
CHE COS'E' QUESTA CRISI?
BUROCRAZIA E MERCATO
La crescita della Cina e il contributo del sistema finanziario
di Giordano Sivini
23 aprile 2021
BUROCRAZIA E MERCATO
La crescita della Cina e il contributo del sistema finanziario
di Giordano Sivini
23 aprile 2021
Nel novembre dello scorso anno la società privata cinese Ant Group sarebbe dovuta diventare uno dei più grandi operatori finanziari del mondo, collocando azioni alle borse di Shanghai e Hong Kong per un valore previsto di 37 miliardi di dollari. L’operazione venne bloccata dal governo cinese. Quest’anno, in aprile, Alibaba Group, la multinazionale privata cinese più grande del mondo nel commercio elettronico di cui Ant fa parte, è stato multato per abuso di posizione dominante all’interno del paese per la cifra record di 2,8 miliardi di dollari dalla State Administration for Market Regulation (SAMR), in applicazione delle norme antitrust approvate nel 2020.
L'indagine antitrust su Alibaba, che è per molti versi l’omologo cinese di Amazon, faceva parte, venne spiegato, “dello sforzo del governo cinese per domare la crescita incontrollata dei colossi tecnologici del paese, realizzando sicurezza finanziaria e prevenzione dei rischi”. Alibaba, ha “accettato la sanzione con sincerità garantendo con determinazione il rispetto della normativa”.
La SAMR ha anche convocato una trentina di operatori privati di internet, tra cui Tacent (omologo di Facebook), dando loro un mese di tempo per adeguarsi. Si tratta di interventi su soggetti che operano in stretto rapporto con il sistema finanziario della Cina, che per entità e irrevocabilità non hanno eguali in Occidente.
Un libro di Peter Nolan, uscito di recente, Finance and the Real Economy: China and the West since the Asian Financial Crisis (Routledge 2021), mette a confronto queste due realtà, evidenziando le diverse funzioni che ha, nell’Ovest e nella Cina, la finanza rispetto all’economia reale. Si occupa di ciò che è successo con la grande recessione e negli anni successivi e fino alla vigilia della crisi del covid.
Nolan è professore emerito dell’Università di Cambridge (UK). In The Political Economy of Collective Farms: An Analysis of China’s Post-mao Rural Reforms (Westviev 1988, Routledge 2019) racconta del suo primo approccio con la Cina nel 1979, da giovane ricercatore nelle aree rurali in fase di de-collettivizzazione. Da allora, anno dopo anno, ha seguito da vicino le vicende del paese, raccontandole e analizzandole in alcune decine di libri e qualche centinaio di articoli. In quello recente, pur non ancora in grado di definire il futuro della Cina, compara le modalità di intervento per la sua crescita economica e sociale sostenuta dalla mobilitazione del sistema finanziario, con quelle di Stati e banche occidentali che hanno aiutato istituzioni e attività finanziarie a riprendersi dal casino creato dalla crisi dei subprime. Di questa analisi viene qui ripresa e sintetizzata la parte ancora troppo poco conosciuta che riguarda la Cina.
La risposta della Cina alla grande depressione
“La risposta della Cina alla grande depressione sembra presentare l'immagine speculare dell'Occidente”, osserva Nolan. Da questa parte mobilitazione degli Stati e delle Banche centrali per produrre liquidità e acquistare titoli finanziari deteriorati, da parte cinese mobilitazione del paese nel 2008 per realizzare un programma biennale di investimenti in infrastrutture al fine di superare la crisi ed espandere la produzione e i consumi interni, con la previsione di costo di 586 miliardi di dollari, dei quali 150 dal governo centrale e il resto dai governi locali e dalle imprese.
Gli interventi hanno riguardato alloggi popolari; progetti rurali; trasporto; assistenza medica e istruzione; protezione ambientale; innovazione industriale; ricostruzioni in aree terremotate; sostegno al reddito per la popolazione rurale, per i residenti urbani a basso salario, e per i pensionati. Nonostante il crollo della domanda di importazioni delle economie ad alto reddito, la Cina ha così ottenuto nel 2009 un tasso di crescita del 9,2 per cento. Nell’aprile 2021, nonostante il Covid, è arrivata al 18,3.
Gli investimenti in infrastrutture sono proseguiti massicciamente negli anni successivi utilizzando tecnologie avanzate. Dopo aver contribuito a stabilizzare l'economia globale nel momento di massima crisi, la Cina ha concorso alla crescita globale, più di qualsiasi altro paese. Tra il 2008 e il 2018 la sua quota nel PIL mondiale è aumentata dal 12,0 al 18,8 per cento, 30 per cento in più rispetto all’11 degli Stati Uniti e al 10 dell’Unione Europea. La quota nella produzione manifatturiera mondiale è aumentata dal 16,4 al 30,3 per cento.
La Cina ha realizzato la svolta definitiva rispetto a quella che era stata un’esistenza come fabbrica del mondo basata su esportazioni che contribuivano al 67 per cento del PIL. Nel 2007 il premier Wen Jiabao aveva avvertito che il modello economico del Paese era “instabile, sbilanciato, scoordinato e insostenibile” e che era necessario superare il modello di crescita basato sulla mobilitazione di enormi quantità di capitale e di lavoro in eccesso. L’investimento in infrastrutture, realizzate in tempi estremamente rapidi, ha creato le condizioni riorientare economia e società, espandendo industrie, servizi e consumi.
Elettricità, trasporti, alloggi, sistemi fognari e idrici, telecomunicazioni hanno modificato i rapporti economici e sociali, creando una vasta gamma di opportunità di mercato. In ambiente urbano la popolazione è passata tra il 2008 e il 2017 da 624 milioni (47 per cento della popolazione totale) a 813 (59 per cento); l’occupazione non statale dal 47 al 66 per cento; la quota del settore terziario sull'occupazione totale dal 33 al 45 per cento. La carenza di manodopera, assorbita dalle nuove attività, ha stimolato la crescita dei salari reali, aumentati nel 2008-2017 in media del 7,2 per cento annuo Il reddito familiare medio reale pro capite è cresciuto del 9,1 per cento annuo nelle zone rurali e del 7,5 nelle aree urbane.
Il sistema finanziario e la mobilitazione sociale
L’immagine speculare dell’Occidente, richiamata da Nolan, diventa ancor più chiara se si considera che la crescita in Cina è stata resa possibile dalla mobilitazione sociale che il sistema finanziario ha realizzato attraverso le sue articolazioni periferiche. Le banche centrali e locali l’hanno sostenuta con crediti e partecipazioni obbligazionarie e azionarie a una moltitudine di progetti specifici, attivando una parte rilevante della popolazione che si è procurata prestiti attingendo alla fitta rete di uno shadow banking system, che sostiene in termini prettamente finanziari le iniziative industriose.
In Cina operano quattro grandi banche di proprietà statale (Bank of China, China Construction Bank, Industrial and Commercial Bank of China, Agricultural Bank of China) quotate sulle borse di Shanghai e di Hong Kong. Gran parte delle azioni fanno capo al Ministero delle Finanze e ad altri importanti soggetti pubblici (Central Huijin e MOF) che rispondono al Consiglio di Stato, quote minoritarie sono flottanti. Hanno realizzato una trasformazione completa e ad alta velocità dei loro sistemi IT, unificando ciascuna il proprio hardware in un unico sistema centralizzato di controllo sul rischio. Gran parte delle tecnologie sono state acquistate da società statunitensi.
I governi locali hanno raccolto le risorse per il programma di infrastrutturazione attraverso ‘piattaforme di investimento’ dove sono confluiti i contributi finanziari reali e potenziali delle filiali locali delle grandi banche, delle banche commerciali cittadine, dei sistemi di banche cooperative rurali, di gruppi di imprese e di società di investimento. A livello locale operano 133 banche commerciali, controllate per il 75 per cento dai governi locali, veicoli importanti per il finanziamento delle piccole e medie imprese, impegnate in particolare per lo sviluppo del mercato immobiliare. Per le aree rurali c’è un sistema di 665 banche rurali e di 1596 cooperative di credito rurale.
Il sistema bancario ombra è una componente essenziale del sistema finanziario, la cui espansione è dovuta alla rapida crescita delle piccole imprese e delle microimprese, quasi tutte nel settore non statale. Tra il 2008 e il 2017 il loro numero è triplicato, raggiungendo i 100 milioni ufficialmente registrati presso la Federazione dell'Industria e del Commercio. In gran parte si tratta di attività su basi familiari, con una vita media di tre anni. Nel 2018 solo due imprese su dieci hanno ottenuto prestiti bancari registrati: le altre si sono rivolte al sistema bancario ombra, incontrando tuttavia maggiori difficoltà rispetto agli anni precedenti. Le autorità di regolamentazione sono infatti intervenute per mettere ordine, in particolare obbligando le banche che operavano nel sistema ombra a riportare in bilancio i prodotti di gestione patrimoniale fuori bilancio. Hanno inoltre sottoposto a maggiori controlli società fiduciarie promosse da banche e imprese statali, compagnie di assicurazione, società di intermediazione mobiliare, società di gestione di fondi, che spesso per generare rendimenti annuali del 10-15 per cento investivano in immobili speculativi e altri progetti ad alto rischio.
Le autorità di regolamentazione hanno inoltre drasticamente ridotto le capacità operative delle piattaforme P2P di prestito on line, riducendole da sei mila a due mila e limitando l’attività a prestiti inferiori a un milione di RMB (160 mila dollari) per i mutuatari individuali e cinque milioni di RMB per le imprese.
L’isolamento del sistema finanziario
L’intervento dello Stato nel settore produttivo comprende la proprietà delle banche e di una vasta gamma di ‘industrie strategiche’, la protezione dalla concorrenza internazionale di alcune grandi società tecnologiche non statali come Alibaba, Baidu e Tencent (omologhi cinesi di Amazon, Google e Facebook), il perseguimento di pratiche monopolistiche, i notevoli investimenti mirati in ricerca e sviluppo, i prestiti e l’assegnazione di appalti pubblici per sostenere le imprese locali, la richiesta alle multinazionali di stabilire joint venture con partner nazionali e di localizzare le attività e cedere le tecnologie come un condizione per ottenere l'accesso al mercato. La stretta interazione tra banche di proprietà statale e imprese di proprietà statale, ha evitato a molte di finire sotto il controllo delle multinazionali dopo l'adesione della Cina all'Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC).
E’ in coincidenza con questa adesione che è maturata la decisione di isolare il sistema bancario dai mercati globali dei capitali per assicurare che non venisse meno la sua funzionalità alla crescita dell’economia reale. Con l'avvicinarsi dell'ingresso nell'OMC, la finanza internazionale riteneva che le banche commerciali cinesi non sarebbero state in grado di competere con le gigantesche banche globali nei servizi finanziari e che le imprese industriali sarebbero collassate.
Le banche avevano un alto livello di prestiti in sofferenza, risorse umane deboli, un meccanismo operativo semplice ben lontano dalle operazioni sofisticate delle principali banche globali, tecnologie arretrate e persistenti interferenze da parte dei politici nelle decisioni di prestito bancario. In Occidente c'era l'aspettativa diffusa che all’adesione avrebbe seguito la privatizzazione di società non finanziarie e finanziarie e che il sistema finanziario del paese si sarebbe integrato strettamente con i mercati dei capitali globali. In particolare Citigroup da Wall Street sosteneva che le banche statali avrebbero dovuto risolvere rapidamente i loro problemi per evitare alla Cina una crisi finanziaria. Le loro entrate totali erano poco più della metà di quelle di Citigroup e i loro profitti combinati ammontavano a solo l'11 per cento di quelli di Citigroup.
Nolan, che ha ricostruito queste vicende in China in the Financial Crisis (Westview 2004, Routledge 2021), sottolinea che la decisione di isolare le banche e di rafforzarle era maturata dalla “esperienza bruciante” dei contraccolpi nella provincia cinese del Guandong della crisi finanziaria asiatica del 1997-98, ed era stato “il frutto di un turbolento dibattito sul percorso della riforma del sistema finanziario”. Invece di smembrare le banche e le proprietà statali non finanziarie nel 2003 venne costituita la Commissione di regolamentazione bancaria (CBRC) che tuttora esercita il controllo su tutto il sistema finanziario, e la Commissione per la supervisione e l'amministrazione dei beni (SASAC) su quello sulle imprese statali. Una tra le prime misure della CBRC fu di impedire al sistema bancario di entrare nei mercati di prodotti finanziari più complicati e poco conosciuti, in particolare dei derivati complessi.
Nel 2018 cinque delle prime dieci banche mondiali in termini di capitalizzazione di mercato sono cinesi e le prime quattro banche cinesi hanno registrato profitti combinati di 173 miliardi di dollari, rispetto ai 115 miliardi di dollari delle prime quattro banche statunitensi. Quanto alle imprese statali non finanziarie che fanno capo alla SASAC hanno un patrimonio combinato di 26 trilioni di dollari, ricavi per 3,6 trilioni e una capitalizzazione di borsa di 7,6 trilioni, che rendono la SASAC la più grande entità economica del mondo.
Il sistema burocratico e il mercato
“Il partito comunista – scrive Nolan - è al centro del sistema bancario statale. I principali funzionari del governo del paese, i suoi principali regolatori e i leader delle banche del paese sono quasi tutti membri del partito. Ogni banca ha un segretario del partito, che esercita la massima autorità all'interno della banca. I dirigenti senior delle banche hanno remunerazioni significativamente al di sopra del reddito medio, ma solo una piccola parte di quelle dei manager ai vertici delle banche globali occidentali”. Analoga è la situazione delle imprese statali non finanziarie, e la capillarità organizzativa del partito comunista penetra anche in quelle private nazionali e multinazionali, nei luoghi di produzione e di mercato. La struttura del partito si irradia da Pechino alle provincie, dalle città ai villaggi, con 100 milioni di iscritti gerarchicamente organizzati.
Per Nolan il partito comunista è un elemento di cui scrive poco, dacché in genere ci si limita a valutare le politiche che producono crescita sociale. “Una parte centrale della risposta della Cina alla grande depressione è stata di utilizzare lo stimolo della crisi per consolidare la coesione sociale”. Tra i tanti indicatori, gli studenti iscritti all’istruzione superiore sono passati da 19 a 28 milioni, quelli post laurea da 1,1 a 2,6 milioni. La popolazione coperta dall’assistenza medica di base è passata dal 24 all’85 per cento, da quella pensionistica dal 16 al 66. La povertà assoluta è stata debellata.
Nolan antepone al problema del Partito Comunista quello del contesto che gli permette di agire in modo efficiente, e nella storia della Cina trova due invarianti che possono spiegarla - la burocrazia e il mercato - che rendono la società cinese così diversa dalle società occidentali.
“L'ideologia e la struttura normativa sono sotto il controllo della burocrazia, che è diventata sempre più professionalmente capace e in grado di gestire efficacemente il sistema finanziario”. La burocrazia, non il partito, innerva il potere e ne realizza le politiche da Pechino alle provincie lontane adeguandosi alle realtà locali. La burocrazia, che per due millenni ha tenuto insieme l’impero cinese, è radicata nel pensiero cinese di oggi”.
Dalla dinastia Han (206 a.C. al 220 d.C.) fino al 1911 lo stato tradizionale cinese è stato amministrato da burocrati scelti attraverso esami competitivi. Dalla dinastia Tang (618–907 d.C.) gli esami davano accesso alla ‘nobiltà’ imperiale e venivano utilizzati per la promozione, la retrocessione o il licenziamento. Questo sistema ha prodotto una burocrazia professionalmente capace ed ha anche contribuito all'unità, stabilendo un sistema educativo comune per la classe dirigente che enfatizzava la risoluzione dei problemi in modo pragmatico. Un organo di controllo indipendente, la ‘censura’, ha svolto un controllo sul funzionamento del governo. A metà del diciannovesimo secolo c'erano circa 1,5 milioni di membri della piccola nobiltà, pari a circa il due per cento della popolazione totale; duecento mila erano membri della ‘nobiltà superiore’, avendo superato gli esami avanzati per ottenere una retribuzione dal governo.
Sotto questo sistema commercianti e banchieri erano autorizzati a “fare soldi con il denaro” entro limiti stabiliti dalla burocrazia, che localmente emanava e amministrava leggi, riscuoteva tasse, assicurava la costruzione e il funzionamento delle opere pubbliche e, soprattutto, controllava la trasmissione generazionale dei valori del confucianesimo.
“Sin dal mondo antico - conclude Nolan - la teoria e la pratica politica cinese ha costantemente sostenuto che la burocrazia meritocratica dovrebbe essere indipendente dal commercio e dalla finanza (…). Durante i quaranta anni di riforma e apertura, la Cina ha cercato di trovare una via per riformare il sistema finanziario. Ha seguito la lunga tradizione della burocrazia di incoraggiare il commercio per fare soldi, sperimentando nello stesso tempo metodi di regolamentazione del settore finanziario a beneficio dell'intera società. Il Partito Comunista Cinese è stato al centro del lungo processo sperimentale di riforma”.
L'indagine antitrust su Alibaba, che è per molti versi l’omologo cinese di Amazon, faceva parte, venne spiegato, “dello sforzo del governo cinese per domare la crescita incontrollata dei colossi tecnologici del paese, realizzando sicurezza finanziaria e prevenzione dei rischi”. Alibaba, ha “accettato la sanzione con sincerità garantendo con determinazione il rispetto della normativa”.
La SAMR ha anche convocato una trentina di operatori privati di internet, tra cui Tacent (omologo di Facebook), dando loro un mese di tempo per adeguarsi. Si tratta di interventi su soggetti che operano in stretto rapporto con il sistema finanziario della Cina, che per entità e irrevocabilità non hanno eguali in Occidente.
Un libro di Peter Nolan, uscito di recente, Finance and the Real Economy: China and the West since the Asian Financial Crisis (Routledge 2021), mette a confronto queste due realtà, evidenziando le diverse funzioni che ha, nell’Ovest e nella Cina, la finanza rispetto all’economia reale. Si occupa di ciò che è successo con la grande recessione e negli anni successivi e fino alla vigilia della crisi del covid.
Nolan è professore emerito dell’Università di Cambridge (UK). In The Political Economy of Collective Farms: An Analysis of China’s Post-mao Rural Reforms (Westviev 1988, Routledge 2019) racconta del suo primo approccio con la Cina nel 1979, da giovane ricercatore nelle aree rurali in fase di de-collettivizzazione. Da allora, anno dopo anno, ha seguito da vicino le vicende del paese, raccontandole e analizzandole in alcune decine di libri e qualche centinaio di articoli. In quello recente, pur non ancora in grado di definire il futuro della Cina, compara le modalità di intervento per la sua crescita economica e sociale sostenuta dalla mobilitazione del sistema finanziario, con quelle di Stati e banche occidentali che hanno aiutato istituzioni e attività finanziarie a riprendersi dal casino creato dalla crisi dei subprime. Di questa analisi viene qui ripresa e sintetizzata la parte ancora troppo poco conosciuta che riguarda la Cina.
La risposta della Cina alla grande depressione
“La risposta della Cina alla grande depressione sembra presentare l'immagine speculare dell'Occidente”, osserva Nolan. Da questa parte mobilitazione degli Stati e delle Banche centrali per produrre liquidità e acquistare titoli finanziari deteriorati, da parte cinese mobilitazione del paese nel 2008 per realizzare un programma biennale di investimenti in infrastrutture al fine di superare la crisi ed espandere la produzione e i consumi interni, con la previsione di costo di 586 miliardi di dollari, dei quali 150 dal governo centrale e il resto dai governi locali e dalle imprese.
Gli interventi hanno riguardato alloggi popolari; progetti rurali; trasporto; assistenza medica e istruzione; protezione ambientale; innovazione industriale; ricostruzioni in aree terremotate; sostegno al reddito per la popolazione rurale, per i residenti urbani a basso salario, e per i pensionati. Nonostante il crollo della domanda di importazioni delle economie ad alto reddito, la Cina ha così ottenuto nel 2009 un tasso di crescita del 9,2 per cento. Nell’aprile 2021, nonostante il Covid, è arrivata al 18,3.
Gli investimenti in infrastrutture sono proseguiti massicciamente negli anni successivi utilizzando tecnologie avanzate. Dopo aver contribuito a stabilizzare l'economia globale nel momento di massima crisi, la Cina ha concorso alla crescita globale, più di qualsiasi altro paese. Tra il 2008 e il 2018 la sua quota nel PIL mondiale è aumentata dal 12,0 al 18,8 per cento, 30 per cento in più rispetto all’11 degli Stati Uniti e al 10 dell’Unione Europea. La quota nella produzione manifatturiera mondiale è aumentata dal 16,4 al 30,3 per cento.
La Cina ha realizzato la svolta definitiva rispetto a quella che era stata un’esistenza come fabbrica del mondo basata su esportazioni che contribuivano al 67 per cento del PIL. Nel 2007 il premier Wen Jiabao aveva avvertito che il modello economico del Paese era “instabile, sbilanciato, scoordinato e insostenibile” e che era necessario superare il modello di crescita basato sulla mobilitazione di enormi quantità di capitale e di lavoro in eccesso. L’investimento in infrastrutture, realizzate in tempi estremamente rapidi, ha creato le condizioni riorientare economia e società, espandendo industrie, servizi e consumi.
Elettricità, trasporti, alloggi, sistemi fognari e idrici, telecomunicazioni hanno modificato i rapporti economici e sociali, creando una vasta gamma di opportunità di mercato. In ambiente urbano la popolazione è passata tra il 2008 e il 2017 da 624 milioni (47 per cento della popolazione totale) a 813 (59 per cento); l’occupazione non statale dal 47 al 66 per cento; la quota del settore terziario sull'occupazione totale dal 33 al 45 per cento. La carenza di manodopera, assorbita dalle nuove attività, ha stimolato la crescita dei salari reali, aumentati nel 2008-2017 in media del 7,2 per cento annuo Il reddito familiare medio reale pro capite è cresciuto del 9,1 per cento annuo nelle zone rurali e del 7,5 nelle aree urbane.
Il sistema finanziario e la mobilitazione sociale
L’immagine speculare dell’Occidente, richiamata da Nolan, diventa ancor più chiara se si considera che la crescita in Cina è stata resa possibile dalla mobilitazione sociale che il sistema finanziario ha realizzato attraverso le sue articolazioni periferiche. Le banche centrali e locali l’hanno sostenuta con crediti e partecipazioni obbligazionarie e azionarie a una moltitudine di progetti specifici, attivando una parte rilevante della popolazione che si è procurata prestiti attingendo alla fitta rete di uno shadow banking system, che sostiene in termini prettamente finanziari le iniziative industriose.
In Cina operano quattro grandi banche di proprietà statale (Bank of China, China Construction Bank, Industrial and Commercial Bank of China, Agricultural Bank of China) quotate sulle borse di Shanghai e di Hong Kong. Gran parte delle azioni fanno capo al Ministero delle Finanze e ad altri importanti soggetti pubblici (Central Huijin e MOF) che rispondono al Consiglio di Stato, quote minoritarie sono flottanti. Hanno realizzato una trasformazione completa e ad alta velocità dei loro sistemi IT, unificando ciascuna il proprio hardware in un unico sistema centralizzato di controllo sul rischio. Gran parte delle tecnologie sono state acquistate da società statunitensi.
I governi locali hanno raccolto le risorse per il programma di infrastrutturazione attraverso ‘piattaforme di investimento’ dove sono confluiti i contributi finanziari reali e potenziali delle filiali locali delle grandi banche, delle banche commerciali cittadine, dei sistemi di banche cooperative rurali, di gruppi di imprese e di società di investimento. A livello locale operano 133 banche commerciali, controllate per il 75 per cento dai governi locali, veicoli importanti per il finanziamento delle piccole e medie imprese, impegnate in particolare per lo sviluppo del mercato immobiliare. Per le aree rurali c’è un sistema di 665 banche rurali e di 1596 cooperative di credito rurale.
Il sistema bancario ombra è una componente essenziale del sistema finanziario, la cui espansione è dovuta alla rapida crescita delle piccole imprese e delle microimprese, quasi tutte nel settore non statale. Tra il 2008 e il 2017 il loro numero è triplicato, raggiungendo i 100 milioni ufficialmente registrati presso la Federazione dell'Industria e del Commercio. In gran parte si tratta di attività su basi familiari, con una vita media di tre anni. Nel 2018 solo due imprese su dieci hanno ottenuto prestiti bancari registrati: le altre si sono rivolte al sistema bancario ombra, incontrando tuttavia maggiori difficoltà rispetto agli anni precedenti. Le autorità di regolamentazione sono infatti intervenute per mettere ordine, in particolare obbligando le banche che operavano nel sistema ombra a riportare in bilancio i prodotti di gestione patrimoniale fuori bilancio. Hanno inoltre sottoposto a maggiori controlli società fiduciarie promosse da banche e imprese statali, compagnie di assicurazione, società di intermediazione mobiliare, società di gestione di fondi, che spesso per generare rendimenti annuali del 10-15 per cento investivano in immobili speculativi e altri progetti ad alto rischio.
Le autorità di regolamentazione hanno inoltre drasticamente ridotto le capacità operative delle piattaforme P2P di prestito on line, riducendole da sei mila a due mila e limitando l’attività a prestiti inferiori a un milione di RMB (160 mila dollari) per i mutuatari individuali e cinque milioni di RMB per le imprese.
L’isolamento del sistema finanziario
L’intervento dello Stato nel settore produttivo comprende la proprietà delle banche e di una vasta gamma di ‘industrie strategiche’, la protezione dalla concorrenza internazionale di alcune grandi società tecnologiche non statali come Alibaba, Baidu e Tencent (omologhi cinesi di Amazon, Google e Facebook), il perseguimento di pratiche monopolistiche, i notevoli investimenti mirati in ricerca e sviluppo, i prestiti e l’assegnazione di appalti pubblici per sostenere le imprese locali, la richiesta alle multinazionali di stabilire joint venture con partner nazionali e di localizzare le attività e cedere le tecnologie come un condizione per ottenere l'accesso al mercato. La stretta interazione tra banche di proprietà statale e imprese di proprietà statale, ha evitato a molte di finire sotto il controllo delle multinazionali dopo l'adesione della Cina all'Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC).
E’ in coincidenza con questa adesione che è maturata la decisione di isolare il sistema bancario dai mercati globali dei capitali per assicurare che non venisse meno la sua funzionalità alla crescita dell’economia reale. Con l'avvicinarsi dell'ingresso nell'OMC, la finanza internazionale riteneva che le banche commerciali cinesi non sarebbero state in grado di competere con le gigantesche banche globali nei servizi finanziari e che le imprese industriali sarebbero collassate.
Le banche avevano un alto livello di prestiti in sofferenza, risorse umane deboli, un meccanismo operativo semplice ben lontano dalle operazioni sofisticate delle principali banche globali, tecnologie arretrate e persistenti interferenze da parte dei politici nelle decisioni di prestito bancario. In Occidente c'era l'aspettativa diffusa che all’adesione avrebbe seguito la privatizzazione di società non finanziarie e finanziarie e che il sistema finanziario del paese si sarebbe integrato strettamente con i mercati dei capitali globali. In particolare Citigroup da Wall Street sosteneva che le banche statali avrebbero dovuto risolvere rapidamente i loro problemi per evitare alla Cina una crisi finanziaria. Le loro entrate totali erano poco più della metà di quelle di Citigroup e i loro profitti combinati ammontavano a solo l'11 per cento di quelli di Citigroup.
Nolan, che ha ricostruito queste vicende in China in the Financial Crisis (Westview 2004, Routledge 2021), sottolinea che la decisione di isolare le banche e di rafforzarle era maturata dalla “esperienza bruciante” dei contraccolpi nella provincia cinese del Guandong della crisi finanziaria asiatica del 1997-98, ed era stato “il frutto di un turbolento dibattito sul percorso della riforma del sistema finanziario”. Invece di smembrare le banche e le proprietà statali non finanziarie nel 2003 venne costituita la Commissione di regolamentazione bancaria (CBRC) che tuttora esercita il controllo su tutto il sistema finanziario, e la Commissione per la supervisione e l'amministrazione dei beni (SASAC) su quello sulle imprese statali. Una tra le prime misure della CBRC fu di impedire al sistema bancario di entrare nei mercati di prodotti finanziari più complicati e poco conosciuti, in particolare dei derivati complessi.
Nel 2018 cinque delle prime dieci banche mondiali in termini di capitalizzazione di mercato sono cinesi e le prime quattro banche cinesi hanno registrato profitti combinati di 173 miliardi di dollari, rispetto ai 115 miliardi di dollari delle prime quattro banche statunitensi. Quanto alle imprese statali non finanziarie che fanno capo alla SASAC hanno un patrimonio combinato di 26 trilioni di dollari, ricavi per 3,6 trilioni e una capitalizzazione di borsa di 7,6 trilioni, che rendono la SASAC la più grande entità economica del mondo.
Il sistema burocratico e il mercato
“Il partito comunista – scrive Nolan - è al centro del sistema bancario statale. I principali funzionari del governo del paese, i suoi principali regolatori e i leader delle banche del paese sono quasi tutti membri del partito. Ogni banca ha un segretario del partito, che esercita la massima autorità all'interno della banca. I dirigenti senior delle banche hanno remunerazioni significativamente al di sopra del reddito medio, ma solo una piccola parte di quelle dei manager ai vertici delle banche globali occidentali”. Analoga è la situazione delle imprese statali non finanziarie, e la capillarità organizzativa del partito comunista penetra anche in quelle private nazionali e multinazionali, nei luoghi di produzione e di mercato. La struttura del partito si irradia da Pechino alle provincie, dalle città ai villaggi, con 100 milioni di iscritti gerarchicamente organizzati.
Per Nolan il partito comunista è un elemento di cui scrive poco, dacché in genere ci si limita a valutare le politiche che producono crescita sociale. “Una parte centrale della risposta della Cina alla grande depressione è stata di utilizzare lo stimolo della crisi per consolidare la coesione sociale”. Tra i tanti indicatori, gli studenti iscritti all’istruzione superiore sono passati da 19 a 28 milioni, quelli post laurea da 1,1 a 2,6 milioni. La popolazione coperta dall’assistenza medica di base è passata dal 24 all’85 per cento, da quella pensionistica dal 16 al 66. La povertà assoluta è stata debellata.
Nolan antepone al problema del Partito Comunista quello del contesto che gli permette di agire in modo efficiente, e nella storia della Cina trova due invarianti che possono spiegarla - la burocrazia e il mercato - che rendono la società cinese così diversa dalle società occidentali.
“L'ideologia e la struttura normativa sono sotto il controllo della burocrazia, che è diventata sempre più professionalmente capace e in grado di gestire efficacemente il sistema finanziario”. La burocrazia, non il partito, innerva il potere e ne realizza le politiche da Pechino alle provincie lontane adeguandosi alle realtà locali. La burocrazia, che per due millenni ha tenuto insieme l’impero cinese, è radicata nel pensiero cinese di oggi”.
Dalla dinastia Han (206 a.C. al 220 d.C.) fino al 1911 lo stato tradizionale cinese è stato amministrato da burocrati scelti attraverso esami competitivi. Dalla dinastia Tang (618–907 d.C.) gli esami davano accesso alla ‘nobiltà’ imperiale e venivano utilizzati per la promozione, la retrocessione o il licenziamento. Questo sistema ha prodotto una burocrazia professionalmente capace ed ha anche contribuito all'unità, stabilendo un sistema educativo comune per la classe dirigente che enfatizzava la risoluzione dei problemi in modo pragmatico. Un organo di controllo indipendente, la ‘censura’, ha svolto un controllo sul funzionamento del governo. A metà del diciannovesimo secolo c'erano circa 1,5 milioni di membri della piccola nobiltà, pari a circa il due per cento della popolazione totale; duecento mila erano membri della ‘nobiltà superiore’, avendo superato gli esami avanzati per ottenere una retribuzione dal governo.
Sotto questo sistema commercianti e banchieri erano autorizzati a “fare soldi con il denaro” entro limiti stabiliti dalla burocrazia, che localmente emanava e amministrava leggi, riscuoteva tasse, assicurava la costruzione e il funzionamento delle opere pubbliche e, soprattutto, controllava la trasmissione generazionale dei valori del confucianesimo.
“Sin dal mondo antico - conclude Nolan - la teoria e la pratica politica cinese ha costantemente sostenuto che la burocrazia meritocratica dovrebbe essere indipendente dal commercio e dalla finanza (…). Durante i quaranta anni di riforma e apertura, la Cina ha cercato di trovare una via per riformare il sistema finanziario. Ha seguito la lunga tradizione della burocrazia di incoraggiare il commercio per fare soldi, sperimentando nello stesso tempo metodi di regolamentazione del settore finanziario a beneficio dell'intera società. Il Partito Comunista Cinese è stato al centro del lungo processo sperimentale di riforma”.
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