LONTANO DA DIO, VICINO AL FMI
23/11/2017
di Vincenzo Scalia
I dati macroeconomici ostentati dal governo messicano e dalle istituzioni economiche internazionali presentano il Messico come un paese dinamico, emergente. La quindicesima economia del mondo, la seconda dell’America Latina, ottavo produttore di automobili, decimo di tecnologia aerospaziale. Dati che rinforzano l’orgoglio nazionale, già sufficientemente rinsaldato dalla rappresentazione di Paese politicamente più stabile del sub-continente latino americano e di unico Stato, insieme a Cuba, generato da una rivoluzione sociale riuscita. In realtà, il contesto messicano si connota per una grande complessità, all’interno della quale albergano almeno quattro principali contraddizioni. La prima è quella relativa alla distribuzione delle risorse. Il decollo economico tanto decantato è il frutto degli accordi del NAFTA (North America Free Trade Agreement) del 1992, che vennero siglati sulla scia delle politiche restrittive imposte al Messico in seguito alla crisi del debito del 1982, la prima di un paese debitore, che inaugurò l’epoca dei cosiddetti “aggiustamenti strutturali”. Il Messico è diventato la catena di montaggio delle maggiori case automobilistiche mondiali. Non solo Ford, Chrysler e Jeep, ditte statunitensi che beneficiano del NAFTA, ma anche Nissan, Samsung, Volkswagen, Porsche, hanno trovato convenienza a stabilirsi in Messico, forti della detassazione e di una nuova legislazione sindacale sul modello statunitense, che prevede la sindacalizzazione solo qualora un quarto dei lavoratori lo richieda. Inoltre, gli aggiustamenti strutturali si sono tradotti in un ri-calibro della spesa pubblica secondo le esigenze degli investimenti stranieri. Ad esempio, nello stato di Tlaxcala la Audi sta costruendo una fabbrica che darà lavoro a 3000 persone. Il governo tlaxcalteco sta investendo risorse cospicue nella realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria necessarie ad allacciare i collegamenti tra la fabbrica e le vie di comunicazione principali, per agevolare il flusso produttivo e della circolazione delle merci. In cambio, ha ridotto i finanziamenti pubblici alle scuole locali e alle strutture sanitarie, rendendo vane le proteste dei lavoratori e degli utenti del settore. Fino agli anni Ottanta, in Messico esisteva un settore sanitario unico, adesso ne esistono tre: per gli impiegati del settore pubblico, per gli operai, per gli impiegati del settore privato, ognuno secondo la capacità contributiva dei propri iscritti, creando una disuguaglianza di fatto tra i cittadini rispetto all’accesso alla sanità. Lo smantellamento del trasporto pubblico, tipica misura dei paesi che hanno subito le politiche di Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale, fa sì che esista un sistema ferroviario per il flusso delle merci ma non più per la circolazione delle persone. A parte Città del Messico, le metropoli messicane non dispongono di una rete di tram o di metropolitane, soffocando nell’inquinamento, anche per incentivare l’acquisto di auto prodotte in loco. Lavoro sottopagato e disuguaglianze sociali incentivano una massiccia emigrazione. 35 milioni di cittadini americani hanno origini messicane, 9 milioni di loro sono nati in Messico, creando una dipendenza politica, economica e culturale dal grande fratello nordamericano che si esplicita in altri aspetti. Ad esempio, sebbene il Messico vanti un’autosufficienza energetica grazie al petrolio, non dispone della tecnologia per raffinarlo, per cui deve rivolgersi alle raffinerie situate a nord del Rio Bravo. L’assunto del dittatore Porfirio Diaz, secondo cui il Messico è troppo lontano da Dio e troppo vicino agli USA, è ancora oggi attuale. Sulla contraddizione di classe si innesta quella tra centro e periferia. I campesinos avevano rappresentato una colonna portante della rivoluzione avvenuta tra il 1910 ed il 1917. Negli anni Trenta del Novecento, il presidente Lazaro Cardenas aveva redistribuito 170 milioni di ettari di terre ai contadini, rinforzando il sostegno rurale al Partido Revolucionario Institucional (PRI), che governò il paese ininterrottamente dal 1929 al 2000. Le politiche neo-liberiste hanno incentivato solo le colture da esportazione, privando di adeguato sostegno quelle orientate all’autoconsumo e al mercato interno, con la conseguenza di catalizzare i processi migratori o di spingere frange della società contadina tra le pieghe dell’economia illegale, in particolare quella che gravita attorno ai narcos. Inoltre, la struttura federale del Paese si intreccia con le differenze di classe, favorendo la riproduzione di gruppi di potere locali che alimentano le catene clientelari che si dipartono dal centro. Jefes e caudillos imbastiscono reti di patronato che cercano di sintonizzarsi sulla lunghezza d’onda degli equilibri politici nazionali, al fine di assicurare a sé stessi e ai loro protegè un minimo di prebende che ne permetta la sopravvivenza. In questo contesto, i popoli nativi si trovano in una posizione marginale, che li porta ad organizzare proteste che spesso sfociano nella costruzione di movimenti radicali, come nel caso del Chiapas. La terza contraddizione che attraversa la società messicana è quella di genere. Le donne si trovano ancora in una posizione subalterna, che le rende vittime di frequenti episodi di discriminazione e di machismo sul lavoro, in famiglia, nella società. Ogni anno 10.000 donne messicane tra i 14 e i 40 anni vengono sequestrate, per essere uccise, deportate oltre frontiera come prostitute, costrette a matrimoni combinati. Spesso il sequestro si svolge con la complicità attiva degli uomini della famiglia. Negli ultimi anni la società civile messicana ha prodotto movimenti di donne che si battono contro il machismo e le sparizioni, ma si tratta di soggettività che ancora debbono radicarsi, anche per una sovrapposizione marcata tra la sfera legale e quella illegale. È proprio quest’ultima a rappresentare la quarta – ma non la minore – contraddizione messicana. Se in passato la leva della spesa pubblica consentiva, attraverso l’attivazione del clientelismo di massa, di tenere relativamente a freno le disuguaglianze sociali e di regolamentare le attività illegali, per cui il traffico di droga era tollerato e regolamentato dai politici e dalle forze di polizia locali, dagli anni Ottanta in poi la tendenza si è invertita. I tagli alla spesa pubblica hanno ristretto la legittimazione dei politici, e le forze di polizia, coi tagli agli stipendi, si sono rivolte o al mercato della sicurezza privata o a quello dei narcos, finendo per prendere tangenti dai trafficanti, o, addirittura, per essere impiegati tra loro. Uno dei clan più feroci del narcotraffico, Los Zetas, era una divisione speciale dell’esercito impiegata in Chiapas, e trae il suo nome dal codice utilizzato per comunicare via ricetrasmittente. Inoltre, lo sradicamento delle colture di marijuana nel nord del paese in seguito all’Operazione Condor, ha provocato il loro spostamento negli stati centrali, generando la nascita di nuovi cartelli del narcotraffico. La posizione geografica del Messico ha poi favorito la nascita della pista secreta, ovvero del traffico di cocaina dai paesi dell’America del Sud agli USA, in certi casi tollerati da Washington stessa, quando si trattava di ricevere l’aiuto dei narcos di confine per smerciare le armi ai contras nicaraguensi. Lo sfrangiamento delle istituzioni statali, le politiche neoliberiste, la politica di contrasto al traffico di stupefacenti improntata al supply side, ovvero alla repressione dei produttori, hanno provocato la formazione, negli ultimi anni, di ben 120 organizzazioni criminali, dedite al traffico di stupefacenti, alla tratta delle donne, ai furti delle risorse naturali, alla sicurezza paramilitare. La Merida Initiative, accordo imposto dal grande fratello yankee al governo federale messicano nel 2014, ha comportato l’addestramento e l’equipaggiamento di reparti speciali dell’esercito federale finalizzati allo sradicamento delle colture illegali e alla cattura dei principali capi-clan. Ne è conseguito un aumento della pressione sui contadini e sulla società civile messicana, stretti nella morsa tra le squadre paramilitari private, i gruppi di fuoco dei narcos, i reparti speciali dell’esercito federale. Giornalisti, studenti e membri delle ONG che tentano di denunciare queste situazioni vengono trucidati. Si parla di centinaia di giornalisti che ogni anno perdono la vita nelle zone calde del Messico, in particolare quelle di confine, per denunciare questi gravi abusi. Le elezioni del prossimo anno vedono al momento avvantaggiato Andres Manuel Lopez Obrador, candidato del gruppo di sinistra MORENA (Movimiento de Renacimiento Nacional), contro gli ancora ignoti candidati del PRI e di un’anomala coalizione che vede alleati la destra del Partido de Accion Nacional (PAN) e la sinistra del Partido de la Revoluccion Democratica (PRD), ex-partito di AMLO. Gli Zapatisti presenteranno una candidata propria, una donna tzotzil, per protestare contro l’approssimazione del MORENA, che parla di dare un personal computer ad ogni messicano, ma trascura aspetti come difesa dell’ambiente, servizi pubblici, politiche di contrasto all’economia illegale. Forse, il Messico, più che da Dio, è lontano da sé stesso…
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