di Marco Palazzotto
Una carrellata delle pubblicazioni, uscite nel duecentenario dalla nascita di Marx, che analizzano il pensiero maturo del filosofo tedesco e ridanno centralità alla sua critica dell’economia politica. Una versione leggermente diversa dell’articolo è apparsa su Jacobin Italia L’anno appena trascorso sarà ricordato per il bicentenario della nascita di Karl Marx. Sono stati pubblicati in tutto il mondo numerosi scritti per ricordare le idee e la vita di uno dei più importanti pensatori della storia dell’umanità. Si è provato a rendere omaggio al “Moro” trattando di alcune pubblicazioni italiane che sono sembrate tra le più interessanti. Considerata la varietà e quantità degli argomenti affrontati in questi testi, ci si è limitati a cercare un fil rouge che li accomunasse, affinché se ne potessero ricavare delle riflessioni utili per analizzare il presente. Tale filo comune riguarderà il pensiero maturo di Marx e pertanto l’urgenza di riprendere la critica marxiana dell’economia. Si sorvolerà, per ragioni di spazio e tempo, sulle pubblicazioni biografiche. Marx, come sappiamo, ha vissuto gli ultimi anni intento a scrivere e a studiare in vista dell’opera che considerava la più importante e più faticosa. Soltanto una minima parte del suo lavoro sarà completata, e ciò che restituirà ai posteri è il primo libro del Capitale. Secondo e terzo libro saranno pubblicati postumi (dopo un personale rimaneggiamento) dall’amico e compagno di una vita Friedrich Engels. Tale opera – con i suoi scritti preparatori (come i Lineamenti fondamentali della critica dell'economia politica, noti anche come Grundrisse, e Per la critica dell’economia politica) e i manoscritti successivi – rappresenta la testimonianza e l’eredità di un intellettuale che ha voluto disvelare le leggi che regolano il modo di produzione capitalistico. Diversamente dall’approccio di un marxismo storicista, umanistico e progressista, che mette al centro la “politica”, come quello che ha caratterizzato buona parte del pensiero novecentesco italiano, ritengo fondamentale agganciare l’analisi della società moderna ai rapporti di produzione. Lo sfruttamento capitalistico – e la conseguente estrazione del valore utile all’accumulazione – non risiede negli apparati politici e in genere “sovrastrutturali”, ma è connesso al comando del lavoro nei processi produttivi. Se vogliamo palesare questi rapporti di sfruttamento, per combatterli, occorre studiare e capire l’economia di mercato, riprendendo oggi la marxiana critica dell’economia politica e restaurando, di conseguenza, una scienza del nuovo capitale, senza d’altra parte cadere – come pure talvolta è successo – in interpretazioni prettamente economicistiche. Per scrivere la sua opera Marx si è servito di un metodo espositivo (quello dialettico hegeliano, come lo stesso dichiara nella Postfazione alla seconda edizione tedesca del primo libro del Capitale)[1] onde costruire una teoria del valore che gli consentisse di criticare l’economia politica del suo tempo (economia politica come scienza, che per Marx è quella classica di Smith, Malthus, Say, Ricardo, eccetera e non quella ‘volgare’)[2]. Marx è stato definito spesso come filosofo o economista o sociologo. Ritengo piuttosto, con Lucio Colletti[3], che sia presente in Marx una doppia attitudine: quella di economista “che indaga i meccanismi di funzionamento della società, e quello di critico dell’economia politica, che ne disvela il carattere rovesciato”, come evidenzia Gianluca Pozzoni in Il mondo mistico del Capitale. Scienza, critica e rivoluzione in Colletti (pag. 450 , n. 5 di Consecutio rerum, curato da Riccardo Bellofiore e Carla Maria Fabiani). Questa duplice attitudine del Moro disvela il doppio volto della teoria del valore, che da un lato spiega il funzionamento del modo di produzione capitalistico, e dall’altro – ma si tratta sempre della stessa teoria – “spiega l’equilibrio del sistema capitalistico e la contraddizione fondamentale – l’alienazione e il feticismo – su cui tale equilibrio si regge fragilmente” (ivi, p. 451). Riccardo Bellofiore nel suo editoriale premesso al suddetto numero di Consecutio rerum, intitolato C’è vita su Marx? “Il Capitale” nel bicentenario, dedica un intero paragrafo al sottotitolo dell’opera principale di Marx, ovvero: “Critica dell’economia politica”. L’oggetto di indagine per Marx è l’economia politica considerata come scienza che studia “l’intima connessione del capitale, e si spinge al di là della circolazione, per raggiungere il terreno della produzione”. Si tratta però di una scienza incompiuta e, per sfruttare il proprio potenziale scientifico, l’economia politica deve mutarsi in economia politica critica. La differenza tra “economia politica critica” e “critica dell’economia politica” è per Bellofiore sottile ma irrinunciabile. La prima risponde alla domanda: “In che modo produce il capitale?”. La seconda, più fondamentale per Marx, risponde alla domanda: “In che modo il capitale viene prodotto?”. Si prosegue con una considerazione sul ragionamento sostanziale che fa Marx nel primo libro del Capitale sulla critica dell’economia politica, che ha come fulcro la duplicità del lavoro (concreto e astratto) corrispondente alla duplicità della merce (valore d’uso e valore di scambio). L’economia politica classica – e in particolare Ricardo (con il quale Marx si confronta maggiormente e con il quale si sente più in sintonia riguardo alla teoria del valore) – si limitava al concetto di sostanza del valore arrivando alla grandezza di valore, ma non era in grado di sviluppare una teoria della forma di valore. In tal modo Ricardo non riuscì ad arrivare a concetti teoricamente convincenti di lavoro e denaro e di conseguenza alla differenza tra forza-lavoro e lavoro vivo[4]. Questi aspetti sono fondamentali nella critica dell’economia politica, se si vuole giungere a una definizione di capitale come rapporto sociale. Anche Tommaso Redolfi Riva nel suo saggio A partire dal sottotitolo del Capitale: Critica e metodo della critica dell’economia politica (sempre nel n. 5 di Consecutio rerum) rileva questa differenza tra economia politica e critica dell’economia politica sul concetto di lavoro e quindi su una differente teoria del valore. Infatti per l’economia politica classica la sostanza di valore non è lavoro concreto erogato nella produzione, è invece lavoro astratto “cioè il lavoro che attraverso lo scambio con denaro si conferma come parte del lavoro sociale complessivo”. Decisiva all’interno della teoria del valore di Marx, per capire la critica dell’economia politica e quindi tutto il primo libro del Capitale, è altresì la distinzione tra feticismo e carattere di feticcio. Il capitale, come il valore e il denaro, è realmente dotato di poteri sociali. Tali poteri non sono irreali, “illusori”, bensì “apparenti”, nel senso che rappresentano manifestazioni fenomeniche delle “cose come sono” nella loro “determinatezza storica specificatamente capitalistica” e in questo senso si può dire che il capitale rivesta carattere di feticcio. L’illusione che determina invece il feticismo coincide con la “naturalizzazione di questi poteri sociali che pertengono alle cose in quanto cose”. Da queste considerazioni nasce la famosa affermazione per cui le relazioni tra persone appaiono come relazioni tra cose: che è proprio ciò che di fatto si verifica. In questo senso “la critica dell’economia politica è, da un lato, critica del feticismo, e dall’altro, deduzione di tale feticismo a partire dall’esposizione dell’oggetto a cui il sapere dell’economia si rivolge: il carattere di feticcio che assume la socializzazione del lavoro nel modo di produzione capitalistico, il suo carattere oggettuale, è l’origine del feticismo dell’economia politica.” Un’altra interessante pubblicazione del 2018, che, diversamente dalle precedenti, cerca di spiegare a un pubblico di non-iniziati il pensiero di Marx è il saggio di Bruno Morandi inserito nel libro curato da Paolo Ferrero: Marx – Oltre i luoghi comuni (DeriveApprodi, 2018). Per Morandi la critica dell’economia politica è l’insieme di attrezzi forniti da Marx alla classe operaia affinché questa acquisisca “autocoscienza”. La critica di Marx trasformerebbe il lavoratore da “povero” che cerca di migliorare la propria condizione economica e sociale, a creatore di ricchezza cui l’imprenditore sottrae ciò che gli appartiene. Questi strumenti forniti da Marx servono per identificare le componenti del valore e “ritrovare i rapporti sociali dietro al miscuglio tra uomini e cose che è il capitale che produce profitto”. E passiamo al libro curato da Stefano Petrucciani, una densa raccolta di saggi: Il pensiero di Karl Marx. Filosofia, politica, economia (Carocci, 2018), in cui si trovano scritti vuoi biografici vuoi teorici. Per seguire il filo conduttore di cui in premessa, ci siamo soffermati sullo scritto di Roberto Fineschi e Tommaso Redolfi Riva, intitolato La teoria del modo di produzione capitalistico. Qui gli autori affrontano il problema del metodo di costruzione dell’impianto teorico marxiano, oggetto di lungo dibattito. Marx nei lavori preparatori al Capitale e nella Prefazione alla seconda edizione tedesca, afferma – in maniera esplicita – che il metodo è quello dialettico hegeliano, ma non come “processo di creazione della realtà”, che per il Moro va indagato dal materialismo, di contro all’idealismo hegeliano. Il metodo dialettico consente a Marx di sviluppare la teoria del valore attorno ad un concetto considerato cruciale che è quello della merce ovvero, dialetticamente, risultato del processo di ricerca, ma anche punto di partenza di quello di esposizione. Su questo Marx non ha dubbi. “La dialettica di merce e denaro, la teoria della circolazione semplice, è il ‘presupposto che presuppone’ la teoria del modo di produzione capitalistico.” Su questo aspetto insistono i due filosofi evidenziando che il punto di partenza da utilizzare è la centralità della categoria “merce”. Molti economisti vedono solo il valore-lavoro. I loro oppositori guardano solo alla forma-valore. E invece “la sfida è tenere le due dimensioni insieme, appunto grazie alla merce, di cui tanto la sostanza/grandezza quanto la forma di valore sono determinazioni (…)”. Infine, ci sembra ricco di spunti di riflessione il saggio pubblicato da Riccardo Bellofiore intitolato Le avventure della socializzazione. Dalla teoria monetaria del valore alla teoria macro-monetaria della produzione capitalistica (Mimesis, 2018). Il saggio si concentra per una prima parte sulla cosiddetta Neue Marx-Lektüre, la quale mette al centro della sua analisi la riflessione secondo la quale un’adeguata comprensione della teoria marxiana passa per “l’esatta cognizione del modo con cui la forma-denaro viene derivata dialetticamente dalla forma-merce” (nel capitolo dedicato al pensiero di Helmut Reichelt). Marx infatti sviluppa la teoria del valore-lavoro di Ricardo, problematizzandola e chiedendosi perché il lavoro come sostanza del valore, tempo di lavoro come misura della grandezza di valore assuma la forma del denaro come equivalente universale (p. 36). Mentre con Reichelt la teoria del valore-lavoro include una teoria del denaro, per Backhaus la teoria del valore di Marx deve essere letta come teoria monetaria del valore. Torniamo così al discorso sopra accennato da Fineschi e Redolfi Riva sulla categoria della “merce” come sintesi delle determinazioni di sostanza, grandezza e forma di valore. Backhaus definisce di essenziale importanza la scoperta della connessione necessaria esistente tra forma di valore, grandezza e sostanza, che consente di “dimostrare che la forma di valore scaturisce dal concetto di valore” (p. 58). Sulla categoria di lavoro astratto Bellofiore mette in relazione il pensiero di Michael Heinrich con quello di Isaak Ilijč Rubin. L’economista russo arriva ad una conclusione più “forte” di quella presente nella teoria in Heinrich, ovvero che: “il lavoro astratto è già presente in forma latente, e così il valore esiste già in potenza, nella produzione immediata, anche se la riduzione dei lavori concreti a lavoro astratto è provvisoria e ideale e dovrà attualizzarsi sul mercato finale”. (p. 101). Ci si avvia verso la conclusione del saggio indicando la strada verso la teoria macro-monetaria della produzione capitalistica (che è parte del sottotitolo del saggio che stiamo descrivendo), grazie al contributo del pensiero dell’economista italiano Augusto Graziani. Le tesi qui sostenute ci appaiono importanti riguardo a dubbi rimasti irrisolti nella letteratura marxista novecentesca. Queste, affrontano la dimensione monetaria per capire i fenomeni di socializzazione del valore. Secondo l’autore sia Claudio Napoleoni che Rubin impostano il problema con difficoltà, e rimangono imbrigliati nell’impostazione tradizionale che prevede una dimensione monetaria che retroagisce dalla circolazione alla produzione attraverso la forma-valore quale equivalente universale. Il problema può risolversi considerando “un momento previo di ante-validazione monetaria che istituisca una sequenza che vada dal finanziamento monetario (…) al processo capitalistico di lavoro (…) alla circolazione finale (…)”. Il denaro quindi non riflette il valore ex post, ma “contribuisce a costituirlo ex ante” (p. 120). Il contributo di Augusto Graziani[5] in questa lettura che potremmo chiamare dell’“ante-validazione” riguarda il ruolo del denaro in due distinte connessioni sociali. Denaro come equivalente universale nello scambio di merci, e denaro come “comando monetario della classe dei capitalisti che sussume formalmente i lavoratori al capitale totale”. Qui il riferimento alla Teoria del Circuito Monetario di Graziani è chiaro. Come sappiamo è grazie all’incorporazione della forza-lavoro nel processo di produzione che si crea valore e quindi si può sviluppare l’accumulazione capitalistica. Ciò è possibile grazie all’atto monetario che apre il circuito del capitalismo (anticipazione salari per acquistare forza-lavoro). La conclusione teorica ha grande forza persuasiva entro il dibattito sulla teoria del valore degli ultimi decenni, contribuendo anche a superare il problema della trasformazione dei valori in prezzi. “Il finanziamento (bancario) alla produzione (…) si configura come l’imprescindibile ante-validazione monetaria dei lavori concreti che vengono spesi nei processi lavorativi capitalistici: si tratta di una ‘socializzazione a priori’, anticipata che le banche (…) garantiscono alle imprese (…) sulla base delle loro aspettative in merito al conflitto di classe e all’andamento della domanda effettiva (…)”. L’ante-validazione monetaria e il concetto di lavoro astratto, riferito al lavoro in divenire, rappresentano i due assi della teoria macro-monetaria della produzione capitalistica e “consentono di cogliere il molteplice senso della ‘socializzazione’ capitalistica (…)” che l’autore cerca di mettere in luce nella sua lettura di Marx. Note bibliografiche (in ordine di apparizione nell’articolo) Marx Inattuale, a cura di Riccardo Bellofiore e Carla Maria Fabiani. Consecutio rerum, Rivista critica della Postmodernità, anno 3, n. 5, novembre 2018 (qui si può scaricare gratuitamente); Marx – Oltre i luoghi comuni, di Paolo Ferrero e Bruno Morandi (Derive Approdi 2018). Il pensiero di Karl Marx. Filosofia, politica, economia, a cura di Stefano Petrucciani (Carocci, 2018). Le avventure della socializzazione. Dalla teoria monetaria del valore alla teoria macro-monetaria della produzione capitalistica, di Riccardo Bellofiore (Mimesis 2018) Note [1] “È più facile trovare due orologi a pendolo che fanno la stessa ora che due interpreti di Marx che pensano la stessa cosa sul rapporto Marx-Hegel” (Angelo Foscari, 2019). Roberto Fineschi scrive: “si sono sviluppate posizioni antitetiche in cui il metodo marxiano è stato di volta in volta dialettico-hegeliano, dialettico-antihegeliano, antidialettico-antihegeliano-empirista e si potrebbe continuare” (Marx e Hegel. Contributi a una rilettura, 2013). Il campo problematico complessivo può essere inquadrato in primissima battuta da una citazione di Norberto Bobbio, per cui esistono due accezioni di dialettica: “di fronte a due enti in contrasto, il metodo della compenetrazione degli opposti, o meglio dell’azione reciproca, conduce a mantenere entrambi i termini del contrasto e a considerarli come condizionantisi a vicenda; al contrario, il metodo della negazione della negazione conduce a considerare il primo eliminato in un primo tempo dal secondo, e il secondo eliminato in un secondo tempo da un terzo termine” (Bobbio, 1958 in Bruno Jossa: Il marxismo, la dialettica e l’ economia politica, 2013). [2] Per Marx l’economia politica, al suo tempo “classica”, forniva contributi reali allo studio scientifico del capitale. L’economia volgare, invece, si limitava per Marx alle apparenze e si concentrava sulla circolazione, evitando l’analisi della produzione. [3] Lucio Colletti (1924-2001) è stato un importante filosofo (marxista per una parte della sua vita) e politico italiano. Allievo di Galvano Della Volpe, rinnovò gli studi marxisti in occidente. Dopo il 1973 iniziò il suo processo di revisione ideologica fino ad approdare prima all’area craxiana e in seguito a Forza Italia. [4] La forza-lavoro è la merce di proprietà del lavoratore, che la vende sul mercato al capitalista per ottenere un salario che gli consenta di sopravvivere. Il lavoro vivo è invece il valore dell’attività lavorativa messa in atto durante la produzione attuale. Corrisponde alla somma del lavoro necessario e del plusvalore. Il valore delle merci è dato dalla somma di lavoro vivo e lavoro morto (quest’ultimo ha prodotto in precedenza i mezzi di produzione). [5] Augusto Graziani (1933-2014) è stato un economista e politico napoletano. È considerato uno dei più importanti economisti italiani “eterodossi” anche per aver elaborato la Teoria del Circuito Monetario. Graziani ha ripreso l’analisi degli antagonismi delle classi sociali, tipica del pensiero marxista, in relazione all’uso privilegiato della moneta per la distribuzione interclassista. Metodo di indagine che riprende anche dal Keynes del Trattato della moneta e altri scritti.
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