di Pavlov Dogg 7 gennaio 2016
Sharknado 3 regia di Anthony C. Ferrante Se l’ideologia dominante opera su almeno 3 livelli differenti, con le relative modalità; e se – procedendo dal più ovvio al più nascosto – possiamo definirli Livello Goebbels (dai Diari del gerarca nazista, citati da Goffredo Fofi nel film Sbatti il Mostro in Prima Pagina) che funziona “per semplice ripetizione”; Livello Orwell (dal romanzo 1984) in cui si manipola il linguaggio, e ad esempio “Guerra” diventa “Missione di Pace”; e infine Livello Althusser (dall’omonimo filosofo francese) che riguarda ciò che si dà per scontato, di cui “non c’è bisogno di parlare”: se tutto questo non è completamente inverosimile, è anche legittimo immaginare che certi film ultracommerciali, magari orrorifici ma spensieratamente tali, abbiano poco a che vedere con il livello Orwell (che è il più creativo), parecchio a che fare con il livello Goebbels, e moltissimo con il livello Althusser, quello più vicino all’inconscio collettivo e alle paure che vi albergano. È questo il caso di Sharknado 3, terzo episodio di una saga che – essendo già in preparazione per il 2016 Sharknado 4 – viaggia all’impressionante media di un film all’anno: da fare impallidire – quanto a produttività, anche se non quanto a effetti speciali – i 7 in 38 anni delle guerre stellari alla cui visione siamo stati appena, tristemente, precettati dal Regime. Il film (come tutta la serie) è stato definito con le 4 “F” che nel titolo ho fatto seguire dal punto interrogativo: vediamo allora se le ha meritate davvero. 1) Fesso? Chiamalo fesso! Le entrate di The Asylum – lo studio californiano che ha prodotto questa serie di film per la TV – sono in costante ascesa e hanno superato da tempo i 20 milioni di dollari annui, con un margine di profitto del 15%. Sharknado ha straripato nei social media, è diventato fenomeno di costume e ha pure resuscitato l’etica cormaniana dei bassi costi di produzione (2 milioni di dollari di budget, contro i 200 del Risveglio della Forza). 2) Fetente? Certo, se proprio ci teniamo alla “recensione” “obiettiva” del “prodotto” cinematografico, allora il film è chiaramente monnezzaro i dialoghi non sono di Mankiewicz la regia non è di Hitchcock e non vi recitano Humphrey Bogart e Lauren Bacall. Solo che definirlo “fetecchia” e “cagata” – come hanno fatto diversi critici e blogger – significa giocare nella stessa squadra dei produttori, che con tutte le loro forze hanno attivamente ricercato proprio questa nomea. E David Hasseloff (l’ex-stella di Baywatch), che fa la parte del padre del protagonista, ha dichiarato tutto contento che Sharknado 3 è “il peggior film di sempre” e che proprio per questo prenderà parte anche al n.4, che “sarà ancora peggio”. E resta il fatto che sia Sharknado 2 che 3 (il primo non l’ho visto) sono film mozzafiato, senza un secondo di tregua (perlomeno nella prima metà: un certo appesantimento nel finale va riconosciuto). Laddove di fetecchie lente e non coinvolgenti la storia del cinema è piena. 3) Forcaiolo ? Be’, forcaiolo è forcaiolo. Il punto del film è proprio questo. All’inizio del n. 3, il Presidente degli Stati Uniti d’America vorrebbe ancora “proteggere gli squali” (ho già detto che questi film trattano di tornado e trombe d’acqua che scaraventano migliaia di squali su varie città americane, a turno? e della “quotidianizzazione” dell’orrore che ne consegue, nonché della Guerra al Terrore degli Squali intrapresa – contro le titubanze dei soliti panciafichisti – da un manipolo di eroi? ecco, ora l’ho detto), i loro diritti costituzionali, in pratica, ma quando i pescioloni gli piombano sulla Casa Bianca (che poi finirà distrutta) si trasforma a tempo di record in un implacabile cacciatore, diventa tutt’uno con il fucile che imbraccia. Di fronte ad un attacco così devastante, bisogna rinunziare a tutti i paletti dell’ordine costituito, se vogliamo che la sostanza di quell’ordine (con l’American Way of Life al suo centro) sopravviva. Se la Statua della Libertà finisce decapitata (come nel film n.2) allora si possono pure sacrificare alla causa i ritratti di Washington e Lincoln alle pareti della sede presidenziale, e così accade nel n. 3. 4) Fascista ? se questo non dev’essere il solito insulto generico, proferito per pronto accomodo, bisogna verificare la presenza di almeno 3 caratteristiche: A) una mobilitazione reazionaria di massa; B) un attacco evidente ai diritti dei lavoratori; C) lo scatenamento di una teppaglia violenta che possa svolgere il “lavoro sporco” al posto delle autorità. Vediamo un po’. In merito ad A) non ci sono dubbi. Saltano tutte le garanzie e la mobilitazione va dagli anchormen della Daytime TV agli inevitabili tassisti, dai ragazzini ai veterani (il già citato Hasseloff, Bo Derek), con una preminenza da manuale di elementi borghesi declassati: gli attori protagonisti Ian Ziering (Fin) e Tara Reid (April) erano diventati celebri, rispettivamente, attraverso il telefilm Beverly Hills e la serie cinematografica American Pie, per poi finire abbastanza nel dimenticatoio. Se l’aspetto B) non è immediatamente lampante, a motivo dell’attuale debolezza e scarsa visibilità del lavoro organizzato negli USA, sbagliarsi è però impossibile: lo stressato giostraio dell’Universal Orlando Resort, poco client-friendly nel non mettersi all’inseguimento della figlia di Fin per renderle il cellulare, a tempo debito verrà esemplarmente punito dagli squali; mentre la povera impiegata dell’autonoleggio, colpevole di lamentarsi dell’ennesima requisizione “emergenziale”, viene decapitata dai pescecani non appena ha finito di pronunziare le parole: “ma così perderò il mio lavoro!”. Tutti i salariati che si mettono di traverso o obiettano qualcosa rispetto alla guerra totale vengono, nel film, abbattuti senza pietà; laddove a sopravvivere sono le figure auto-imprenditoriali, che non danno mai nulla (regole, diritti, orari eccetera) per scontato, per acquisito. La caratteristica C) parrebbe assente (Fin è un brav’uomo e peraltro è nato in pieno establishment, col padre generalone) eppure… eppure, nella scena iniziale, quella del ricevimento presidenziale, il nostro eroe viene insignito dell’Ordine della Motosega, appositamente creato per lui. Con la motosega ha sconfitto gli squali nei primi due film e della motosega d’oro che gli viene adesso consegnata dovrà far uso di lì a pochi secondi, allorché gli squali piombano su Washington. Solo che, nel cinema americano, la motosega è tradizionalmente arma d’elezione di assassini cannibali (come in Non aprite quella porta di Tobe Hooper, del 1974, il cui titolo originale è per l’appunto The Texas Chain Saw Massacre), efferati gangster (in Scarface di Brian de Palma, del 1983) e, in generale, di sociopatici assortiti: se in La casa 2 di Sam Raimi (1987) viene adoperata dall’eroe del film, ciò avviene in una situazione estrema e contro soverchianti forze nemiche. Che in un film USA si possa oggi istituire l’onorificenza di cui sopra indica che qualcosa è cambiato: c’è un rimescolamento dei simboli in cui la sineddoche dei peggio psico-criminali viene sdoganata al servizio della Causa. La mente corre alle recenti vicende in Ucraina. A,B e C indicano dunque che l’inconscio, ma forse è meglio dire il semi-conscio, di Sharknado 3 è effettivamente fascista. Il che non dice ovviamente alcunché in merito alle qualità spettacolari che il film possiede o non possiede, e non inficia il suo valore di semplice (e che “semplice”, lo sappiamo, non è mai) divertimento. Una cosa è sicura: non mancheranno gli appassionati del pensiero apocalittico pronti ad esaltarsi per la caduta – per l’appunto – di tutte le regole, l’abbattimento di tutti i simboli della “normalità” americana, il ritorno dichiarato al Far West della massima deregulation, interpretati come doloroso crocevia verso un Mondo Nuovo e Più Libero. A me pare invece che questi cacciatori di squali americani abbiano letto e assimilato il Gattopardo: “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”. P.S.: bellissima la colonna sonora, specie l’overture pseudo-Ramones. E grazie ad Alex e Ruggio per avermi attirato nel ciclone.
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