SE IL FUOCO DELLA RIVOLUZIONE
8/1/2019
di Giovanni Di Benedetto
Se il fuoco della rivoluzione arde dentro di te nulla ti può fermare (dichiarazione di una ragazza del Kurdistan settentrionale) (Davide Grasso, Hevalen) Davide Grasso è un violento? Un elemento socialmente pericoloso? Ho conosciuto Davide Grasso nel corso della presentazione del suo libroHevalen(Edizioni Alegre 2017) che PalermoGrad ha organizzato l’estate scorsa a Palermo, presso la sede del circolo Porco Rosso. Una vera e propria lezione di storia sul popolo curdo, quaranta milioni di persone, una nazione condannata all’inesistenza perché spartita tra Turchia, Siria, Iran e Iraq. Ma anche una storia che riguarda tutte le genti di quei luoghi, i turchi come i greci, i circassi come gli armeni, gli assiri come gli ezidi e così via. Per capire che la guerra, le guerre, non sono iniziate adesso ma che risalgono a un passato coloniale le cui scorie continuano a manifestare quotidianamente i propri terribili strascichi e di cui occorre, se si vuole capire cosa accade nel tempo presente, continuare ad avere memoria. Quella sera, nel corso della presentazione, e della discussione che ne è seguita, ho avuto rafforzata la convinzione che non esistono conflitti ideologici o religiosi che non affondino la loro ragione ultima di esistenza in cause materiali ben più dozzinali e triviali, e molto meno nobili. A incidere sono soprattutto determinanti di natura molto spesso economica e di potere. Solo mettendo in chiaro una prospettiva di questo genere sarebbe stato possibile capire e decrittare l’aggrovigliata matassa dei conflitti e delle guerre in Medio Oriente. Ma non è solo questo. Davide Grasso, pur sottolineando la profonda diversità dei contesti geografici, storici e culturali nei quali si sviluppava la resistenza contro il fondamentalismo islamico dell’Isis, rendeva chiaro che, in quelle regioni povere e sperdute, lontane dal nostro molle benessere, nulla era già scritto e predeterminato da un destino inevitabile ma, anzi, poteva farsi strada un orizzonte esistenziale, sociale e politico alternativo a quello della violenza brutale del dispotismo politico e dell’integralismo religioso. Un modello avanzato dalle forze popolari delle Ypg e delle Ypj e che si sostanzia di democrazia partecipata, autogoverno, graduale trasformazione delle istituzioni e dei modelli culturali, rispetto per la differenza di genere e per le compatibilità ambientali, cura per le proprie radici e per la propria identità, comunione delle ricchezze. Un orizzonte ideale nel quale la violenza è in via di principio aborrita, e sempre agita solo e esclusivamente come extrema ratio, quale strumento di difesa terminale di fronte alla volontà di sterminio dell’oppressore. In vita mia, in trent’anni di presentazioni di libri, dibattiti e incontri culturali non mi era mai capitato di essere ringraziato da qualcuno o qualcuna (nel caso specifico un attivista, militante e scrittore) per avere letto un suo libro. Di solito, anche se non sempre tuttavia, nel corso di queste occasioni spicca, indesiderata, la spocchia e il narcisismo dell’autore. Non è stato così nel caso di Davide Grasso e questo gesto di umiltà ha destato in me una significativa impressione. Mi è sembrato che in quelle parole si potesse intravedere la consapevolezza, di fronte alla presunzione patetica dell’individuo consumatore dell’opulento Occidente, che ciascuno di noi, al cospetto delle grandi e delle piccole pagine della storia, non è poi così importante. La presa di consapevolezza di essere un uomo bianco e europeo, sprofondato tra i dannati della terra, permette di capire cosa significa essere, come una delle migliaia di migranti giunti da noi in Europa, smarrito e sradicato in terra d’altri. Ma è anche la necessità di dovere prendere coscienza dei limiti del nostro attivismo politico, troppo spesso condizionato da un modus operandiche si nutre di gelosie personali e di spirito di competizione tra individualità che si credono tutte naturalmente destinate al comando e al leaderismo. Queste riflessioni di Davide Grasso, pronunciate nel corso dell’iniziativa pubblica con parole sapienti perché cariche di una densità esistenziale non comune, mi hanno profondamente colpito. Parole di lucida consapevolezza che testimoniavano di una maturazione vissuta tramite esperienze coraggiose e risolute ma mai spavalda e arrogante, nella quale veniva esplicitata, innanzitutto, l’esigenza, per chi si dispone a uno sforzo improbo di trasformazione del mondo, di essere, attraverso un impegno di introspezione e di continuo esame interiore, spietati innanzitutto con se stessi. Per non cedere alle illusorie fantasmagorie di un mondo, il nostro, oramai accecato dalla logica reificante del consumo e dal metro disumanizzante della merce e del profitto. E per riuscire a ridestare quella facoltà pratica che fa sentire l’ingiustizia commessa, contro chiunque, in ogni parte del mondo, come qualcosa che ci riguarda.
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