LEI NON SA CHI SIAMO NOI
26/5/2015
Scritto da Vincenzo Marineo 26 maggio 2015
Le decine di recensioni raccolte sul sito clashcityworkers.org testimoniano l’attenzione che questo libro, ora alla terza ristampa, ha suscitato. Dove sono i nostri, del collettivo Clash City Workers (edizioni La casa Usher, 2014, pagine 202, euro 10,00) risponde a due domande: come si produce ricchezza oggi in Italia? chi la produce? La risposta è in 157 pagine di dati statistici, grafici, tabelle, analisi, che rendono conto della struttura produttiva italiana e delle caratteristiche della forza lavoro. Non sono solo numeri, c’è anche l’esperienza che il collettivo ha accumulato sul campo, seguendo vertenze sindacali, tradotta in proposte di intervento politico, settore per settore. Luoghi comuni ormai classici dell’economia popolare quali la deindustrializzazione, la residualità degli operai, la centralità del cognitariato, sono ricondotti alla loro condizione di narrazione fantastica. Nella realtà, il terziario che è cresciuto è quello legato alla manifattura, il lavoro operaio non è sparito, il valore nasce nella sfera della produzione. Il modo di produzione non è cambiato. Cose, è da supporre, ben note all’ufficio studi di Confindustria, che non fa le sue analisi basandosi sui talk show e sugli editoriali. Cose che non dovrebbero sorprendere chi si richiama, in qualche modo, a un pensiero socialista. E il problema non è “la casta” dei politici, o la corruzione. Questi argomenti, si potrebbe aggiungere, lasciamoli a Beppe Grillo. Tutto il libro è un invito a pensare la trasformazione della società, a rimettere in movimento un pensiero critico, un pensiero che innanzitutto non si stupisca del fatto che qualcosa non funzioni, che c’è la crisi. Il punto di partenza deve essere il confronto con i dati della realtà. Vediamo allora che non possiamo parlare di deindustrializzazione, o di terziarizzazione dell’economia; possiamo piuttosto constatare la terziarizzazione del settore manifatturiero: «il terziario che è cresciuto non è quello del turismo, della distribuzione e del commercio, della pubblica amministrazione o dei vari lavori “cognitivi”, come si pensa spesso, ma il terziario più legato – anzi interdipendente e spesso corrispondente – alla manifattura.» L’esternalizzazione, per esempio, fa comparire sotto la voce “servizi” fasi o figure lavorative che precedentemente erano considerate interne al processo produttivo. Il lavoro dipendente non è affatto in via di estinzione; l’Italia è sì uno dei paesi europei in cui c’è maggiore presenza di lavoro autonomo, ma la tendenza è verso la trasformazione dei lavoratori indipendenti in lavoratori dipendenti, tendenza riscontrabile in tutti i paesi OCSE nel decennio 2000-2010. Viene rilevata la tendenza all’omogeneizzazione tra le condizioni dei lavoratori pubblici e dei lavoratori privati, in particolare per quanto riguarda le retribuzioni, e anche la tendenza al livellamento (al ribasso) delle retribuzioni in generale. Quest’ultima tendenza viene attribuita alla crescente finanziarizzazione delle imprese, e alla conseguente necessità di una crescente remunerazione del capitale: necessità che si realizza intervenendo sul capitale variabile. Manca qui, va osservato, il collegamento di questa svalutazione del lavoro con l’impossibilità della svalutazione dei cambi derivante dall’adesione dell’Italia al sistema dell’euro. Pur vedendo l’unione europea come una esigenza del capitale, la prospettiva internazionalista adottata e i conseguenti timori di un nazionalismo interclassista collegato all’eventuale ritorno alla sovranità monetaria impediscono di analizzare più da vicino il ruolo che l’euro gioca nell’imporre specifiche politiche economiche. Grande attenzione è riservata all’attività sindacale, alla sua evoluzione, alle forme che ha assunto; frutto anche dell’esperienza diretta del collettivo nelle lotte che ha seguito. Meno definita è la prospettiva più propriamente politica, ma è ben chiara la necessità di organizzarsi su questo piano. C’è la critica ad alcune categorie interpretative il cui utilizzo si è diffuso, quale quella dei NEET (i giovani di 15-34 anni che non lavorano e non studiano), categoria in realtà composita ed eterogenea, che non aiuta a capire la struttura della società italiana; ma che è utilizzata nel dibattito pubblico per accreditare l’esistenza di una massa indifferenziata di giovani parassiti che non vogliono lavorare e vivono a spese dei genitori (i “bamboccioni”). Una categoria che, come spesso accade, viene offerta come neutro aggregato statistico, e che è invece un arnese retorico costruito per orientare l’interpretazione.Ma questi sono solo alcuni esempi, insufficienti a rendere la mole di lavoro svolto dagli autori. A cosa può servire questo libro? C’è una terza domanda, oltre alle due su come si produce la ricchezza, e su chi la produce; è nascosta nella copertina: chi sono i nostri? Domanda che ne nasconde un’altra: chi siamo noi? C’è pure la risposta, nelle (202 - 157 = ) 45 pagine dell’introduzione e della conclusione: noi siamo i comunisti, e i nostri sono i proletari. Questa salutare chiarezza non deve però mettere il libro sotto il segno di una prospettiva che può non trovare riscontro in posizioni politiche che dovrebbero invece anch’esse essere interessate a usarlo. Intanto la nozione di proletariato che viene fuori, ed è uno dei principali meriti del libro, è attuale e non più coincidente con quella della classe operaia e del lavoro in fabbrica. In ogni caso, qualsiasi progetto di trasformazione della società deve correttamente partire dall’identificazione dei soggetti cui il progetto si rivolge come protagonisti, e le analisi contenute nel libro sono a questo scopo necessarie, quale che sia la posizione politica che si vuole sviluppare. L’evidente difficoltà in cui si trova il processo di formazione di organizzazioni che riempiano il vuoto di rappresentanza del lavoro che c’è oggi in Italia dovrebbe portare chi si muove in questa direzione a individuare Dove sono i nostri come un punto di riferimento per l’elaborazione di analisi condivise. Si può non essere d’accordo con questa o quella proposta di intervento politico del libro, o con alcune analisi; ma esso costituisce comunque un testo che, letto e discusso, può aiutare a far convergere posizioni (anche ideologicamente differenziate) verso una cultura politica condivisa, che si giovi degli apporti teorici ritenuti più opportuni, ma che sia costretta a scontrarsi con la testardaggine della realtà. Occorre partire dal confronto con la realtà, e Dove sono i nostri offre la possibilità di farlo. Lo scopo dichiarato del libro è peraltro questo, fornire uno strumento di lavoro: e sarebbe utile che, da opera collettiva quale è, esso venga letto e discusso collettivamente. Possibilmente, a sinistra.
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