
COME TUTTI
Riflessioni sull'ultimo libro di Paolo Godani
di Calogero Lo Piccolo 12 ottobre 2016
Riflessioni sull'ultimo libro di Paolo Godani
di Calogero Lo Piccolo 12 ottobre 2016
Pubblichiamo una recensione dell'ultimo libro di Paolo Godani che sarà presentato venerdì 14 ottobre ore 18:30 all'Ecomuseo Urbano Mare Memoria Viva di via Messina Marine 20 - Palermo.
Cosa ci resta da fare quando si è seduti sull’orlo del disastro? Quando le condizioni di crisi sociale e politica, prima ancora che economica, segnano profondamente le nostre esistenze soggettive, determinandone tempi e modi, condizioni di malessere profondo con sempre più scarsi anticorpi.
Questa domanda ci accompagna da qualche anno, all’interno di un percorso molteplice e condiviso, fatto di diversi incontri, di alcuni libri, di molti dialoghi e tante letture messe in comune.
Una pratica essa stessa di resistenza esistenziale e politica, che pone incontro, studio, dialogo e riflessione condivisa come utile fatica, un tenersi per mano operoso che disegna isole di benessere nel qui e ora delle nostre disastrate esistenze.
Uno degli incontri più significativi in questo percorso è certamente quello con Paolo Godani.
Avvenuto dapprima in modo del tutto occasionale, una sera a cena al compleanno di un amico, in cui un amico comune porta un testo in regalo al festeggiato e mi dice “dovresti proprio leggerlo”.
Il testo in questione era Senza Padri. Economia del desiderio e condizioni di libertà nel capitalismo contemporaneo. Autore, Paolo Godani.
Questo è l’aneddoto, questo il primissimo incontro, cui poi seguirà la lettura del testo, un primo incontro organizzato alcuni mesi dopo per discutere collettivamente di alcuni dei temi sollevati nel testo ai Cantieri, diversi incontri e piccole chiacchierate tra una proiezione e l’altra del Sicilia Queer Film Festival.
Fino ai giorni nostri, con l’incontro con la nuova opera La vita comune. Per una filosofia e una politica oltre l’individuo, anche questo, come il precedente, edito da DeriveApprodi.
Un incipit fulminante, tratto da Benjamin:
“Le preoccupazioni: una malattia dello spirito propria dell’epoca capitalistica” che racchiude in sé la tematica del cruccio dell’individuo isolato. Connotandolo subito dentro un preciso ordine del discorso:
“Le preoccupazioni sono una caratteristica del nostro modo di vivere, una malattia propria dell’epoca della piccola borghesia planetaria, e non vanno dunque derise o stigmatizzate, ma comprese, perché possono forse rivelare qualcosa di importante intorno a noi stessi. Di che cosa sono il sintomo, precisamente? Innanzitutto del fatto che gli individui sono soli o, più precisamente, isolati di fronte alla macchina economica e burocratica – allo stesso modo in cui lo sono, nel Processo di Kafka, di fronte alla macchina della Legge. Da questo punto di vista, il Capitale e la Legge sono entrambi dispositivi che producono individui isolati.” (Op. cit.)
Le parole chiave in questo discorso sono, a parer mio, individuo, isolato, macchina.
Qui si concentra una parte del metodo della ricerca di Godani, individuare i nodi cruciali del discorso contemporaneo che struttura il male essere delle nostre esistenze, per decostruirlo, per rovesciarne il senso e individuare possibili snodi e vie d’uscita.
Come esplicitamente dichiarato dall’autore già dalle primissime pagine del testo:
“Quello che ci proponiamo nel seguito di questo lavoro è dunque, in primo luogo, di far emergere alcuni dei dispositivi psicologici e sociali attraverso i quali si produce l’isolamento dell’individuo, e, secondariamente, di guardare per così dire in controluce i modi contemporanei del vivere e pensare per trovare in essi le condizioni di una situazione differente, nella quale l’isolamento individuale lasci il posto all’affermazione di una molteplicità comune. Se è pur vero infatti che per noi, oggi, «solo l’individuo seriale vive», tuttavia, alcuni dei modi nei quali si vive lasciano già trasparire un elemento non individuale che unisce dall’interno e in maniera trasversale, i membri delle nostre società: questo elemento che chiamiamo comune o trans-individuale, pur convivendo ora con l’individualità isolata, ne costituisce il rovescio, e rappresenta perciò la nostra unica via d’uscita.” (ibid.)
Il metodo di Godani è strutturato attraverso l’analisi critica, nel senso più radicale e etimologico ad un tempo, dell’ordine del discorso contemporaneo, per decostruire la macchina di senso interna al discorso del Capitale, parte integrante essa stessa della macchina di produzione e sfruttamento dell’individuo isolato, attraverso costrutti non neutrali come quelli che hanno segnato tutto l’ideologico apparato costruitosi negli ultimi decenni attorno a concetti quali unicità dell’individuo, singolarità, eccezionalità del soggetto.
L’infernale macchina del nuovo capitale, tutto o in larga misura imperniato sul lavoro cognitivo, è stata finora in grado di assorbire e esattamente trasformare ogni spinta conflittuale e libertaria nel proprio contrario, in merce da cui estrarre plusvalore, motivo per il quale concetti come quelli sopra elencati sono divenuti oggi colonne portanti del discorso biopolitico dominante.
È dunque indispensabile una vigilanza costante sulle nostre stesse categorie di pensiero, che vanno costantemente ripensate e riattraversate, riformulate.
Pars destruens e pars costruens coincidono quindi felicemente nel discorso di Godani. La vita comune è molte cose a un tempo. È il nostro essere già adesso individui costituiti da tratti comuni, in cui soggettività non coincide con eccezionalità, piuttosto con una costitutiva compartecipazione della stessa materia di cui sono fatti gli altri. Non tutti gli altri, certo, ma molti altri sì. Come pure nelle concezioni gruppoanalitiche della personalità andiamo affermando da tempo ormai. La trans-individualità è frutto del nostro costitutivo transpersonale.
È un centrare l’attenzione sulle grandi potenzialità del momento presente, liberandolo dall’ansia del domani, del dover divenire ad ogni costo.
Qui sta la radicalità, a mio parere, più interessante della proposta politica di Godani.
Costruita nel testo attraverso un percorso che utilizza alcune figure emblematiche come il depresso e il commediante, il paranoico, il feticista e il melanconico per far emergere in controluce alcuni dei nodi significativi del contemporaneo.
Utilizzando materiali molteplici come mattoni di costruzione dello stesso, tratti dalla letteratura come dal cinema, da Spike Jonze a Marcel Proust, dal già citato Benjamin a Deleuze e Barthes.
Guidandoci passo passo verso un capovolgimento dello sguardo che è capovolgimento di luoghi comuni. Assemblando materiali disparati.
“«Mi chiamo Walter Siti, come tutti» L’autobiografia , la scrittura, il racconto della propria vita è necessariamente una finzione nella quale il nome proprio è un nome comune. Il «come tutti», naturalmente, non si riferisce a quel nome proprio, ma al fatto di averne uno; e tuttavia, di averne non uno qualunque, ma proprio quel nome, solo mio. Il «solo mio e proprio mio» del nome che ognuno porta è, in sé, quanto di più comune.
Ma il fatto che il racconto di una vita non possa che essere una finzione non deriva dalla nostra incapacità di aderire al reale, di coglierlo in sé, ma dal fatto che la natura del reale non ha la solidità che ci immaginiamo, essendo costituita da tratti aerei, astratti, comuni, sganciati da ogni puntuale qui e ora come da ogni individuo esistente.” (ibid.)
I fatti ci preesistono, alla stessa stregua dei tratti, indipendentemente dal nostro viverli o meno. E non è così essenziale nell’ontologia di ciascuno ciò.
“Già l’uomo senza qualità faceva questa constatazione, quasi un secolo fa: «l’idea che l’importante dell’esperienza sia viverla e dell’azione compierla comincia a sembrare un’ingenuità alla maggior parte degli uomini.»” (ibid.)
La contrapposizione non è affatto tra una comunanza come processo indifferenziato di omologazione seriale di massa e individualità irriducibili l’una all’altra.
“La comunanza – come abbiamo iniziato a vedere – è costituita da una molteplicità di tratti singolari differenti, benché irriducibili alle «particolarità» individuali.”(ibid.)
Non è solo una proposta di ripensamento delle categorie ontologiche dell’essere.
Ma anche una netta proposizione di attitudine politica:
“Ai cinici, diciamo invece di stare poco allegri, perché dovunque la vita comune, acquisendo fiducia nel proprio essere, si imponga come istanza collettiva, lì l’organizzazione dell’appropriazione e dello sfruttamento è messa in pericolo.
Ma come, ci si chiederà infine, come fare? Sarebbe già un passo avanti se a questo punto si fosse sentito il bisogno di passare dal «che fare?» leninista al come, abbandonando la sottomissione del fare, della vita attiva e politica, alla presunta esigenza di un programma...
Ignorare la domanda «che fare?» è invece già sapere che la vita comune è fine a se stessa, che si sottrae alla discrepanza di mezzi e fini, che non ha da realizzarsi nell’avvenire costruito secondo un programma. Ed è già sentire che non esiste transizione dall’affermazione della vita comune alla sua organizzazione come istanza collettiva, perché l’unica transizione effettiva è quella che, disattivando i dispositivi di cattura della vita comune, conduce fuori dal circolo dell’individualizzazione.” (ibid.)
C’è molto da riflettere, molto da vigilare, molto da ripensare.
Cosa ci resta da fare quando si è seduti sull’orlo del disastro? Quando le condizioni di crisi sociale e politica, prima ancora che economica, segnano profondamente le nostre esistenze soggettive, determinandone tempi e modi, condizioni di malessere profondo con sempre più scarsi anticorpi.
Questa domanda ci accompagna da qualche anno, all’interno di un percorso molteplice e condiviso, fatto di diversi incontri, di alcuni libri, di molti dialoghi e tante letture messe in comune.
Una pratica essa stessa di resistenza esistenziale e politica, che pone incontro, studio, dialogo e riflessione condivisa come utile fatica, un tenersi per mano operoso che disegna isole di benessere nel qui e ora delle nostre disastrate esistenze.
Uno degli incontri più significativi in questo percorso è certamente quello con Paolo Godani.
Avvenuto dapprima in modo del tutto occasionale, una sera a cena al compleanno di un amico, in cui un amico comune porta un testo in regalo al festeggiato e mi dice “dovresti proprio leggerlo”.
Il testo in questione era Senza Padri. Economia del desiderio e condizioni di libertà nel capitalismo contemporaneo. Autore, Paolo Godani.
Questo è l’aneddoto, questo il primissimo incontro, cui poi seguirà la lettura del testo, un primo incontro organizzato alcuni mesi dopo per discutere collettivamente di alcuni dei temi sollevati nel testo ai Cantieri, diversi incontri e piccole chiacchierate tra una proiezione e l’altra del Sicilia Queer Film Festival.
Fino ai giorni nostri, con l’incontro con la nuova opera La vita comune. Per una filosofia e una politica oltre l’individuo, anche questo, come il precedente, edito da DeriveApprodi.
Un incipit fulminante, tratto da Benjamin:
“Le preoccupazioni: una malattia dello spirito propria dell’epoca capitalistica” che racchiude in sé la tematica del cruccio dell’individuo isolato. Connotandolo subito dentro un preciso ordine del discorso:
“Le preoccupazioni sono una caratteristica del nostro modo di vivere, una malattia propria dell’epoca della piccola borghesia planetaria, e non vanno dunque derise o stigmatizzate, ma comprese, perché possono forse rivelare qualcosa di importante intorno a noi stessi. Di che cosa sono il sintomo, precisamente? Innanzitutto del fatto che gli individui sono soli o, più precisamente, isolati di fronte alla macchina economica e burocratica – allo stesso modo in cui lo sono, nel Processo di Kafka, di fronte alla macchina della Legge. Da questo punto di vista, il Capitale e la Legge sono entrambi dispositivi che producono individui isolati.” (Op. cit.)
Le parole chiave in questo discorso sono, a parer mio, individuo, isolato, macchina.
Qui si concentra una parte del metodo della ricerca di Godani, individuare i nodi cruciali del discorso contemporaneo che struttura il male essere delle nostre esistenze, per decostruirlo, per rovesciarne il senso e individuare possibili snodi e vie d’uscita.
Come esplicitamente dichiarato dall’autore già dalle primissime pagine del testo:
“Quello che ci proponiamo nel seguito di questo lavoro è dunque, in primo luogo, di far emergere alcuni dei dispositivi psicologici e sociali attraverso i quali si produce l’isolamento dell’individuo, e, secondariamente, di guardare per così dire in controluce i modi contemporanei del vivere e pensare per trovare in essi le condizioni di una situazione differente, nella quale l’isolamento individuale lasci il posto all’affermazione di una molteplicità comune. Se è pur vero infatti che per noi, oggi, «solo l’individuo seriale vive», tuttavia, alcuni dei modi nei quali si vive lasciano già trasparire un elemento non individuale che unisce dall’interno e in maniera trasversale, i membri delle nostre società: questo elemento che chiamiamo comune o trans-individuale, pur convivendo ora con l’individualità isolata, ne costituisce il rovescio, e rappresenta perciò la nostra unica via d’uscita.” (ibid.)
Il metodo di Godani è strutturato attraverso l’analisi critica, nel senso più radicale e etimologico ad un tempo, dell’ordine del discorso contemporaneo, per decostruire la macchina di senso interna al discorso del Capitale, parte integrante essa stessa della macchina di produzione e sfruttamento dell’individuo isolato, attraverso costrutti non neutrali come quelli che hanno segnato tutto l’ideologico apparato costruitosi negli ultimi decenni attorno a concetti quali unicità dell’individuo, singolarità, eccezionalità del soggetto.
L’infernale macchina del nuovo capitale, tutto o in larga misura imperniato sul lavoro cognitivo, è stata finora in grado di assorbire e esattamente trasformare ogni spinta conflittuale e libertaria nel proprio contrario, in merce da cui estrarre plusvalore, motivo per il quale concetti come quelli sopra elencati sono divenuti oggi colonne portanti del discorso biopolitico dominante.
È dunque indispensabile una vigilanza costante sulle nostre stesse categorie di pensiero, che vanno costantemente ripensate e riattraversate, riformulate.
Pars destruens e pars costruens coincidono quindi felicemente nel discorso di Godani. La vita comune è molte cose a un tempo. È il nostro essere già adesso individui costituiti da tratti comuni, in cui soggettività non coincide con eccezionalità, piuttosto con una costitutiva compartecipazione della stessa materia di cui sono fatti gli altri. Non tutti gli altri, certo, ma molti altri sì. Come pure nelle concezioni gruppoanalitiche della personalità andiamo affermando da tempo ormai. La trans-individualità è frutto del nostro costitutivo transpersonale.
È un centrare l’attenzione sulle grandi potenzialità del momento presente, liberandolo dall’ansia del domani, del dover divenire ad ogni costo.
Qui sta la radicalità, a mio parere, più interessante della proposta politica di Godani.
Costruita nel testo attraverso un percorso che utilizza alcune figure emblematiche come il depresso e il commediante, il paranoico, il feticista e il melanconico per far emergere in controluce alcuni dei nodi significativi del contemporaneo.
Utilizzando materiali molteplici come mattoni di costruzione dello stesso, tratti dalla letteratura come dal cinema, da Spike Jonze a Marcel Proust, dal già citato Benjamin a Deleuze e Barthes.
Guidandoci passo passo verso un capovolgimento dello sguardo che è capovolgimento di luoghi comuni. Assemblando materiali disparati.
“«Mi chiamo Walter Siti, come tutti» L’autobiografia , la scrittura, il racconto della propria vita è necessariamente una finzione nella quale il nome proprio è un nome comune. Il «come tutti», naturalmente, non si riferisce a quel nome proprio, ma al fatto di averne uno; e tuttavia, di averne non uno qualunque, ma proprio quel nome, solo mio. Il «solo mio e proprio mio» del nome che ognuno porta è, in sé, quanto di più comune.
Ma il fatto che il racconto di una vita non possa che essere una finzione non deriva dalla nostra incapacità di aderire al reale, di coglierlo in sé, ma dal fatto che la natura del reale non ha la solidità che ci immaginiamo, essendo costituita da tratti aerei, astratti, comuni, sganciati da ogni puntuale qui e ora come da ogni individuo esistente.” (ibid.)
I fatti ci preesistono, alla stessa stregua dei tratti, indipendentemente dal nostro viverli o meno. E non è così essenziale nell’ontologia di ciascuno ciò.
“Già l’uomo senza qualità faceva questa constatazione, quasi un secolo fa: «l’idea che l’importante dell’esperienza sia viverla e dell’azione compierla comincia a sembrare un’ingenuità alla maggior parte degli uomini.»” (ibid.)
La contrapposizione non è affatto tra una comunanza come processo indifferenziato di omologazione seriale di massa e individualità irriducibili l’una all’altra.
“La comunanza – come abbiamo iniziato a vedere – è costituita da una molteplicità di tratti singolari differenti, benché irriducibili alle «particolarità» individuali.”(ibid.)
Non è solo una proposta di ripensamento delle categorie ontologiche dell’essere.
Ma anche una netta proposizione di attitudine politica:
“Ai cinici, diciamo invece di stare poco allegri, perché dovunque la vita comune, acquisendo fiducia nel proprio essere, si imponga come istanza collettiva, lì l’organizzazione dell’appropriazione e dello sfruttamento è messa in pericolo.
Ma come, ci si chiederà infine, come fare? Sarebbe già un passo avanti se a questo punto si fosse sentito il bisogno di passare dal «che fare?» leninista al come, abbandonando la sottomissione del fare, della vita attiva e politica, alla presunta esigenza di un programma...
Ignorare la domanda «che fare?» è invece già sapere che la vita comune è fine a se stessa, che si sottrae alla discrepanza di mezzi e fini, che non ha da realizzarsi nell’avvenire costruito secondo un programma. Ed è già sentire che non esiste transizione dall’affermazione della vita comune alla sua organizzazione come istanza collettiva, perché l’unica transizione effettiva è quella che, disattivando i dispositivi di cattura della vita comune, conduce fuori dal circolo dell’individualizzazione.” (ibid.)
C’è molto da riflettere, molto da vigilare, molto da ripensare.
Lascia un commento