QUANDO IL LAVORO È VIOLENZA
28/4/2018
Redazione
La collana Femminileoltre (curata da Roberta di Bella e Romina Pistone e pubblicata da Qanat: Donne+Donne. Prima, attraverso e oltre il Pride, 2014; e Cambiare (il) lavoro, 2016), di cui PalermoGrad si è già occupato in passato (qui e qui) è stata una delle grandi novità dell’editoria meridionale degli ultimi anni, e ha ripreso – innovandolo non poco – il filone dell’”inchiesta”, sovente trascurato (o – peggio ancora - dato per scontato nei suoi risultati) dalla sinistra, dal sindacato, dagli stessi movimenti. I due volumi sono serviti a contestare ogni forma di “pensiero unico femminile”, a mettere in pratica la parola d’ordine del “dialogo tra le donne” (uno degli strumenti privilegiati da FO è l’intervista-racconto) e - in particolare nel secondo volume - a “indagare il mondo del lavoro delle donne nei suoi vari aspetti: statistici, quotidiani, relazionali, esistenziali, economici e narrativi”. FO da oggi è anche una nuova rubrica di PalermoGrad, come spiega Roberta in questa puntata introduttiva. QUANDO IL LAVORO È VIOLENZA di Roberta Di Bella 28 aprile 2018 Il persistere in Italia di discriminazioni - come gli impari trattamenti nei luoghi di lavoro ed il proliferare di atti di violenza fisica e/o verbale compiuti nei confronti delle donne - fa nascere l’esigenza di aprire nuovi spazi di confronto e chiarimento per supportare tutte quelle che finora non hanno potuto o voluto raccontare le loro esperienze e per dare loro la possibilità di denunciare, attraverso la propria narrazione, atti e modalità violenti e di usurpazione. È importante offrire gli stimoli e le opportunità di riconoscere determinati atti come effettivamente violenti, e dare visibilità alle differenti storie di vita che spesso non trovano orecchie disponibili all’ascolto, o non trovano la forza di affrontare le reazioni altrui. Negli ultimi anni alcuni termini (es. ‘femminilizzazione del lavoro’) e modalità di agire del mondo femminile sono state “vampirizzate” dal mondo ‘produttivo’ connotato per lo più al maschile/neutro per rendere il mondo del lavoro ancora più precario e allo stesso tempo creare la falsa idea che si stia avvantaggiando le donne, migliorando i servizi di welfare per famiglia e lavoro. Da queste brevi considerazioni emerge un interrogativo: come smascherare quelle azioni che ipocritamente lavorano nella direzione della parità di accesso ai diritti/opportunità tra i generi, ma nella realtà si servono di quelle abilità e propensioni storicamente riconosciute al femminile per giustificare la crescente presenza di donne nel mercato del lavoro di cura (scuola, salute, assistenza, etc.)? Come portare alla luce quelle capacità cognitivo-comunicativo-relazionali riconosciute come femminili, esportandole dal mondo della riproduzione al mondo della produzione, evitando lo sfruttamento e il surclassamento da parte del mercato? Far uscire dall’invisibilità le donne significa permettere loro di affermare il loro valore nel lavoro professionale ed in quello riproduttivo. Si può affermare che il problema legato all’inclusione e al giusto riconoscimento di competenze e professionalità femminili sia il frutto di pregiudizi e del persistere di stereotipi? Quanto ancora perdura una cultura maschilista e patriarcale che genera differenti e impari trattamenti tra donne e uomini nel lavoro? Quanto le donne, spesso per insicurezza o per mancanza di consapevolezza, contribuiscono a rinforzare anziché scardinare questo sistema non equo ed escludente? La nostra società ha ancora difficoltà ad attribuire alle donne i diritti di parità di trattamento a lavoro, così come in famiglia nell’assunzione di ruoli, e di riconoscerli come diritti che riguardano il benessere di tutti i cittadini e le cittadine. Mettere sotto i riflettori le discriminazioni subite dalle donne, non toglie importanza e visibilità ai problemi che attraversano il mercato del lavoro e quindi coinvolgono anche gli uomini. La disoccupazione ha colpito uomini e donne ma si sa che le percentuali più elevate sono composte da donne e giovani, soprattutto al Sud Italia. Evidenziare e discutere dei differenti casi di violenza ed impari trattamenti subiti dalle donne che vivono nel nostro paese serve ad aumentare la percezione e consapevolezza di un fenomeno che coinvolge tutte-i soprattutto gli uomini che da capi, colleghi e compagni possono diventare persecutori ed assassini. E quando non raggiungono questi eccessi, possono semplicemente perpetrare atteggiamenti maschilisti e sessisti inconsapevolmente, semplicemente perché non hanno potuto o voluto mettere in discussione modelli maschili tramandati e dati per assodati. FemminileOltre - il lavoro vorrebbe coinvolgere tutte le donne che desiderano condividere con la rubrica le loro esperienze discriminatorie e violente in ambito lavorativo. Riteniamo questa restrizione di campo necessaria al fine di rendere meno dispersivi e superficiali i temi trattati. Finalità: sostenere le donne nel riconoscere e nel decostruire i meccanismi che generano discriminazioni in ambito lavorativo, e nell’essere autoassertive. Obiettivi: 1) riconoscere gli stereotipi e i pregiudizi che condizionano lo strutturarsi di ruoli sociali di donne e uomini; 2) comprendere fino a che punto siamo ‘complici-vittime’ nelle relazioni discriminatorie, quanto si riesce ad affermare il proprio valore; 3) confrontarci sulle differenti forme di indipendenza economica e sulla loro incisività riguardo l’autodeterminazione delle donne; 4) dato che esistono ancora lavori considerati ‘più femminili’, riflettere su come liberarsi da gabbie costituite da stereotipi consistenti in ipotetiche naturali propensioni delle donne? Parliamone… Sicuramente dallo scambio di riflessioni verranno fuori più soluzioni! FemminileOltre – il lavoro pone delle domande riguardo la possibilità e capacità delle donne di affermare il loro valore nei luoghi di lavoro; e raccoglie narrazioni di esperienze lavorative poco gratificanti perché non riconosciute e discriminate per motivi sessuali e/o di genere. Si invitano le donne a raccontare e condividere il proprio pensiero, i propri dubbi e rivolgerci domande riguardo una particolare forma di discriminazione o situazione che appare tale. Ci rivolgiamo a: donne di qualsiasi età e provenienza geografica che vivono in Italia e lavorano (qualsiasi tipo di lavoro), disoccupate oppure in cerca di primi lavori. Una prima breve testimonianza FemminileOltre: quando nel tuo lavoro in azienda (servizi) ti sei accorta che il tuo referente-capo aveva atteggiamenti ambigui nei tuoi confronti? Adele (pseudonimo): quando mi ha chiesto se potevo trattenermi in ufficio per finire un lavoro con lui… sono rimasta fino a sera nella sua stanza perché volevo portare a termine il lavoro, ma lui mi ha fatto trascorrere il tempo raccontandomi dei suoi problemi con la moglie! FO: ma tu non hai chiesto di lavorare? Adele: sì, ma quando sono diventata insistente lui mi ha proposto di uscire a bere qualcosa ed io gli ho detto che dovevo tornare a casa… da quel momento non mi ha più affidato alcun compito di rilievo e si è rivolto ad i miei colleghi uomini o a donne con cui aveva rapporti già ‘consolidati’ nel tempo. FO: prima di quel momento ti aveva considerato nei lavori importanti, che richiedevano una certa responsabilità? Adele: sì. Ma aveva nei miei confronti sempre degli apprezzamenti che riguardavano il corpo, il mio essere donna…, ad es. mi diceva: ‘tu sicuramente non potrai partire con noi [si doveva fare un incontro importante con altri colleghi a Roma] perché il fidanzato sarà geloso’, oppure ‘sei brava però essendo donna sicuramente più che alla carriera dedicherai tempo alla cura di te e della tua famiglia’! Io mi sentivo così sminuita, poco considerata professionalmente che ho perso la stima che avevo nei miei confronti, sono diventata sempre più insicura, soprattutto negli incarichi che mi venivano affidati… Non potevo parlarne con i colleghi perché non c’era stato nulla tra me ed il mio capo ma da quei semplici scambi di parole, da allusioni ad atti sessuali ed inviti rifiutati, il mio percorso professionale ha subito un lento declino… e la mia autostima era notevolmente diminuita. Dopo un po’ di tempo non sono stata più contrattualizzata e mi sono dovuta riorganizzare e reinventare un lavoro! FO: ma è stato a causa delle risposte negative date al tuo capo?! Oppure è successo qualcos’altro…?! Adele: un po’ l’uno, un po' l’altro… lui è diventato sempre più offensivo, o si comportava come se non esistessi professionalmente; io ho perso ogni tipo di motivazione ed anche le mie prestazioni lavorative ovviamente ne hanno risentito, facevo sempre più errori e non riuscivo ad essere propositiva e risolutiva come in passato. Non dicevo che non sapevo svolgere un compito richiestomi, ma ero diventata poco abile e acuta nel portarlo a termine! Oggi Adele svolge un lavoro con altre donne, con le quali hanno avviato un’attività di organizzazione eventi e spettacoli, teatrali e musicali… Ha riacquistato pienamente la sua autostima ed ha voluto mostrarci questo breve pezzo del suo percorso per stimolare la riflessione di altre donne su comportamenti e modi di fare da parte di uomini, soprattutto di potere (ma non solo) che in modo subdolo inducono molte donne, spesso le più giovani, a perdere il senso di sé, a non comprendere quale possa essere la giusta strada da intraprendere per rimanere fuori da certe dinamiche, senza però rischiare il proprio posto di lavoro e soprattutto senza perdere di vista il proprio valore.
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