
Cosa succede a Palermo? La stagione delle grandi manovre, per assicurarsi il successo alle prossime elezioni comunali, sta entrando nel vivo. Ne ha già parlato, sulle pagine di questo sito con un suo interessantissimo approfondimento, Roberto Salerno, che constatava come la grande capacità di Orlando fosse quella di proporre un progetto in grado di trascinare tutti nell’approdo finale della parabola interclassista (“il mio partito è Palermo”). Salerno ricordava, a mio avviso correttamente, come la strategia di Orlando avesse la capacità, risalente probabilmente al suo passato democristiano, di condizionare abilmente le strategie della sinistra costringendola a giocare la competizione elettorale solo e soltanto con le armi degli avversari.
A circa un mese da quel contributo i recenti eventi relativi alla problematica palermitana, ancora una volta oggetto dell’attenzione dell’opinione pubblica nazionale, necessitano forse di un aggiornamento e di un sovrappiù di riflessione. Senza peraltro che i ragionamenti di Salerno evocati sin qui perdano di cogenza perché, invece, ne escono ulteriormente rafforzati. L’obiettivo di questo intervento non vuole essere pretenzioso, giungere a una chiarificazione del problema palermitano richiederebbe competenze e conoscenze che non possiedo, né dispensatore di dogmatiche verità. Si propone, più semplicemente, di contribuire a tenere aperto il problema concorrendo, magari, a avviare su un tema importantissimo per i destini del capoluogo siciliano, una discussione costruttiva e pacata.
Veniamo allora ad una preliminare ricostruzione dei fatti. Sul Quotidiano di Sicilia in un articolo del 29 marzo intitolato Democratici e popolari: Orlando può contare su PD, Ap e centristi si legge: “il matrimonio è stato celebrato, se sarà felice si vedrà col tempo. Il sindaco Leoluca Orlando, a caccia del quinto mandato a Palazzo delle Aquile, ha presentato all’Hotel Wagner la tanto attesa lista “Democratici e popolari” composta da Pd, Ap – la nuova formazione di Angelino Alfano – e Centristi per l’Europa, i fuoriusciti dell’Udc. (…) Il segretario provinciale Carmelo Miceli si è presentato sorridente parlando di una bella giornata che risana l’innaturale rottura di cinque anni fa”. A benedire l’accordo, tra gli altri dirigenti, il responsabile regionale dell’organizzazione del Pd Antonio Rubino. L’articolo, inoltre, ricorda che alla conferenza stampa di presentazione figuravano anche i leader centristi Dore Misuraca e Adriano Frinchi, nonché il vicepresidente dell’Ars Giuseppe Lupo e la deputata Teresa Piccione, esponenti di spicco, di certo non dei fuoriusciti dell’ultim’ora, sempre del Partito democratico.
Continuiamo con le notizie di cronaca politica riportate dalla stampa. Sul quotidiano online Libero.it del 1 aprile si legge: “A tentare la rivincita dopo il ko del 2012 proprio contro Orlando è anche Fabrizio Ferrandelli. L'ex Idv, passato al Pd prima di dire addio anche ai democratici e fondare il suo movimento ‘I Coraggiosi’, però, questa volta avrà al suo fianco Forza Italia e Cantiere popolare. Un'intesa che proprio qualche giorno fa ha rischiato di saltare a causa del no di Ferrandelli al simbolo di Fi e l’irrigidimento di Micciché. A fare da pontiere Saverio Romano, capogruppo di Ala alla Camera, ma soprattutto l’ex governatore della Sicilia, Salvatore Cuffaro. Proprio l’ex presidente della Regione avrebbe giocato un ruolo di primo piano nell’intesa tra gli azzurri e l’ex dem, convincendo il leader de I Coraggiosi ad accettare la lista con le insegne di Forza Italia, anche se con una connotazione territoriale. D’altra parte lo stesso ex presidente della Regione che a Rebibbia ha scontato una condanna per mafia non ha fatto mistero delle sue simpatie per il giovane Ferrandelli.”
Concludiamo questa nostra carrellata di riferimenti giornalistici, forse troppo lunga ma necessaria, riportando quanto scrive sempre il Quotidiano di Sicilia del 4 aprile in un articolo a firma di Gaspare Ingargiola e intitolato Elezioni, Ferrandelli non teme il M5s, la sfida è con Leoluca Orlando: “Sulla gestione degli stemmi di partito Ferrandelli ha attaccato i suoi vecchi compagni dem: «In queste ore abbiamo ritenuto corretto non mortificare in un gioco dell’ipocrisia le identità che concorreranno a questo progetto. Il Pd», invece, è «ipocrita», perché «camuffa le bandiere e per candidarsi con uomini di Alfano nasconde la propria identità (si riferisce alla lista a sostegno di Orlando Democratici e Popolari, ndr). Hanno fatto una scelta di convenienza.»”
A dire il vero ce n’è abbastanza per farsi prendere dallo sconforto. Da un lato un candidato che ha militato prima nell’Italia dei valori e poi nel Pd e che è sostenuto adesso da Forza Italia e sponsorizzato da Cuffaro. Dall’altro, il sindaco uscente che organizza e appronta una coalizione tanto larga e variopinta quanto caratterizzata da identità e prospettive differenti se non alternative. In realtà non c’è proprio niente di nuovo sotto il sole, semmai la riproposizione beffarda del tradizionale gioco trasformistico dei ceti politici siciliani e palermitani. Dentro questo scenario desolante la politica è scomparsa, rimangono soltanto cricche e camarille locali, notabilati e consorterie.
D’altra parte occorrerebbe, forse, tornare a interrogarsi su quali sono oggi a Palermo e in Sicilia i centri di potere e di raccolta elettorali, di quali interessi, particolaristici o collettivi, sono espressione oggi le forze in campo a sostegno delle due coalizioni. Nel quadro della crisi globale e dell’euro sarebbe il caso di chiedersi che fine ha fatto il potere di condizionamento di quella borghesia funzionalmente intermediaria e parassitaria che ha tradizionalmente consolidato la propria primazia attraverso il saccheggio delle risorse finanziarie di origine regionale, nazionale, e comunitaria. Insomma, è lecito chiedersi chi sosterranno alle prossime comunali, attraverso i propri canali di intermediazione clientelare, le classi dirigenti siciliane che gravitano su Palermo, che non dimentichiamo è anche il centro della politica regionale. Quelle classi dirigenti che sono state complici del disastro di questi ultimi dieci anni e che nulla hanno fatto per invertire le dinamiche asimmetriche che hanno concorso ad accentuare, rispetto alle altre regioni del Paese, sviluppo duale e divaricazione economica e produttiva.
E magari occorrerebbe interrogarsi anche su quali orizzonti di senso e su quali prospettive politiche si fonda l’antropologia degli attuali candidati, quali le loro aspirazioni e le loro, si fa per dire, vocazioni. Probabilmente ci si accorgerebbe che per molti dei protagonisti della competizione elettorale sarebbe indifferente militare nell’uno o nell’altro dei campi avversi, considerato che entrambi sembrano essere cannibalizzati da pulsioni arrivistiche e individualistiche, da ambizioni anche legittime ma sempre sussunte dentro la logica minacciosa del clientelismo, della mercificazione privatistica, del primato del mercato e del profitto. Insomma, candidarsi, e magari essere eletti, se rimane un’impresa difficile è, oggi, un’esperienza dai più, per carità e per fortuna non da tutti, vissuta come il partecipare a un concorso pubblico o il vincere il terno al lotto. Se va bene c’è sempre un gettone di presenza o un onorario con cui tirare a campare. La crisi della politica è, purtroppo, anche questo.
Ma veniamo alla questione centrale. L’abilità di Orlando nell’assicurarsi, si guardi al solo numero delle liste, un ampio sostegno e ampi margini di manovra per governare, qualora venisse eletto, nella prossima sindacatura, non è in discussione. Tuttavia, sul piano politico ed elettorale il sistema di potere realizzato da Orlando ha alimentato nuove forme di centralismo, determinando un meccanismo di dipendenza parossistico: non è il sindaco ad essere espressione di forze e di programmi, i cui contenuti possono essere pure diversificati ma sostanzialmente assimilabili, ma è l’insieme delle forze della coalizione, fra loro differentissime e con programmi e finalità, a breve, medio e lungo termine alternativi, che è espressione del potere monocratico di uno. Per la dialettica democratica è un fallimento e, se si considera che Orlando è il protagonista indiscusso della politica palermitana da quattro decenni, è sintomo della assenza di un fisiologico ricambio delle classi dirigenti.
Altro punto che merita un minimo di analisi: sembra piuttosto ovvio esigere di sapere quale sarebbe il profilo politico e la natura della coalizione che sostiene il sindaco uscente, considerato che, a quanto riportano le fonti giornalistiche, l’insieme di tali forze annovera soggettività che a livello nazionale e regionale presentano profili programmatici e pratiche politiche antitetici. Sarebbe proprio il caso di chiedersi che c’azzecca, per citare per l’appunto il ministro di un fallimentare centrosinistra prodiano che fu, la presenza di sensibilità politiche (si fa per dire) che fanno riferimento al ministro Alfano o al segretario Miceli con l’impegno e i contenuti espressi da chi in questi anni si è battuto generosamente, e dall’opposizione, contro il Jobs act e la legge 107 sulla scuola, contro le politiche di austerità e il fiscal compact, contro il taglio dei salari e degli stipendi dei lavoratori, contro la disoccupazione e il crescente sfruttamento nei luoghi di lavoro e così via. L’annuncio del possibile insediamento di un hotspot a Palermo per la reclusione di migranti appena sbarcati pare, da questo punto di vista, piuttosto allarmante. Per non parlare di quegli elementi di degrado e malcostume etico caratteristici del blocco di potere dominante a livello nazionale e regionale, e che tuttavia non mancano neanche nella borghesia mafiosa palermitana, che si condensano in un diffuso parassitismo, in una mortificante inettitudine, in una significativa ignoranza e in una vile corruzione.
Da qui un’ultima considerazione. A sinistra, autorevolmente, si sostiene che il sostegno al sindaco Orlando sarebbe necessario per rilanciare e rafforzare una soggettività unitaria, alternativa alle politiche liberiste e in condizione di preservare, chiedo venia se semplifico, le importanti conquiste per la collettività guadagnate nel corso degli ultimi cinque anni. Sarebbe scorretto e miope non riconoscere un significativo elemento di verità in queste posizioni. Tuttavia, come ho ripetutamente sostenuto, intravedo il rischio di continuare a farsi rimorchiare lungo una direzione di marcia e entro gli alvei di una proposta politica priva della necessaria radicalità e incapace di andare oltre la mera amministrazione dell’esistente. Sembra che non si riesca a comprendere che le alleanze, se si vogliono spostare gli equilibri, vanno fatte da una posizione di forza e contestualmente ad una analisi della struttura e delle aspirazioni di ceti e categorie sociali, ad uno studio degli assetti dei soggetti sociali e dei quadri dirigenti e, per finire, a una ricerca degli interessi delle componenti economiche. E, soprattutto, condizione per cambiare gli attuali equilibri non può essere data se non avendo dalla propria parte una forza, direi quasi di massa, che si coaguli attraverso un’imponente e permanete mobilitazione collettiva. Non si può pensare di governare i processi politici quando non si comandano le leve dei rapporti di forza, pena il pericolo di una sostanziale subalternità. D’altra parte, occorre inoltre ricordarsi che il rischio di rimanere in una condizione di ininfluenza va proiettato anche oltre l’immediatezza della scadenza elettorale visto che, anche in considerazione delle prossime elezioni regionali e delle prossime politiche, il blocco delle forze moderate, neoliberiste e pro euro si sta riorganizzando attorno a una possibile alleanza tra Pd e Forza Italia, in funzione di una comune lotta contro il M5s di Grillo.
È davvero in gioco il futuro della città di Palermo e di quella flebile speranza di ricostruire una sinistra che abbia spessore progettuale e programmatico, nonché adesioni di massa. Palermo, forse, si merita ben altro, e piuttosto che andare al rimorchio delle élites politiche dominanti dovrebbe costruire piattaforme e progettualità per disarticolarle. Sarebbe necessaria una contestazione globale dell’attuale sistema a tutti i livelli per produrre l’efficacia di un mutamento del quadro politico attualmente esistente a Palermo e in Sicilia. Sarà che io vedo soltanto gli elementi caratteristici della crisi, la constatazione di un fallimento da cui non può che derivare un’ulteriore disaffezione e sfiducia da parte dei palermitani i quali, soggettivamente, esprimono profili tutt’altro che caratterizzati da attivismo e impegno civico. Sarà che io vedo esclusivamente le forme dell’agire insocievole dell’indifferenza, dei disincanto, del disimpegno, dell’irritazione per la casta, alla quale anche la sinistra viene assimilata, del disfattismo.
Vado a concludere. Il monocraticismo populistico e accentratore incarnato dall’orlandismo, nel nome del bene indistinto per la città di Palermo, non è una strategia nuova né tantomeno originale. Cova da sempre nel DNA delle classi dirigenti meridionali e si accentua nei momenti storici segnati dalla crisi e dalla conseguente instabilità. Momenti nei quali sarebbe opportuno lavorare al risveglio e allo stimolo dei soggetti dell’alternativa, dal mondo del lavoro a quello dei migranti, dei disoccupati, degli oppressi e degli sfruttati. Si dovrebbe lavorare per innescare il conflitto, intensificare le lotte, organizzare il malcontento sociale traducendolo in soggettività politica. Solo in questo modo, indirizzando le istanze di alternativa nella pratica politica, nell’idea della politica, nella formazione di un nuovo immaginario e nell’invenzione delle forme dell’egemonia si potrebbe, oggi, tentare di modificare gli attuali rapporti di forza e equilibri di potere.
A circa un mese da quel contributo i recenti eventi relativi alla problematica palermitana, ancora una volta oggetto dell’attenzione dell’opinione pubblica nazionale, necessitano forse di un aggiornamento e di un sovrappiù di riflessione. Senza peraltro che i ragionamenti di Salerno evocati sin qui perdano di cogenza perché, invece, ne escono ulteriormente rafforzati. L’obiettivo di questo intervento non vuole essere pretenzioso, giungere a una chiarificazione del problema palermitano richiederebbe competenze e conoscenze che non possiedo, né dispensatore di dogmatiche verità. Si propone, più semplicemente, di contribuire a tenere aperto il problema concorrendo, magari, a avviare su un tema importantissimo per i destini del capoluogo siciliano, una discussione costruttiva e pacata.
Veniamo allora ad una preliminare ricostruzione dei fatti. Sul Quotidiano di Sicilia in un articolo del 29 marzo intitolato Democratici e popolari: Orlando può contare su PD, Ap e centristi si legge: “il matrimonio è stato celebrato, se sarà felice si vedrà col tempo. Il sindaco Leoluca Orlando, a caccia del quinto mandato a Palazzo delle Aquile, ha presentato all’Hotel Wagner la tanto attesa lista “Democratici e popolari” composta da Pd, Ap – la nuova formazione di Angelino Alfano – e Centristi per l’Europa, i fuoriusciti dell’Udc. (…) Il segretario provinciale Carmelo Miceli si è presentato sorridente parlando di una bella giornata che risana l’innaturale rottura di cinque anni fa”. A benedire l’accordo, tra gli altri dirigenti, il responsabile regionale dell’organizzazione del Pd Antonio Rubino. L’articolo, inoltre, ricorda che alla conferenza stampa di presentazione figuravano anche i leader centristi Dore Misuraca e Adriano Frinchi, nonché il vicepresidente dell’Ars Giuseppe Lupo e la deputata Teresa Piccione, esponenti di spicco, di certo non dei fuoriusciti dell’ultim’ora, sempre del Partito democratico.
Continuiamo con le notizie di cronaca politica riportate dalla stampa. Sul quotidiano online Libero.it del 1 aprile si legge: “A tentare la rivincita dopo il ko del 2012 proprio contro Orlando è anche Fabrizio Ferrandelli. L'ex Idv, passato al Pd prima di dire addio anche ai democratici e fondare il suo movimento ‘I Coraggiosi’, però, questa volta avrà al suo fianco Forza Italia e Cantiere popolare. Un'intesa che proprio qualche giorno fa ha rischiato di saltare a causa del no di Ferrandelli al simbolo di Fi e l’irrigidimento di Micciché. A fare da pontiere Saverio Romano, capogruppo di Ala alla Camera, ma soprattutto l’ex governatore della Sicilia, Salvatore Cuffaro. Proprio l’ex presidente della Regione avrebbe giocato un ruolo di primo piano nell’intesa tra gli azzurri e l’ex dem, convincendo il leader de I Coraggiosi ad accettare la lista con le insegne di Forza Italia, anche se con una connotazione territoriale. D’altra parte lo stesso ex presidente della Regione che a Rebibbia ha scontato una condanna per mafia non ha fatto mistero delle sue simpatie per il giovane Ferrandelli.”
Concludiamo questa nostra carrellata di riferimenti giornalistici, forse troppo lunga ma necessaria, riportando quanto scrive sempre il Quotidiano di Sicilia del 4 aprile in un articolo a firma di Gaspare Ingargiola e intitolato Elezioni, Ferrandelli non teme il M5s, la sfida è con Leoluca Orlando: “Sulla gestione degli stemmi di partito Ferrandelli ha attaccato i suoi vecchi compagni dem: «In queste ore abbiamo ritenuto corretto non mortificare in un gioco dell’ipocrisia le identità che concorreranno a questo progetto. Il Pd», invece, è «ipocrita», perché «camuffa le bandiere e per candidarsi con uomini di Alfano nasconde la propria identità (si riferisce alla lista a sostegno di Orlando Democratici e Popolari, ndr). Hanno fatto una scelta di convenienza.»”
A dire il vero ce n’è abbastanza per farsi prendere dallo sconforto. Da un lato un candidato che ha militato prima nell’Italia dei valori e poi nel Pd e che è sostenuto adesso da Forza Italia e sponsorizzato da Cuffaro. Dall’altro, il sindaco uscente che organizza e appronta una coalizione tanto larga e variopinta quanto caratterizzata da identità e prospettive differenti se non alternative. In realtà non c’è proprio niente di nuovo sotto il sole, semmai la riproposizione beffarda del tradizionale gioco trasformistico dei ceti politici siciliani e palermitani. Dentro questo scenario desolante la politica è scomparsa, rimangono soltanto cricche e camarille locali, notabilati e consorterie.
D’altra parte occorrerebbe, forse, tornare a interrogarsi su quali sono oggi a Palermo e in Sicilia i centri di potere e di raccolta elettorali, di quali interessi, particolaristici o collettivi, sono espressione oggi le forze in campo a sostegno delle due coalizioni. Nel quadro della crisi globale e dell’euro sarebbe il caso di chiedersi che fine ha fatto il potere di condizionamento di quella borghesia funzionalmente intermediaria e parassitaria che ha tradizionalmente consolidato la propria primazia attraverso il saccheggio delle risorse finanziarie di origine regionale, nazionale, e comunitaria. Insomma, è lecito chiedersi chi sosterranno alle prossime comunali, attraverso i propri canali di intermediazione clientelare, le classi dirigenti siciliane che gravitano su Palermo, che non dimentichiamo è anche il centro della politica regionale. Quelle classi dirigenti che sono state complici del disastro di questi ultimi dieci anni e che nulla hanno fatto per invertire le dinamiche asimmetriche che hanno concorso ad accentuare, rispetto alle altre regioni del Paese, sviluppo duale e divaricazione economica e produttiva.
E magari occorrerebbe interrogarsi anche su quali orizzonti di senso e su quali prospettive politiche si fonda l’antropologia degli attuali candidati, quali le loro aspirazioni e le loro, si fa per dire, vocazioni. Probabilmente ci si accorgerebbe che per molti dei protagonisti della competizione elettorale sarebbe indifferente militare nell’uno o nell’altro dei campi avversi, considerato che entrambi sembrano essere cannibalizzati da pulsioni arrivistiche e individualistiche, da ambizioni anche legittime ma sempre sussunte dentro la logica minacciosa del clientelismo, della mercificazione privatistica, del primato del mercato e del profitto. Insomma, candidarsi, e magari essere eletti, se rimane un’impresa difficile è, oggi, un’esperienza dai più, per carità e per fortuna non da tutti, vissuta come il partecipare a un concorso pubblico o il vincere il terno al lotto. Se va bene c’è sempre un gettone di presenza o un onorario con cui tirare a campare. La crisi della politica è, purtroppo, anche questo.
Ma veniamo alla questione centrale. L’abilità di Orlando nell’assicurarsi, si guardi al solo numero delle liste, un ampio sostegno e ampi margini di manovra per governare, qualora venisse eletto, nella prossima sindacatura, non è in discussione. Tuttavia, sul piano politico ed elettorale il sistema di potere realizzato da Orlando ha alimentato nuove forme di centralismo, determinando un meccanismo di dipendenza parossistico: non è il sindaco ad essere espressione di forze e di programmi, i cui contenuti possono essere pure diversificati ma sostanzialmente assimilabili, ma è l’insieme delle forze della coalizione, fra loro differentissime e con programmi e finalità, a breve, medio e lungo termine alternativi, che è espressione del potere monocratico di uno. Per la dialettica democratica è un fallimento e, se si considera che Orlando è il protagonista indiscusso della politica palermitana da quattro decenni, è sintomo della assenza di un fisiologico ricambio delle classi dirigenti.
Altro punto che merita un minimo di analisi: sembra piuttosto ovvio esigere di sapere quale sarebbe il profilo politico e la natura della coalizione che sostiene il sindaco uscente, considerato che, a quanto riportano le fonti giornalistiche, l’insieme di tali forze annovera soggettività che a livello nazionale e regionale presentano profili programmatici e pratiche politiche antitetici. Sarebbe proprio il caso di chiedersi che c’azzecca, per citare per l’appunto il ministro di un fallimentare centrosinistra prodiano che fu, la presenza di sensibilità politiche (si fa per dire) che fanno riferimento al ministro Alfano o al segretario Miceli con l’impegno e i contenuti espressi da chi in questi anni si è battuto generosamente, e dall’opposizione, contro il Jobs act e la legge 107 sulla scuola, contro le politiche di austerità e il fiscal compact, contro il taglio dei salari e degli stipendi dei lavoratori, contro la disoccupazione e il crescente sfruttamento nei luoghi di lavoro e così via. L’annuncio del possibile insediamento di un hotspot a Palermo per la reclusione di migranti appena sbarcati pare, da questo punto di vista, piuttosto allarmante. Per non parlare di quegli elementi di degrado e malcostume etico caratteristici del blocco di potere dominante a livello nazionale e regionale, e che tuttavia non mancano neanche nella borghesia mafiosa palermitana, che si condensano in un diffuso parassitismo, in una mortificante inettitudine, in una significativa ignoranza e in una vile corruzione.
Da qui un’ultima considerazione. A sinistra, autorevolmente, si sostiene che il sostegno al sindaco Orlando sarebbe necessario per rilanciare e rafforzare una soggettività unitaria, alternativa alle politiche liberiste e in condizione di preservare, chiedo venia se semplifico, le importanti conquiste per la collettività guadagnate nel corso degli ultimi cinque anni. Sarebbe scorretto e miope non riconoscere un significativo elemento di verità in queste posizioni. Tuttavia, come ho ripetutamente sostenuto, intravedo il rischio di continuare a farsi rimorchiare lungo una direzione di marcia e entro gli alvei di una proposta politica priva della necessaria radicalità e incapace di andare oltre la mera amministrazione dell’esistente. Sembra che non si riesca a comprendere che le alleanze, se si vogliono spostare gli equilibri, vanno fatte da una posizione di forza e contestualmente ad una analisi della struttura e delle aspirazioni di ceti e categorie sociali, ad uno studio degli assetti dei soggetti sociali e dei quadri dirigenti e, per finire, a una ricerca degli interessi delle componenti economiche. E, soprattutto, condizione per cambiare gli attuali equilibri non può essere data se non avendo dalla propria parte una forza, direi quasi di massa, che si coaguli attraverso un’imponente e permanete mobilitazione collettiva. Non si può pensare di governare i processi politici quando non si comandano le leve dei rapporti di forza, pena il pericolo di una sostanziale subalternità. D’altra parte, occorre inoltre ricordarsi che il rischio di rimanere in una condizione di ininfluenza va proiettato anche oltre l’immediatezza della scadenza elettorale visto che, anche in considerazione delle prossime elezioni regionali e delle prossime politiche, il blocco delle forze moderate, neoliberiste e pro euro si sta riorganizzando attorno a una possibile alleanza tra Pd e Forza Italia, in funzione di una comune lotta contro il M5s di Grillo.
È davvero in gioco il futuro della città di Palermo e di quella flebile speranza di ricostruire una sinistra che abbia spessore progettuale e programmatico, nonché adesioni di massa. Palermo, forse, si merita ben altro, e piuttosto che andare al rimorchio delle élites politiche dominanti dovrebbe costruire piattaforme e progettualità per disarticolarle. Sarebbe necessaria una contestazione globale dell’attuale sistema a tutti i livelli per produrre l’efficacia di un mutamento del quadro politico attualmente esistente a Palermo e in Sicilia. Sarà che io vedo soltanto gli elementi caratteristici della crisi, la constatazione di un fallimento da cui non può che derivare un’ulteriore disaffezione e sfiducia da parte dei palermitani i quali, soggettivamente, esprimono profili tutt’altro che caratterizzati da attivismo e impegno civico. Sarà che io vedo esclusivamente le forme dell’agire insocievole dell’indifferenza, dei disincanto, del disimpegno, dell’irritazione per la casta, alla quale anche la sinistra viene assimilata, del disfattismo.
Vado a concludere. Il monocraticismo populistico e accentratore incarnato dall’orlandismo, nel nome del bene indistinto per la città di Palermo, non è una strategia nuova né tantomeno originale. Cova da sempre nel DNA delle classi dirigenti meridionali e si accentua nei momenti storici segnati dalla crisi e dalla conseguente instabilità. Momenti nei quali sarebbe opportuno lavorare al risveglio e allo stimolo dei soggetti dell’alternativa, dal mondo del lavoro a quello dei migranti, dei disoccupati, degli oppressi e degli sfruttati. Si dovrebbe lavorare per innescare il conflitto, intensificare le lotte, organizzare il malcontento sociale traducendolo in soggettività politica. Solo in questo modo, indirizzando le istanze di alternativa nella pratica politica, nell’idea della politica, nella formazione di un nuovo immaginario e nell’invenzione delle forme dell’egemonia si potrebbe, oggi, tentare di modificare gli attuali rapporti di forza e equilibri di potere.
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