
CLAUDIO NAPOLEONI:
SMITH, RICARDO, MARX (Seconda parte)
Scritto da Marco Palazzotto 6 marzo 2015
SMITH, RICARDO, MARX (Seconda parte)
Scritto da Marco Palazzotto 6 marzo 2015
RICARDO
Laddove Smith aveva definito quella economica come la scienza che si occupa della “ricchezza delle nazioni”, per Ricardo l’economia è invece la scienza che si occupa della distribuzione del prodotto sociale tra le classi (rentiers, capitalisti e lavoratori).
Con Ricardo poi è netta la visione di un’economia capitalistica, ovvero la presenza di una classe di proprietari dei mezzi di produzione. Nell’analisi di Smith non si ha una sensazione altrettanto netta. Anzi in diverse occasioni Smith non descrive altro che una società caratterizzata da liberi imprenditori in una economia mercantile di liberi produttori che si incontrano nel mercato.
L’oggetto teorico principale dell’analisi del processo distributivo compiuta da Ricardo è il valore; obiettivo dell’analisi è la determinazione del saggio di profitto, soprattutto nella sua relazione con il saggio di salario. Quindi non si tratta solamente di determinare la quota di profitto e salari, ma per l’appunto di studiare il rapporto tra i due saggi in un’economia capitalistica. Ovviamente in una economia di tal tipo è il saggio di profitto la grandezza determinante del processo capitalistico, dal quale dipende lo stesso destino storico di tale processo.
Ricardo parte dall’analisi del saggio del profitto nell’agricoltura - considerato determinante - che influisce sul saggio generale del profitto. In agricoltura il saggio di profitto tende a cadere per effetto della concorrenza e soprattutto per un problema di rendita differenziale via via calante perché man mano che aumenta la popolazione dovranno essere messe a coltura terre sempre più lontane dal centro produttivo e meno fertili. Pertanto dovrà essere anticipato un capitale progressivamente maggiore a fronte di un profitto calante. Inoltre il prezzo del grano (merce-tipo nell’analisi ricardiana) sarà vieppiù alto data la difficoltà a produrlo rispetto ad altre merci. Dunque tale aumento del prezzo del grano, sotto forma di aumento del capitale anticipato in salari, non viene compensato con l’aumento del prezzo del prodotto finito industriale.
Osserviamo adesso l’elaborazione della teoria del valore. Ricardo prende le mosse dalla teoria del valore smithiana, per cui i valori di scambio dipendono (pag. 108) dalle quantità di lavoro che le merci sono in grado di mettere in movimento o comandare (labour commanded). Ricardo non poteva integralmente approvare tale tesi, in quanto la determinazione della quantità di lavoro che poteva essere mossa da ciascuna merce comporta la previa determinazione del rapporto di scambio tra la merce stessa e il lavoro. Cosi che il rapporto di scambio che si vuole determinare è presupposto stesso della sua determinazione, creando un circolo chiuso.
A questo punto Napoleoni introduce la differenza fondamentale tra l’analisi di Ricardo e quella di Marx: quest’ultimo distingue tra lavoro e forza-lavoro, che è la merce effettivamente scambiata sul mercato. Il capitalista che compra la forza-lavoro ne estrarrà il suo valore d’uso, ovvero la capacità di plus-lavoro rispetto a ciò che è necessario alla sussistenza del lavoratore, procedendo così all’estrazione del plusvalore. Il lavoratore dedica pertanto una parte della giornata alla riproduzione di un valore pari al proprio salario di sussistenza (lavoro necessario), laddove il valore prodotto durante la parte della giornata lavorativa necessaria alla formazione del profitto sarà chiamato per l’appunto plusvalore (pp. 111- 112).
Ritornando al problema della critica a Smith, Napoleoni nota come Ricardo incontri delle difficoltà quando deve applicare la teoria del valore di scambio quale rapporto di quantità contenute di lavoro in un mercato concorrenziale. Uno dei problemi nella trattazione è la definizione di capitale fisso come somma dei mezzi di produzione. Infatti, negli esempi forniti da Ricardo, i mezzi di produzione sono come eterni, privi della caratteristica di trasmettere una parte del loro valore al valore del prodotto annuo (ammortamento).
Ciò che secondo Napoleoni Ricardo non coglie con chiarezza è che se il saggio di profitto è uguale in tutte le attività (a causa del processo concorrenziale) il rapporto di scambio tra due merci non dipende soltanto dal rapporto tra le quantità di lavoro contenute nelle due merci, ma anche dal diverso modo in cui le quantità di lavoro contenute appartengono alle diverse epoche di investimento. Ovvero nell’ambito della formazione di un saggio generale del profitto nella determinazione dei valori relativi delle merci hanno importanza non solo le quantità di lavoro contenute ma anche le strutture temporali e dunque, se tali strutture sono diverse, i valori relativi non corrispondono alle quantità di lavoro contenute.
La vera difficoltà di Ricardo sta nel fatto di utilizzare una unità di misura ovvero una merce che contenga sempre la stessa quantità di lavoro. Tuttavia il valore delle altre merci non ha con il valore di questa unità di misura dei rapporti che rimangano inalterati in quanto muta già semplicemente la distribuzione del prodotto netto. Quell’unità di misura non sarebbe quindi perfetta. Cioè non riporterebbe i rapporti di scambio ai rapporti tra quantità di lavoro contenute. Lo scopo di Ricardo infatti era quello di utilizzare la misura invariabile del valore per determinare il saggio uniforme di profitto. Ed è servendosi della merce media (nel suo caso il grano che egli paragona al metro) che esprime in termini di lavoro il valore del totale di merci prodotte da una nazione, indipendentemente dalla distribuzione del prodotto netto e considerando le tecniche produttive come date.
In uno scritto successivo ai Principi, ritrovato e pubblicato da Sraffa, sembra che Ricardo intenda riprendere il discorso per superare le difficoltà parlando non più di valori di scambio, ma di valori assoluti che non sono altro che i valori riferiti ad una unità di misura invariabile ovvero una quantità di lavoro di merce-tipo che rapportata ad altre merci nello scambio si riferirebbe alle altre quantità di lavoro contenute nelle altre merci. “Poiché questa unità di misura è definita come una determinata quantità di lavoro, e perciò i singoli valori di scambio rispetto a quest’unità, cioè i valori assoluti, sono essi stessi delle quantità di lavoro, risulta che tutto l’insieme dei valori di scambio deve essere considerato come un insieme di grandezze assolute, cioè come un insieme di quantità di lavoro misurate ponendo uguale all’unità di lavoro della merce unità di misura” (pag. 120).
In altri termini Ricardo continua a considerare la quantità di lavoro contenuto nella merce come l’elemento fondamentale del valore. Il problema secondo Napoleoni non è tanto la determinazione del saggio di profitto in termini fisici (merce-tipo grano), problema che può essere risolto per esempio nell’ambito della letteratura sraffiana. Il problema è l’impostazione iniziale, secondo la quale il saggio di profitto in agricoltura si porta dietro il saggio di profitto degli altri settori. E la sua caduta tendenziale farebbe cadere tendenzialmente anche il saggio generale del profitto. Quindi rispetto allo scopo che Ricardo si propone la teoria del valore-lavoro risulta inutile perché la dimostrazione della caduta del saggio di profitto presuppone che si “adottino proprio quelle ipotesi che rendono calcolabile il saggio di profitto in termini di grano, senza alcun bisogno di ricorrere ai valori” (pag. 123)
Va riconosciuto ad ogni modo come Ricardo abbia offerto un contributo importantissimo alla conoscenza del capitalismo, tanto che successivamente Marx riprenderà molto della teoria ricardiana. Il contributo principale di Ricardo si può ricondurre soprattutto alla divisione in classi sociali ed al rapporto tra capitalista e operaio nel lavoro comandato dal primo al secondo. L’aspetto distributivo delle tre remunerazioni reddituali è quello che più ritroveremo nel prosieguo della storia del pensiero economico.
MARX.
Per quanto riguarda Marx facciamo riferimento alla seconda edizione del saggio di Napoleoni, pubblicata nel 1973; ed in particolare al solo concetto di lavoro astratto, in merito al quale l’autore matura riflessioni non presenti nella prima edizione del 1970. Napoleoni parte da Smith: la ricchezza dipende dal grado di produttività del lavoro; il grado di produttività dipende dalla divisione del lavoro; la divisione dipende dall’ampiezza del mercato cioè dall’estensione dello scambio; la propensione allo scambio sta alla base della società ed è insito nella natura umana. La società mercantile è pertanto espressione della razionalità dell’Uomo e compimento della sua natura (pag. 131).
Per Marx viceversa lo scambio, attraverso la mediazione delle cose, stabilisce rapporti tra produttori reciprocamente indifferenti. Nel lavoro i soggetti sono isolati gli uni dagli altri, il rapporto si stabilisce solo dopo che il lavoro è stato svolto, nello scambio. Il nesso sociale si ha non nella prestazione del lavoro vivo, ma si stabilisce allo stadio del lavoro morto, ovvero oggettivato nella merce. Così la società mercantile è l’universale dipendenza degli individui da un nesso sociale, lo scambio, che si è reso indipendente dagli individui stessi (pag. 133).
Definendo la natura storicamente determinata dello scambio, Marx ricava il concetto di lavoro astratto, inteso come lavoro che si contrappone al capitale, come valore d’uso che si contrappone al denaro e “non questo o quel lavoro” ma lavoro “puro e semplice, lavoro astratto, assolutamente indifferente a una particolare determinatezza, ma capace di ogni determinatezza” (pag 136). Marx nei Lineamenti fondamentali usa l’esempio del lavoro artigianale, corporativo, in cui il capitale ha ancora un’influenza limitata e in questo caso il lavoro si presenta con una determinata sostanza e non nella totalità e astrazione come invece il lavoro operaio che si contrappone al capitale. L’operaio è quindi portatore di lavoro in quanto tale, ossia come valore d’uso per il capitale e in opposizione a questo.
Lavoro astratto quindi inteso come attività scissa dalla soggettività dei singoli, che si rapporta al capitale in forza di una contrapposizione e che non ha altro prodotto possibile che il valore di scambio.
Ovviamente su Marx ci sarebbe da scrivere molto altro ancora; e risulta infatti strano - misterioso per chi scrive - che nella seconda edizione del suo saggio Napoleoni abbia voluto dedicare all’autore del Capitale solo 17 pagine, come a comunicare al lettore che il cuore del pensiero marxiano risiede anche nella definizione del lavoro astratto.
Ci riserviamo in questo spazio che ci ospita di pubblicare in futuro altri articoli sul pensiero di Marx (a breve infatti prepareremo la recensione di un testo che tratta di teoria del valore-lavoro). Per ora, nell’affrontare il testo di Napoleoni, ci premeva evidenziare come lo studio del pensiero della cosiddetta scuola classica sia un passo importante per acquisire quegli strumenti di interpretazione utili a capire le crisi economiche che ci attanagliano.
Laddove Smith aveva definito quella economica come la scienza che si occupa della “ricchezza delle nazioni”, per Ricardo l’economia è invece la scienza che si occupa della distribuzione del prodotto sociale tra le classi (rentiers, capitalisti e lavoratori).
Con Ricardo poi è netta la visione di un’economia capitalistica, ovvero la presenza di una classe di proprietari dei mezzi di produzione. Nell’analisi di Smith non si ha una sensazione altrettanto netta. Anzi in diverse occasioni Smith non descrive altro che una società caratterizzata da liberi imprenditori in una economia mercantile di liberi produttori che si incontrano nel mercato.
L’oggetto teorico principale dell’analisi del processo distributivo compiuta da Ricardo è il valore; obiettivo dell’analisi è la determinazione del saggio di profitto, soprattutto nella sua relazione con il saggio di salario. Quindi non si tratta solamente di determinare la quota di profitto e salari, ma per l’appunto di studiare il rapporto tra i due saggi in un’economia capitalistica. Ovviamente in una economia di tal tipo è il saggio di profitto la grandezza determinante del processo capitalistico, dal quale dipende lo stesso destino storico di tale processo.
Ricardo parte dall’analisi del saggio del profitto nell’agricoltura - considerato determinante - che influisce sul saggio generale del profitto. In agricoltura il saggio di profitto tende a cadere per effetto della concorrenza e soprattutto per un problema di rendita differenziale via via calante perché man mano che aumenta la popolazione dovranno essere messe a coltura terre sempre più lontane dal centro produttivo e meno fertili. Pertanto dovrà essere anticipato un capitale progressivamente maggiore a fronte di un profitto calante. Inoltre il prezzo del grano (merce-tipo nell’analisi ricardiana) sarà vieppiù alto data la difficoltà a produrlo rispetto ad altre merci. Dunque tale aumento del prezzo del grano, sotto forma di aumento del capitale anticipato in salari, non viene compensato con l’aumento del prezzo del prodotto finito industriale.
Osserviamo adesso l’elaborazione della teoria del valore. Ricardo prende le mosse dalla teoria del valore smithiana, per cui i valori di scambio dipendono (pag. 108) dalle quantità di lavoro che le merci sono in grado di mettere in movimento o comandare (labour commanded). Ricardo non poteva integralmente approvare tale tesi, in quanto la determinazione della quantità di lavoro che poteva essere mossa da ciascuna merce comporta la previa determinazione del rapporto di scambio tra la merce stessa e il lavoro. Cosi che il rapporto di scambio che si vuole determinare è presupposto stesso della sua determinazione, creando un circolo chiuso.
A questo punto Napoleoni introduce la differenza fondamentale tra l’analisi di Ricardo e quella di Marx: quest’ultimo distingue tra lavoro e forza-lavoro, che è la merce effettivamente scambiata sul mercato. Il capitalista che compra la forza-lavoro ne estrarrà il suo valore d’uso, ovvero la capacità di plus-lavoro rispetto a ciò che è necessario alla sussistenza del lavoratore, procedendo così all’estrazione del plusvalore. Il lavoratore dedica pertanto una parte della giornata alla riproduzione di un valore pari al proprio salario di sussistenza (lavoro necessario), laddove il valore prodotto durante la parte della giornata lavorativa necessaria alla formazione del profitto sarà chiamato per l’appunto plusvalore (pp. 111- 112).
Ritornando al problema della critica a Smith, Napoleoni nota come Ricardo incontri delle difficoltà quando deve applicare la teoria del valore di scambio quale rapporto di quantità contenute di lavoro in un mercato concorrenziale. Uno dei problemi nella trattazione è la definizione di capitale fisso come somma dei mezzi di produzione. Infatti, negli esempi forniti da Ricardo, i mezzi di produzione sono come eterni, privi della caratteristica di trasmettere una parte del loro valore al valore del prodotto annuo (ammortamento).
Ciò che secondo Napoleoni Ricardo non coglie con chiarezza è che se il saggio di profitto è uguale in tutte le attività (a causa del processo concorrenziale) il rapporto di scambio tra due merci non dipende soltanto dal rapporto tra le quantità di lavoro contenute nelle due merci, ma anche dal diverso modo in cui le quantità di lavoro contenute appartengono alle diverse epoche di investimento. Ovvero nell’ambito della formazione di un saggio generale del profitto nella determinazione dei valori relativi delle merci hanno importanza non solo le quantità di lavoro contenute ma anche le strutture temporali e dunque, se tali strutture sono diverse, i valori relativi non corrispondono alle quantità di lavoro contenute.
La vera difficoltà di Ricardo sta nel fatto di utilizzare una unità di misura ovvero una merce che contenga sempre la stessa quantità di lavoro. Tuttavia il valore delle altre merci non ha con il valore di questa unità di misura dei rapporti che rimangano inalterati in quanto muta già semplicemente la distribuzione del prodotto netto. Quell’unità di misura non sarebbe quindi perfetta. Cioè non riporterebbe i rapporti di scambio ai rapporti tra quantità di lavoro contenute. Lo scopo di Ricardo infatti era quello di utilizzare la misura invariabile del valore per determinare il saggio uniforme di profitto. Ed è servendosi della merce media (nel suo caso il grano che egli paragona al metro) che esprime in termini di lavoro il valore del totale di merci prodotte da una nazione, indipendentemente dalla distribuzione del prodotto netto e considerando le tecniche produttive come date.
In uno scritto successivo ai Principi, ritrovato e pubblicato da Sraffa, sembra che Ricardo intenda riprendere il discorso per superare le difficoltà parlando non più di valori di scambio, ma di valori assoluti che non sono altro che i valori riferiti ad una unità di misura invariabile ovvero una quantità di lavoro di merce-tipo che rapportata ad altre merci nello scambio si riferirebbe alle altre quantità di lavoro contenute nelle altre merci. “Poiché questa unità di misura è definita come una determinata quantità di lavoro, e perciò i singoli valori di scambio rispetto a quest’unità, cioè i valori assoluti, sono essi stessi delle quantità di lavoro, risulta che tutto l’insieme dei valori di scambio deve essere considerato come un insieme di grandezze assolute, cioè come un insieme di quantità di lavoro misurate ponendo uguale all’unità di lavoro della merce unità di misura” (pag. 120).
In altri termini Ricardo continua a considerare la quantità di lavoro contenuto nella merce come l’elemento fondamentale del valore. Il problema secondo Napoleoni non è tanto la determinazione del saggio di profitto in termini fisici (merce-tipo grano), problema che può essere risolto per esempio nell’ambito della letteratura sraffiana. Il problema è l’impostazione iniziale, secondo la quale il saggio di profitto in agricoltura si porta dietro il saggio di profitto degli altri settori. E la sua caduta tendenziale farebbe cadere tendenzialmente anche il saggio generale del profitto. Quindi rispetto allo scopo che Ricardo si propone la teoria del valore-lavoro risulta inutile perché la dimostrazione della caduta del saggio di profitto presuppone che si “adottino proprio quelle ipotesi che rendono calcolabile il saggio di profitto in termini di grano, senza alcun bisogno di ricorrere ai valori” (pag. 123)
Va riconosciuto ad ogni modo come Ricardo abbia offerto un contributo importantissimo alla conoscenza del capitalismo, tanto che successivamente Marx riprenderà molto della teoria ricardiana. Il contributo principale di Ricardo si può ricondurre soprattutto alla divisione in classi sociali ed al rapporto tra capitalista e operaio nel lavoro comandato dal primo al secondo. L’aspetto distributivo delle tre remunerazioni reddituali è quello che più ritroveremo nel prosieguo della storia del pensiero economico.
MARX.
Per quanto riguarda Marx facciamo riferimento alla seconda edizione del saggio di Napoleoni, pubblicata nel 1973; ed in particolare al solo concetto di lavoro astratto, in merito al quale l’autore matura riflessioni non presenti nella prima edizione del 1970. Napoleoni parte da Smith: la ricchezza dipende dal grado di produttività del lavoro; il grado di produttività dipende dalla divisione del lavoro; la divisione dipende dall’ampiezza del mercato cioè dall’estensione dello scambio; la propensione allo scambio sta alla base della società ed è insito nella natura umana. La società mercantile è pertanto espressione della razionalità dell’Uomo e compimento della sua natura (pag. 131).
Per Marx viceversa lo scambio, attraverso la mediazione delle cose, stabilisce rapporti tra produttori reciprocamente indifferenti. Nel lavoro i soggetti sono isolati gli uni dagli altri, il rapporto si stabilisce solo dopo che il lavoro è stato svolto, nello scambio. Il nesso sociale si ha non nella prestazione del lavoro vivo, ma si stabilisce allo stadio del lavoro morto, ovvero oggettivato nella merce. Così la società mercantile è l’universale dipendenza degli individui da un nesso sociale, lo scambio, che si è reso indipendente dagli individui stessi (pag. 133).
Definendo la natura storicamente determinata dello scambio, Marx ricava il concetto di lavoro astratto, inteso come lavoro che si contrappone al capitale, come valore d’uso che si contrappone al denaro e “non questo o quel lavoro” ma lavoro “puro e semplice, lavoro astratto, assolutamente indifferente a una particolare determinatezza, ma capace di ogni determinatezza” (pag 136). Marx nei Lineamenti fondamentali usa l’esempio del lavoro artigianale, corporativo, in cui il capitale ha ancora un’influenza limitata e in questo caso il lavoro si presenta con una determinata sostanza e non nella totalità e astrazione come invece il lavoro operaio che si contrappone al capitale. L’operaio è quindi portatore di lavoro in quanto tale, ossia come valore d’uso per il capitale e in opposizione a questo.
Lavoro astratto quindi inteso come attività scissa dalla soggettività dei singoli, che si rapporta al capitale in forza di una contrapposizione e che non ha altro prodotto possibile che il valore di scambio.
Ovviamente su Marx ci sarebbe da scrivere molto altro ancora; e risulta infatti strano - misterioso per chi scrive - che nella seconda edizione del suo saggio Napoleoni abbia voluto dedicare all’autore del Capitale solo 17 pagine, come a comunicare al lettore che il cuore del pensiero marxiano risiede anche nella definizione del lavoro astratto.
Ci riserviamo in questo spazio che ci ospita di pubblicare in futuro altri articoli sul pensiero di Marx (a breve infatti prepareremo la recensione di un testo che tratta di teoria del valore-lavoro). Per ora, nell’affrontare il testo di Napoleoni, ci premeva evidenziare come lo studio del pensiero della cosiddetta scuola classica sia un passo importante per acquisire quegli strumenti di interpretazione utili a capire le crisi economiche che ci attanagliano.
Lascia un commento