Scritto da Giovanni Di Benedetto
«Nel mezzo»: Microfisica della mediazione nel mondo greco antico è il titolo del libro, di ben 496 pagine e pubblicato dalla Pisa università press, con cui Andrea Cozzo indaga i dispositivi di mediazione per la gestione dei conflitti a partire dalla cultura e letteratura greca. Come giustamente ricorda Giovanni Scotto nella sua introduzione “il campo di indagine del libro si situa all’intersezione tra l’esplorazione del linguaggio e del significato dei termini nei testi greci, anche nella loro dimensione etimologica, e l’analisi delle relative pratiche di gestione nei conflitti nelle società in cui il greco è stato via via lingua d’uso, in un arco di tempo di oltre un millennio.” Si tratta di un’impresa nel senso forte del termine, un lavoro profondo che copre un orizzonte culturale, da Omero al IV secolo dopo Cristo, dalle proporzioni ampie ed estesissime. E che testimonia, non me ne voglia l’Autore, sempre attento a coniugare teoria e pratica, un’erudizione non comune. Il lavoro di Cozzo si configura come una sorta di scavo genealogico, fin dalle origini della tradizione occidentale, alla ricerca di teorie e pratiche di mediazione e di gestione dei conflitti alternative alla violenza. Dico subito che ho trovato il libro, per l’impostazione e per la chiave di lettura che suggerisce, molto bello e molto importante. A fare da sfondo, è l’esigenza di costruire una visione della storia attenta, piuttosto che alle guerre e ai conflitti, a tutte quelle strategie presenti nel mondo antico in grado non solo di limitare la violenza e i conflitti ma anche di proiettarsi nel futuro secondo un’ottica fondata sulla conciliazione e, se non proprio sulla nonviolenza, sulla ri-costruzione di rapporti pacifici orientati sull’utile di tutti i contendenti. Il mondo greco, nei rapporti interpersonali, in quelli all’interno della polis e in quelli tra le poleis, sembra possedere strategie di mediazione e risoluzione negoziata, con le quali una terza parte può aiutare a superare dinamiche distruttive, in grado di garantire il rispetto delle prerogative di tutti i contendenti coinvolti. Da qui la seconda considerazione che riguarda la politicità di un’impostazione di questo tipo. È l’idea che la politica possa essere, in primo luogo, il tentativo costante di assicurare concordia e reciprocità. Un’idea a tutt’oggi niente affatto scontata, che prefigura la necessità di prendere in considerazione un capovolgimento complessivo del modo in cui è, al tempo presente, strutturata la nostra società. Solo una riconsiderazione sistemica, radicale quindi, dell’organizzazione sociale nella quale viviamo può permettere il conseguimento di un’autentica condizione di pace e di assenza di violenza. L’attenzione che l’Autore rivolge ai momenti della storia antica, scarsamente considerati dalla storiografia (più o meno ufficiale, compresi Detienne, Vernant e Loraux), in cui si ricerca una mediazione costruttiva dei conflitti, può essere d’insegnamento per la costruzione, qui ed ora, di una società più giusta e conviviale Ovviamente, secondo questa concezione dell’agire pratico, non si vuol dire che non si debba stare dentro i conflitti prendendovi parte (ossia parteggiando ). Vi è l’idea, storicamente accertata da Cozzo, che sia possibile risolvere le controversie non solo senza che sia praticata la violenza ma anche senza che la terzietà possa essere scambiata per inattiva e passiva neutralità. Da qui, come dicevo più sopra, la consapevolezza sottostante di una narrazione storica differente (e oserei dire contrapposta) a quella che si limita a ricordare eventi bellici e militari. Si potrebbe parlare forse di contro storia, senza che questa vada intesa come il semplice capovolgimento di quella ufficiale, in cui i buoni diventano i cattivi e viceversa. No, qui la destrutturazione e la successiva ristrutturazione dell’ordine del discorso pare più seria e complessa. Proprio perché viene evidenziata la vicinanza relazionale e la componente affettiva messa in gioco da parte di chi esercita un ruolo costruttivo nel dirimere contenziosi e nel pacificare situazioni di violenza che cambiano (o dovrebbero cambiare) la fisionomia della relazione e, dunque, entrambe le parti in causa. Sono la familiarità, la benevolenza e l’amicizia, intese come fattori decisivi nella costruzione di un clima non violento, che caratterizzano le pratiche di terzietà. Ecco perché l’autore scrive che “la consapevolezza della profonda differenza tra una giustizia che, operando con la rigidità della conta dei voti, decide sui contendenti ed una conciliazione che, invece, li riunisce, è chiara. La stretta giustizia non è una soluzione, perché non è la dissoluzione dell’inimicizia ma, tutt’al più, solo un termine della lite nella sua forma visibile e formale.” È inoltre interessante l’individuazione, addirittura, di una struttura operativa comune alla dimensione dell’azione di mediazione che adopera innanzitutto il riferimento a capacità di conciliazione fondate sull’emotività, l’affettività e la dolcezza. Così come lo stratagemma retorico della critica rivolta a tutte le parti in conflitto, che sposta l’attenzione e il fuoco del discorso dalle presunte responsabilità dei contendenti alla necessità di non provocare danni e guasti ancora più irreparabili evidenziando una memoria storica di benevolenza e pace. O ancora il ricorso al modulo della domanda, che diversamente dalla forma assertiva, non si presenta come aggressiva o costrittiva. Il riferimento di Cozzo all’idea di medietà, nelle sue diverse declinazioni, presente in Aristotele ma anche nella dimensione più specificatamente pratica della vita nella società greca, può portare a riflettere sull’eventualità che l’uomo di mezzo teorizzato da Aristotele possa essere inteso come la maggior parte della popolazione in grado di spingere verso la conquista di obiettivi progressivi. Come se potesse essere possibile pensare a forme di azione popolare e di intervento di massa volte a inventare nuove forme di protagonismo civile. Si può intendere in questo senso quanto viene detto a proposito del fatto che “è il popolo o la massa dell’esercito stesso a intervenire facendo pressione in questa direzione su due individui detentori di un ampio potere militare. Naturalmente il contesto più adeguato per l’intervento in questi casi non è più quello privato ma quello pubblico.” Per l’appunto è la sfera del pubblico ad essere chiamata in causa nel momento in cui sopravviene il coinvolgimento di ampi settori della formazione sociale. In tempi di crisi della politica, come quelli che stiamo attraversando, suggerire un ritorno alla partecipazione collettiva non è poca cosa. Questo aspetto avrebbe pesanti ricadute anche su un altro livello dell’analisi dell’Autore, quello del piano comunicativo tra le parti e di fronte all’opinione pubblica. Anche in questo senso l’equivicinanza, così come la compartecipazione, giocano un ruolo fondamentale. Un’ultima questione riguarda il tema del potere. Nell’analisi della storia greca e romana si prendono ad esempio casi di belligeranza fra le parti dove entra in gioco la questione del potere. L’Autore scrive che “ci sono casi in cui chi è al potere non si fa scrupolo a prevaricare i cittadini, ma non sempre quelli che non sono diretto oggetto degli abusi sono disposti a stare a guardare. E non necessariamente il loro rifiuto di essere passivi spettatori si trasforma in una resistenza armata”. O si pensi, inoltre, agli esempi riportati di schiavi che salvano il loro padrone. Come se si volessero mettere in rilievo le possibilità di difesa nonviolenta nella forma della non collaborazione e della disubbidienza civile. E tuttavia “tutti i casi fin qui riportati sono leggibili (..) in riferimento ad un’ideologia che considera positivamente il rischio o addirittura il sacrificio di figure subalterne (schiavi, liberti, donne, figli, che non a caso, diversamente da quelli che devono loro la salvezza, restano quasi sempre eroi senza nome) a favore di quelle superiori ad esse complementari (padroni, patroni, mariti, padri).” Insomma, a volte può essere legittimo chiedersi, leggendo alcune pagine del libro, se tutta la riflessione sulla mediazione e la terzietà non si muova dentro una cornice che non mette in discussione i rapporti di potere. Tuttavia, ci sono anche casi che, mi sembra, vanno in una direzione che può richiamare l’istanza dell’uguaglianza: dall’esperienza di Solone al caso di Demonatte che mise in comune per il popolo tutto ciò che prima avevano i re. Molto bella, infine, la trattazione del ruolo del genere femminile nella riappacificazione e nella mediazione delle controversie nei diversi ambiti. Per concludere, un lavoro importante e ricco di insegnamenti. Certo, un testo che forse può risultare un po’ faticoso per la densità dei contenuti che, tuttavia, non inficia l’elemento della scorrevolezza. In fondo, è la stessa copiosa quantità di informazioni ad essere indispensabile, perché esprime manifestamente quale straordinaria architettura concettuale e competenza abbiano avuto gli antichi nel trasformare costruttivamente i conflitti nei quali si sono trovati imbrigliati e coinvolti.
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Gennaio 2021
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