TU CHIAMALE SE VUOI, ILLUSIONI
6/8/2015
di Roberto Salerno 6 agosto 2015
Nell'articolo dell'11 febbraio scorso (So’ boni, so’ greci. La vittoria di Syriza e del suo leader) si cercava di spiegare perché non fosse il caso di attendersi particolari buone notizie da Atene. L'idea di fondo era che i rapporti di forza all'interno della società greca non erano tali da poter arrivare a difendere il fantomatico “piano B” (che, inutile girarci attorno, è la Grexit) nei confronti della troika europea. Le buone notizie non sono arrivate e anzi il governo Tsipras sembra stia mestamente imboccando la deriva conosciuta da tutte le forze “radicali non comuniste” che si sono contraddistinte in questi ultimi anni, forse decenni: tentativo chissà quanto convinto di imporre agende diverse--> sconfitta--> passaggio parlamentare con pacchetto di provvedimenti approvato con il voto contrario della componente di sinistra e con il soccorso di forze di centro destra--> espulsioni (o scissione) delle ali più intransigenti--> tentativo di alleanze al centro--> scivolamento nella difesa dell'esistente--> adattamento alle pratiche degli avversari con la scusa della sopravvivenza. Di idea diversa sembra Tommaso Baris che nel pezzo Grecia: La lotta deve continuare ritiene che l'esperienza Tsipras sarebbe quanto meno servita a dimostrare che “non esiste un altrove in cui rifugiarsi per sfuggire al capitalismo mondiale” e che sia del tutto illusorio ritenere che una vittoria su scala nazionale possa mettere in discussione le politiche europee. A dire il vero Baris si muove con cautela, non escludendo in via ipotetica che un Paese più forte (l'Italia? la Spagna?) possa raggiungere risultati differenti. La mancanza del piano “B” in Grecia - sembra potersi dedurre - non è casuale, ma relativa al fatto che nelle condizioni date è del tutto irrealistica. Ma, a differenza di quanto sostenevo io, le “condizioni date” vanno rintracciate nell'inesistenza di una mobilitazione su scala europea in grado di appoggiare, di far sentire il suo peso, di rendere meno isolato, Syriza e il suo leader. Baris pare un po' confondere quello che è un dato del problema – la mancanza delle mobilitazioni su scala sovranazionale - con un'opzione a disposizione della sinistra. Che non ci fosse la mobilitazione europea era chiarissimo anche a Gennaio e non si riesce a capire in virtù di quale miracolo la si sarebbe potuta ricreare in tempi brevi. A meno che Baris non pensi che la spinta propulsiva della vittoria elettorale di Syriza potesse servire come incentivo per i vari movimenti dispersi in giro per l'Europa. Ma se il nostro problema è (come in effetti è) la costruzione di un movimento che sia in grado di (almeno) trattare da posizioni di forza con le istituzioni reazionarie al comando dell'Europa intera, allora dobbiamo domandarci se l'operazione Syriza, e il suo leader, hanno rafforzato, agevolato, questa costruzione o no. Cioè se davvero una vittoria elettorale, ottenuta marginalizzando le forze comuniste e tenendo in minoranza le componenti più radicali del partito, possa servire. Dopo aver assistito ai tentativi di Varoufakis e Tsipras è difficile pensare che questa strada possa insegnare granché alle sinistre radicali europee. Come Baris stesso ammette è una durissima sconfitta quella che ci troviamo a commentare. Lo sgomento per come Tsipras ha interpretato il risultato del referendum, disorientando quanti stavano festeggiando la vittoria dell'OKI a mio modo di vedere non ha dato una gran mano a quella sinistra depressa che vaga senza nome. E forse è il caso di chiedersi l'effetto che avrebbe avuto, invece che “mi assumo la responsabilità di firmare un accordo che non mi piace”, il più lineare “mi assumo la responsabilità di non firmare un accordo che non mi piace”. Ma una vittoria elettorale ottenuta in quel modo – e in assenza per l’appunto di sostegni esterni – non ha dato scampo al gruppo dirigente di Syriza, lasciando Tsipras con la solita alternativa tra morire rapidamente o di morte lenta. Come ricordato con la consueta efficacia da Marco Palazzotto, (Grecia, la lotta continua se c'è un piano B) la triste verità è che – al massimo – il baratro è stato rinviato di qualche mese, visto che è solo questione di tempo e che la Grecia non potrà certo ripagare i debiti contratti, e aumentati dal nuovo prestito. Solo che - per tornare alle cose di casa nostra - la difficoltà nel costruire un soggetto europeo induce Palazzotto ad essere tentato da pericolose illusioni. Ammettiamo pure (senza concedere, magari se ne riparla) l'idea di un capitalismo che continuerebbe ad organizzarsi su base nazionale (un po' brusco e poco convincente il passaggio da un imperialismo imperniato sulla mitteleuropa ad un ruolo tedesco di tipo “nazionalistico”); in ogni caso, considerati i rapporti di forza, l'ipotesi che la gestione dell'exit venga affidata ad un governo di sinistra sembra essere persino più velleitaria di una qualsiasi ricomposizione delle aree antagoniste che si agitano in Europa. In Italia chi dovrebbe gestire il passaggio? Landini con gli amici dei leghisti tornati a Canossa? I vendoliani che continuano a farneticare di un “più Europa” e delle virtù di una moneta capace di creare meccanismi virtuosi e sperare in un ravvedimento delle istituzioni europee (che sono di una lucidità sconosciuta ai raffinati realpoliticanti di SEL)? I Rifondaroli persi tra la rincorsa di un'ipotetica brava gente e la paura di perdere persino quegli inesistenti risultati che vantano? C'è molto ottimismo, troppo ottimismo, nell'idea che una ricomposizione su base nazionale sia più agevole del tentativo di costruire una alternativa anticapitalista a scala europea. Siamo nel campo dell'utopia a breve termine ed è abbastanza avvilente che si cerchi di barcamenarsi tra quale delle due sia meno illusoria. Niente strade da percorrere quindi? In tempi di rotta dei propri eserciti non è di nessuna utilità proporsi la conquista delle casematte dei nemici. Nemici forti, preparati, con piani precisi, in grado di riprendersi senza neanche troppo sforzarsi i territori provvisoriamente ceduti. Se la sinistra è nelle catacombe, meglio che capisca che da lì non si esce attraverso scorciatoie, ma con traversate lunghe anni, cercando di non offrire ridicole sponde a destre più o meno mascherate come il PD o abborracciati movimenti carpentieri che costruiscono strade e che hanno posizione vomitevoli nei confronti di immigrati e movimenti radicali, salvo poi provare a strumentalizzarli quando pensano di poterci guadagnare qualcosa. Non è un problema di ritrovare – o, peggio, mantenere – purezze identitarie. Ma di cercare di non inseguire qualsiasi cosa solo perché si è d'accordo con una particolare posizione. Non si va con i leghisti perché si sono accorti delle incredibili conseguenze dell'adozione della moneta unica; non si va con i sognatori del vincolo esterno perché si è d'accordo con le loro posizioni sui diritti civili; non si va con i carpentieri grillini perché si è d'accordo sulla specifica questione della TAV. Non è alle posizioni istituzionali che deve rivolgersi la sinistra ma come sempre si dice – e come mai si è disposti a fare – ai vari movimenti che nonostante tutto anche in Italia si agitano.
1 Commento
Marco
6/8/2015 06:50:04
Spero in futuro di avere il tempo per approfondire alcuni punti in un altro articolo. Per ora mi limito a constatare che in diversi passaggi Roberto abbia frainteso il mio pezzo (mi scuso se sono stato poco chiaro).Intanto chiarisco che non ho scritto che il “capitalismo continuerebbe ad organizzarsi su base nazionale”. Forse Roberto voleva scrivere che “il capitalismo continuerebbe ad utilizzare istituzioni di governo....” . Se invece Roberto per “organizzazione” intende il dispiegamento delle forze produttive e finanziarie io ho sempre sostenuto il contrario.
Risposta
Lascia una risposta. |
Archivio
Gennaio 2021
|