di Alessandro Locatelli
Ho terminato di leggere qualche ora fa il terzo e ultimo volume della trilogia di romanzi, usciti contemporaneamente, della palermitana, anzi flavese, Germana Fabiano (s'intitolano Tra Scilla e Cariddi, L'ultimo rais, Motya). Li ho bevuti in pochi giorni e, come in fondo prevedevo, mi ritrovo ad essere un tantino - un tantino, eh? - invidioso, e un bel po' seccato. Diciamo pure incazzato, via. Invidioso - un tantino, eh? - perché Germana, della quale ho letto anche tutti i libri precedenti, mi si conferma essere una scrittrice parecchio più talentuosa del sottoscritto. E vabbè, a questo mi sto rassegnando. Seccato - incazzato, via - perché 'sti tre bellissimi romanzi stanno passando fondamentalmente sotto silenzio. E, temo, questa mia recensione - sfogo - sproloquio, non riuscirà a cambiare granché le cose. Dunque: una trilogia assai meno trilogia di quanto mi aspettassi. Tre romanzi che hanno in comune soltanto la Sicilia, e il mare. Potevano anche essere pubblicati a distanza di anni l'uno dall'altro. In apparenza. Nella realtà, a mio modo di vedere, è giusto che camminino e vivano insieme. Dentro le loro pagine ci sono mondi e destini che cambiano inaspettatamente e tumultuosamente, lasciandosi dietro e dentro di se rimpianti e ingombranti rottami. Tra Scilla e Cariddi è, quasi, un romanzo di fantascienza. Un brutto giorno si verifica un improvviso e irrimediabile black-out tecnologico. Niente più telefonini, niente più Internet. Puff, dissolti. Si potrebbe, dovrebbe tornare a scrivere con carta e penna, con le vecchie, gloriose macchine da scrivere, ma, ecco, la carta è razionata, anche i nastri inchiostrati, la carta carbone. E poi per strada transitano solo biciclette scassate e vecchi autobus, e poi ancora non c'è più caffè, alcuni cibi scarseggiano...in una situazione del genere, non sarebbe da pazzi volersi intestardire, dando fondo alle residue economie, a completare il Ponte? Si, lui, il famigerato Ponte sullo Stretto, sogno e incubo di generazioni di siciliani e calabresi. Il Ponte, da anni, è interrotto a metà. Mezza campata sospesa nel vuoto (Mi viene un brivido, se tento di immaginarmelo). Ci si potrebbe camminare sopra per chilometri, come fa ogni mattina, ostinatamente, un vecchio centenario, per ritrovarsi sospesi su uno strapiombo, a un passo dal precipitare sul mare. Pericoloso, sì. Ma provare ad opporsi al suo completamento, come fanno, giustamente, un pugno di irriducibili, è ancora più pericoloso. L'ultimo Rais. Che vita, la vita in una piccola isola. Scandita da ritmi lenti, dove ci si conosce tutti, dove le tradizioni, le convinzioni hanno un grande peso. In quest'isola si vive di pesca, pesca di tonni, quella cosa grandiosa e crudele che avviene una volta all'anno e si chiama mattanza. Il Rais, colui che guida, comanda la mattanza, una sorta di direttore d'orchestra, appartiene da secoli alla stessa famiglia. E se non ci sono eredi maschi, poco male: una donna saprà fare egregiamente questo lavoro "da maschi". Ma non è detto che una tonnara possa vivere in eterno, non è detto neppure che un'isoletta non debba suo malgrado diventare in un certo senso il centro del mondo, quando dovrà accogliere centinaia di disperati fuggenti dalle guerre, dalla fame. Anche un ometto insignificante, e che custodisce un grande segreto, può arrivare ad uccidere, e non una volta, per difendere il suo mondo. Ma non è detto che serva, anzi. E così può capitare che dopo tanti anni una donna, che ha saputo accettare il suo destino fino a renderlo parte integrante di una vita inimitabile, si ritrovi a far da guida turistica tra le stesse mura, ormai diroccate, che fino a dieci, quindici anni prima, l'avevano vista regina. Motya è, dei tre, il romanzo che ho letto per ultimo, quello che immagino sia costato maggior fatica, almeno per quanto riguarda lo studiare, il documentarsi (la storia narrata inizia nel 399 avanti Cristo). Ed è quello per me più difficile da riassumere. È un grandioso affresco con al centro la tragica figura del sacerdote Hiram, zoppo, deforme, crudele, disperatamente solo. Ma forse, e senza forse, tutte le figure che popolano questo romanzo - artisti, uomini di potere, schiavi, donne bellissime, guerrieri, ancelle, una ragazza in grado di prevedere il futuro - sono tragiche. Però si legge lo stesso tutto d'un fiato, come del resto gli altri due. Cos'altro dire? Banalmente: leggeteli, sono belli 'sti tre romanzi, davvero. Anzi, se ne scriveva quattro, o cinque, perché non sei? era pure meglio. E allora chiudo non trovando di meglio che ribadire: Germana, ti invidio! I tre romanzi di Germana Fabiano sono pubblicati da Robin e fanno parte del trittico CONCERTO SICILIANO. L’ultimo libro di Alessandro Locatelli è TUTTI QUESTI EDIFICI IN COSTRUZIONE. Del suo TROPPO, TROPPO TARDI abbiamo parlato qui.
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Gennaio 2021
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