di Mario Marcuz
Negli ultimi mesi due interventi nell’ambito del diritto penale balzano agli occhi: il secondo dei quali forse sfuggito, nelle sue implicazioni, alla maggioranza dei non addetti ai lavori. Il primo, di diritto sostanziale, teso a contrastare il fenomeno dell’espansione epidemica del Covid 19, vede l’applicazione di un vecchio armamentario ereditato dal codice Rocco (1930) ancora in pieno vigore. L’altro, di tipo processuale, volto a fornire un nuova tipologia, il processo “da remoto” in cui i soggetti processuali (in particolare giudici, avvocati, imputati e testimoni) non si trovano contemporaneamente nello stesso luogo, l’aula del dibattimento. Cominciamo dal primo intervento, anche per seguire l’ordine cronologico. L’art. 3 comma 4 del Decreto Legge 23 febbraio 2020 n. 6, concernente “Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID – 19” richiama l’applicazione dell’articolo 650 del codice penale, che punisce: “Chiunque non osservi un provvedimento legalmente dato dall’Autorità competente per ragione di giustizia, sicurezza pubblica, ordine pubblico o d’igiene con la pena dell’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a 206 euro, salvo che il fatto costituisca più grave reato”. Va ricordato che “la persona” offesa dal reato è la collettività, nel cui interesse l'ordine deve essere adempiuto. La norma rientra nella categoria delle cd. leggi penali in bianco, cioè una legge che rinvia ad un atto normativo di grado inferiore per l'individuazione del comportamento sanzionato. Cosa significa? In concreto è una norma che non si butta mai via, sempre utile, duttile al riciclo e ad essere impiegata, a seconda della bisogna, da qualsivoglia parte politica. La canea mediatica sul tema è stata tale da produrre un senso di diffuso timore tra i normali cittadini i quali, in caso di malaugurata necessità, dovevano esibire o compilare al cospetto delle forze dell’ordine la nota autocertificazione, assimilabile a un salvacondotto in tempo di guerra (per chi ne ha memoria diretta, o l’ha letto sui libri o visto nei film). Si tratta davvero delle “prove generali di stato etico” paventate da qualcuno? In concreto gli operatori del diritto sapevano sin da subito che si trattava di un’arma spuntata, una po’ come le “grida” di manzoniana memoria (sarà un caso, ma anche nella trama dei Promessi Sposi c’è un’epidemia). Infatti l’inosservanza di tale reato contravvenzionale - quando anche non venga esclusa la punibilità per particolare tenuità del fatto (articolo 131 bis c.p.) - viene punita alternativamente o con una pena pecuniaria (statisticamente la quasi totalità dei casi) o con una pena detentiva (statisticamente una rarità da paleontologi). Inoltre è applicabile l'oblazione discrezionale (162 bis c.p.), che consente l’estinzione del reato versando la metà della pena pecuniaria massima prevista, pari a € 103. Much Ado About Nothing (Tanto rumore per nulla) per citare il sommo drammaturgo d’oltre manica. Il richiamo non è casuale, poiché l’aspetto leggero o forse anche un po’ comico della vicenda è emerso nei giorni e nelle settimane seguenti all’adozione del provvedimento suddetto. Infatti in fretta e furia viene adottato dal Governo il decreto-legge 25 marzo 2020 n. 19 recante “Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19”. All’articolo 4 rubricato “Sanzioni e controlli” si legge: “Comma 1. Salvo che il fatto costituisca reato, il mancato rispetto delle misure di contenimento di cui all’articolo 1, comma 2, individuate e applicate con i provvedimenti adottati ai sensi dell’articolo 2, comma 1, ovvero dell’articolo 3, e’ punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 400 a euro 3.000 e non si applicano le sanzioni contravvenzionali previste dall’articolo 650 del codice penale o da ogni altra disposizione di legge attributiva di poteri per ragioni di sanità, di cui all’articolo 3, comma 3. Se il mancato rispetto delle predette misure avviene mediante l’utilizzo di un veicolo le sanzioni sono aumentate fino a un terzo. Omissis Comma 8. Le disposizioni del presente articolo che sostituiscono sanzioni penali con sanzioni amministrative si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto, ma in tali casi le sanzioni amministrative sono applicate nella misura minima ridotta alla metà. Si applicano in quanto compatibili le disposizioni degli articoli 101 e 102 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507.” Tralasciando i tecnicismi da cefalea presenti nel testo, in pratica niente più sanzioni penali, bensì pagamento di somme di denaro con estinzione dei reati già commessi (abolitio criminis) con effetto retroattivo e “perdono” per tutti i violatori del periodo precedente. La giustizia trova così una dimensione equilibratrice e lo Stato assume un profilo benignamente paterno nei confronti dei cittadini ? Non proprio. Il fatto è che decine di migliaia di denuncie con apertura di pedissequi procedimenti penali avevano di lì a poco riempito di carta gli uffici delle Procure della Repubblica presso i Tribunali territorialmente competenti. Quindi, solo al fine di prevenire un inevitabile ingolfamento istituzionale (oltre che il disappunto dei cittadini che sono pur sempre elettori) con tempi incerti ma sicuramente biblici vista la cronica lentezza dei tempi della giustizia (ricordiamo che è entrato in vigore a gennaio 2020 pure la norma sulla prescrizione), cambio di rotta nella repressione delle condotte che possono espandere l’epidemia. Già, l’epidemia. Non esistono precedenti di giurisprudenza sul reato di epidemia doloso art. 438 codice penale. Passiamo ad altro. In seguito all’istituzione di zone rosse (dapprima limitate ad alcuni comuni e regioni del Nord Italia, poi a estesa a tutto il territorio nazionale) abbiamo già ricordato che è stato predisposto da parte del Ministro degli Interni un modulo per “autocertificare” le ragioni di deroga al divieto di spostamento (e cioè la sussistenza di esigenze lavorative, situazioni di necessità o per motivi di salute). L’autocertificazione prevista dal D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, sub art. Articolo 47 rubricato “Dichiarazioni sostitutive dell'atto di notorietà”: il cd. atto di notorietà può infatti avere ad oggetto fatti che siano a diretta conoscenza dell'interessato. La legge prevede controlli in capo alle amministrazioni procedenti, che sono tenute ad effettuare idonei controlli, anche a campione, e in tutti i casi in cui sorgono fondati dubbi, sulla veridicità delle dichiarazioni sostitutive. Chiunque rilasci dichiarazioni mendaci, è punito ai sensi del codice penale e delle leggi speciali in materia (art. 76 DPR cit.): il richiamo va all’articolo 483 c.p.p, rubricato “falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico” che prevede una pena sino a due anni. Peraltro, il delitto di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico è configurabile solo nei casi in cui una specifica norma giuridica attribuisca all’atto la funzione di provare i fatti attestati al pubblico ufficiale, così collegando l’efficacia probatoria dell’atto medesimo al dovere del dichiarante di affermare il vero (Cassazione penale Sez. V, n. 32859/2019). Si precisa infine che nell’ordinamento giuridico italiano non è previsto alcun obbligo a firmare alcunché, quindi nemmeno la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà. I lettori non operatori del diritto saranno a questo punto confusi: li posso comprendere, ma il meglio deve ancora venire. L’aspetto più serio degli interventi nel settore penale e in particolare modo in quello processuale è infatti il tentativo di modificare in modo permanente, non solo quindi nel periodo emergenziale, la natura del processo attraverso il cosiddetto processo da remoto. La previsione della "remotizzazione" del processo penale era in qualche modo prevedibile e attesa per tutti i procedimenti penali e per l'intera durata della situazione di emergenza sanitaria, con lo svolgimento a distanza delle udienze, ricorrendo all'applicativo, di proprietà della Microsoft Corporation e denominato Skype for Business o Teams, individuato dal DGSIA con provvedimento del 20 marzo 2020 di cui diremo in seguito. La "smaterializzazione" del processo con il pretesto dell'emergenza sanitaria, appare però un modo per ridurlo in modo definitivo a una pratica burocratica da sbrigare o se si preferisce, a una sorta di "videogame". Con buona pace dell'esercizio del diritto di difesa e al diritto ad un processo equo costituzionalmente sanciti. Nelle more della conversione in legge del decreto n. 18/2020, i singoli Uffici giudiziari dislocati sul territorio nazionale avevano iniziato ad adottare misure che si sono mostrate estremamente variegate, ingenerando grave incertezza riguardo alla sorte dei processi. Quale può essere il rischio concreto di un cammino verso l'impiego del collegamento da remoto come metodo ordinario di trattazione dei giudizi? La possibile stabilizzazione degli effetti di regole di natura prettamente emergenziale sulla celebrazione dei processi penali di domani: una sorta di normalizzazione della smaterializzazione e dello snaturamento del giudizio. A subire la massima compromissione e il maggiore svilimento sarebbe stato proprio i principi cardine del processo penale, il contraddittorio, di cui i principi di oralità, immediatezza (e concentrazione) costituiscono presupposto implicito. A questo punto si è ripetuto una schema visto più volte nel corso della recente emergenza, ma non solo. Si adottano da parte del Governo e del Parlamento i vari provvedimenti normativi, taluni aventi forza di legge (Decreti legge e relative leggi di conversione), altri di diversa natura (vedi i famigerati DPCM, acronimo per Decreto Presidente dei Consiglio dei Ministri), o più spesso si anticipano i medesimi provvedimenti tramite i media, si osserva quindi la reazione dell’opinione pubblica o degli esperti del settore interessato (ad esempio giudici e avvocati) e conseguentemente si aggiustano a seconda delle reazioni. Il cerchiobottismo vige come regola anche nelle situazioni di emergenza. Infatti, il 30 aprile scorso e cioè esattamente il giorno in cui entrava in vigore il testo della legge conversione del "Cura Italia", veniva pubblicato in Gazzetta Ufficiale il nuovo decreto-legge n. 28/2020 che interveniva, stravolgendola, sulla disciplina appena convertita divenuta vigente, stabilendo come le fasi cruciali del processo, ovvero le udienze di discussione finale e quelle deputate all'esame di testi, parti, consulenti tecnici e periti, debbano necessariamente passare per il consenso delle parti. Un modo di legiferare, absit iniuria verbis, che sarebbe degno di analisi freudiana più che di valutazioni forensi. Un ultimo ma non minore aspetto riguarda il trattamento dei dati effettuato nel contesto della celebrazione a distanza la cui criticità balza all’occhio quando si evidenzia che l'applicativo da utilizzarsi per la celebrazione delle udienze da remoto (vedi provvedimento dello scorso 20 marzo della DGSIA ossia Direzione Generale Sistemi Informativi Automatizzati del Ministero della giustizia) sia individuato nella piattaforma di proprietà della Microsoft Corporation e denominato Skype for Business o Teams. A parte il fatto che si tratta di fornitore stabilito negli Stati Uniti e quindi soggetto all'applicazione delle norme del Cloud Act che permette alle autorità statunitensi un ampio potere acquisitivo di dati e informazioni, vi sono fondati timori sulla tipologia di dati eventualmente memorizzati da Microsoft Corporation per finalità proprie, del servizio o commerciali, nonché sui soggetti legittimati all'accesso ai metadati delle sessioni e, in particolare, sulla possibilità che Microsoft Corporation o altri amministratori di sistema possano ricavare, dai metadati nella propria disponibilità informazioni e dati di natura giudiziaria particolarmente riservati o sensibili, come ad esempio la condizione di soggetto sottoposto a detenzione o a indagini preliminari o di imputato. L’introduzione del processo da remoto, lungi dall’essere una teriaca veneziana del settore giustizia anche nei momenti emergenziali, può ben essere utilizzata per dare un’ulteriore spinta alla privatizzazione e a un piegarsi dell’attività nel mondo giudiziario a scopi di mero profitto. La funzione di consulenza legale rischia di diventare appannaggio solo della rete e di ‘app’ specifiche, il ruolo della difesa irrilevante, la stessa decisione, o almeno decisione prevedibile, appaltata a macchine predittive capaci di apprendere e di auto-apprendere. Ancora una volta il diritto parrebbe accogliere una nozione di individuo che corrisponde a quella di soggetto economico, compratore o venditore, operante su un mercato. Valgono quindi le riflessioni svolte in altri tempi e contesti, ma sempre valide per chi voglia fare opera di una critica del diritto: “Perché mai il dominio di classe non resta quello che è, vale a dire un assoggettamento di fatto di una parte della popolazione ad opera dell’altra, e prende invece la forma di un potere statuale ufficiale, ovvero, che è lo stesso, perché l’apparato della coercizione statuale non viene costituito già come apparato privato della classe dominante, ma si distingue da questa assumendo la forma di un apparato pubblico impersonale, separato dalla società?” (E. B. Pašukanis, Obščaja teorija prava i marksizm, 1924). [l’autore è avvocato cassazionista, esperto di diritto del lavoro e penale. Attivo nella difesa di migranti, rifugiati e precari]
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