UNA FATICA SEMPRE PIU' INUTILE
7/10/2016
di Pavlov Dogg
“Più che a una dissoluzione del Super Io dovremmo fare riferimento ad una sua mutazione, o a ad un suo slittamento funzionale. Alla prevalenza della Coscienza Morale sembra oggi essersi sostituita la prevalenza dell’Ideale dell’Io. Alla tirannia dell’io devo quella dell’io posso”. Calogero Lo Piccolo in L’Inutile Fatica Nell’ambito della manifestazione Una Marina di Libri si è svolto a Palermo l’estate scorsa un ricco e partecipato dibattito sul volume L’Inutile Fatica. Soggettività e disagio psichico nell’ethos capitalistico contemporaneo (curato da Salvatore Cavaleri, Calogero Lo Piccolo e Giuseppe Ruvolo per Mimesis Edizioni) di cui PalermoGrad si è occupato qui e qui. Diamo qui conto della discussione svoltasi. Il primo degli interventi principali, quello dello scrittore e insegnante Mario Valentini, ha ricondotto con sicurezza le tipologie della sofferenza psichica cui allude già il titolo del libro nel quadro dell’ attuale “assetto neoliberista”: in particolare il lavoro intellettuale (scuola, editoria, giornalismo, eccetera) in Italia è passato negli ultimi 40 anni dal “regime garantito” ad una precarizzazione selvaggia con ricadute pesantissime sulla psiche. Eppure il discorso pubblico egemone seguita a colpevolizzare il singolo [pungendo l’asino in piena salita, diremmo noi] oppure imbocca strade fuorvianti come quella del “Ritorno al Padre”. Cristina Alga, ricordando che “non si può sfuggire all’Economia” ha focalizzato la tematica del disagio psichico odierno sulle “idee disfunzionali” – nocive all’individuo - imperanti in ciò che resta del mercato del lavoro, rilevando oltretutto come le stesse “idee sbagliate” siano nolens volens introiettate anche da chi intenderebbe cambiare le cose: di qui l’identificazione provata rispetto a personaggi e situazioni del libro del compianto Luca Rastello I buoni, ambientato nel mondo del volontariato. Improntate a un misurato, ragionato ottimismo le conclusioni, con la significativa rivendicazione della “vulnerabilità come assertività”. Riprendendo un motivo fondamentale del saggio intorno a cui ruota il volume in discussione, Calogero Lo Piccolo ha messo l’accento sull’Ideale dell’Io (l’“io posso”) al tempo della crisi economica, alla quale l’ideologia neoliberista chiede di porre rimedio attraverso una sommatoria di produttività individuali (una somma di tanti “io posso”, in altre parole). Diversamente dai confini più chiaramente delimitati del conflitto di classe così come presentatosi fino agli anni ’70 del secolo corso, lo sfruttamento oggi “passa attraverso l’Io”. La pratica terapeutica ha pertanto bisogno dello “smascheramento dell’ideologia” imperante, nella prospettiva di una fuoriuscita intellettuale ed esistenziale insieme dall’ideologia stessa. Decisamente “forte” nelle tematiche affrontate, l’intervento dello psicoterapeuta Salvo Federico – che ha scritto la Prefazione al volume e ne ha curato l’Introduzione – ha puntato il dito sulle determinanti storico-sociali [legata alle modalità correnti dell’estorsione del plusvalore, potremmo dire noi] del disagio psichico, spaziando dalle aporie del “pensare individualmente” (indissolubilmente legato all’imperativo: “Sii imprenditore di te stesso”) alle caratteristiche del tutto inedite che assumono oggi (in tempi in cui la gente misura le proprie performance con un occhio costantemente rivolto alla “concorrenza”) fenomeni come ad esempio la ninfomania: “le categorie classiche della psicoanalisi vanno in crisi” - avverte Federico - di fronte alle modalità odierne di questa patologia. Assai pregnante m’è sembrato infine il richiamo ai disastri prodotti sulla psiche da un’economia post-taylorista ma ineludibilmente legata al tempo (“la gente traduce i soldi in ore, o giorni di lavoro”) con buona pace di ogni fantasia postmoderna. Salvatore Cavaleri (che nel volume in oggetto firma l’importante contributo su La fatica di essere creativi) ha esordito ricordando come - nelle intenzioni degli organizzatori - l’incontro prevedesse la presenza di Luca Casarini, colpito però da un provvedimento ristrettivo della libertà personale. Proprio la modalità di detto provvedimento – che escludeva l’affidamento ai servizi sociali - pare a Cavaleri sintomatico di una concezione del servizio sociale “depurata persino dal sospetto della conflittualità”. L’intervento di Totò è proseguito con la constatazione di come oggi in Italia il lavoro intellettuale abbia le “spalle scoperte”: “20-30 anni fa i ‘nostri’ lavori stavano dentro un contesto che prevedeva dinamiche di garanzia e tutela”, oggi è vero il contrario. Dovendo immaginare una pars costruens, urge un confronto che vada oltre le diversità pur riscontrabili in superficie: “poi ci guardiamo negli occhi e ci diciamo che in fondo facciamo lo stesso lavoro”. Gli interventi a “microfono aperto” hanno affrontato direttamente temi come il Terzo Settore e la lotta per i Beni Comuni, già toccati dai contributi introduttivi di Alga e Cavaleri. Pavlov Dogg ha fatto notare come anche attività solidali di tangibile utilità pratica (tanto per fare un esempio: la gestione su base volontaria di un doposcuola per i figli dei migranti) se non divengono mai “vertenza”, se non si pongono in una dialettica conflittuale con la cosa pubblica, confermano in definitiva proprio l’esclusione e lo svantaggio che intendono combattere. E Gilda ha rimarcato il carattere ciclico di tale problematica, osservando come la propria tesi di laurea “Contro il Volontariato” sostituzionista del welfare rechi la data 1994; ferma restando l’irrinunciabilità di iniziative volontarie ma che hanno una forte ricaduta nella lotta contro l’oppressione e per il cambiamento sociale, nella fattispecie il Sicilia Queer. A questo punto Andrea ha evidenziato l’analogia tra le suaccennate aporie del Volontariato e l’invito ad “Essere Volenterosi”, slogan con il quale un ‘Pubblico’ neoliberista, impoverito e rinunciatario, vuole irretire quanti provengono dal movimento di lotta per i Beni Comuni: a tal proposito, l’esperienza – condivisa da molti dei convenuti – dei Cantieri che Vogliamo, momento di punta della lotta per i Beni Comuni a Palermo, e che come tale non può essere considerata un fallimento, non ha tuttavia certo risolto una contraddizione di fondo del tutto analoga a quella vista sopra riguardo al volontariato. Sulla stessa lunghezza d’onda concettuale, ma più amaro nelle conclusioni, l’intervento di Giuseppe che – fatta salva la bontà di manifestazioni come ad esempio il Queer - ha sottolineato come “il sistema non investe in cultura; casomai investe sulle cose sbagliate” ed ha efficacemente caratterizzato gli apparati del volontariato artistico-culturale come un “tritacarne”. Di qui il polemico auspicio di una sana dose di “luddismo” (Lo Piccolo dal canto suo ha parlato di “diserzione in senso militante”) nei confronti dei nuovi rituali che si vorrebbero oggi codificare. Un’indicazione – paradossalmente – positiva è venuta dall’incisiva boutade di Alberto, per il quale l’acuirsi della crisi ha spostato il centro del discorso dai Beni Comuni al “Male Comune” della precarizzazione, con un guadagno di consapevolezza che non potrà non giovare. Ampliando molto opportunamente la casistica del lavoro intellettuale, Ilaria ha fatto notare come figure che in teoria dovrebbero svolgere un positivo ruolo di mediazione tra Stato, comunità e mercato del lavoro, come quella dell’Educatore Professionale, rischino ogni giorno di oliare di fatto i meccanismi della deregulation contrattuale che intere categorie di forza-lavoro patiscono sulla propria pelle. Il tono di urgenza e l’alto livello del dibattito hanno confermato come l’area di intellettuali militanti (e militanti-intellettuali!) che gravita al momento intorno al libro in oggetto (alle cui spalle sta tra l’altro un intenso percorso di confronto seminariale) sia oggi tra le più vive e “pungenti” in città. Riguardo ai contenuti, è importantissimo che nella riflessione in corso ‘Lavoro’ sia oggi più che mai ‘Labour’, ‘Fatica’ per l’appunto: il che costituisce di per sé un fertile terreno di confronto analitico tra un pensiero di matrice post-operaista (avvertibile nell’impostazione del discorso di buona parte degli intervenuti) e quanti, come PalermoGrad, vogliono indagare la realtà odierna utilizzando creativamente le categorie “classiche” della Critica dell’Economia Politica. Sullo sfondo, l’”eterna” questione della proletarizzazione del lavoro intellettuale: tendenza dimostrabilissima già sul piano meramente statistico come su quello di una sociologia descrittiva, ma non per questo univoca né omogenea, e tantomeno di semplice ricomposizione a livello di lotta politica. Ma su tutto ciò dovremo tornare presto a confrontarci.
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