Si fa un po' di fatica però a credere che le cose stiano davvero così. Come non segnalare innanzitutto il paradosso che questa affermazione ("Non ci sono più riviste, luoghi") venga fatta proprio all'interno di uno di questi luoghi, per giunta nuovo?
Ma, a parte PalermoGrad, nonostante io non viva a Palermo da non so quanto tempo a me pare – da lontano ma ero lontano anche negli anni '90 o, viceversa, la verità è che non me ne sono mai andato - che a Palermo non si sia ristretto nessuno spazio. Le riviste non sono più cartacee e si sono trasferite su Web, ma non passa giorno che non veniamo "rimandati" ad un imperdibile articolo - che spessissimo è effettivamente di qualità - scritto dallo sconosciuto amico nella sconosciuta rivista telematica. Quando invecchieranno, e magari non si scriverà più, ma si manderanno gli ologrammi, cosa faranno questi amici: ricorderanno con mestizia quando a "Palermo c'era PalermoGrad, oggi cosa rimane oltre a Segno?”
Benfante chiude con la frase che ha scatenato tutto:
"Oggi il critico è divenuto una figura pleonastica e ininfluente".
Su questo punto – che Benfante contraddice proprio con la sua attività ! - ho i miei dubbi, che ho appena cercato di argomentare.
C'è però una cosa che a me pare diversa, che mi pare – questa sì - cambiata: gli avversari. O, forse meglio, i rapporti di forza. I critici di 40 anni fa vivevano in uno spazio che, per quanto minoritario, non era "isolato". Avevano una prospettiva, dei riferimenti, ma soprattutto delle risorse. Mal che vada facevano gli insegnanti. Gli intellettuali che sono venuti dopo si sono trovati di fronte al primum vivere e si sono dispersi tra funzionariati regionali e statali, precariati, emigrazione e call center. E chi è riuscito ad arrivare all'università – fatte salve le dovute eccezioni - lo ha fatto alla maniera di Ancelotti (che è bravo, eh?). Tempo, spazio, o - mi permetto una deriva tecnica - "struttura delle opportunità" sono ben diverse.
Eppure, se guardo oltre lo Stretto, ai risultati lasciati da certi giganti del pensiero critico in Italia, quelli sulle cui spalle dovremmo adesso star seduti, c'è solo da essere ottimisti: peggio non possiamo fare.
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