di Marco Palazzotto Ai meridionali sono stati affibbiati da secoli gli appellativi di corrotti, parassiti e mafiosi, eppure oggi la Lega di Salvini Premier raccoglie largo consenso al Sud, come si è visto alle ultime elezioni europee. Il 23% circa degli elettori meridionali che ha votato per la Lega però non sa di stare peggio, a livello aggregato, dopo un anno di governo gialloverde. Ad esempio l’ISTAT rileva che nel 2018 l’incidenza della povertà assoluta è stata maggiore nel Mezzogiorno sia per le famiglie (da 8,5% del 2016 al 10,3%) sia per gli individui (da 9,8% a 11,4%)[1]. La Banca d’Italia rileva che il tasso di disoccupazione aumenta al 22,3% in Sicilia, più del doppio della media nazionale[2]. Le cause ovviamente sono politiche e non sono - a parere di chi scrive - ascrivibili alla fannullaggine del popolo meridionale o alla sola presenza della criminalità (che è comunque effetto che si scambia con la causa), dacché le politiche economiche continuano a non aiutare la gente del Sud. Mauro Gallegati rilevava qualche giorno fa sulle colonne del Manifesto che la Corte dei Conti registra una pressione fiscale maggiore al Sud e una contemporanea diminuzione di trasferimenti di risorse pubbliche[3]. Insomma la questione meridionale rimane, anche se è ormai scomparsa dai dibattiti politici. Se è vero che la Sicilia, e in generale il Meridione, è stata la culla della criminalità organizzata di stampo mafioso, non possiamo però approcciarci al fenomeno con l’ottica convenzionale che vede lo Stato da una parte e la criminalità dall’altra, in contrapposizione. Anzi, per dirla con Umberto Santino, che usa il paradigma marxista nella sua lettura, il fenomeno mafioso è stato caratterizzato da un patto che vedeva la nascita di un blocco interclassista, formato dall’unione di pezzi della società illegale e pezzi della società legale (politici, imprenditori, professionisti), dentro lo svilupparsi di una sorta di “accumulazione primitiva”[4]. Interpretare il problema come presunta mentalità dei meridionali o come tendenza antropologica al crimine è frutto di una visione miope. La lettura che spesso ne fanno sia leghisti che commentatori mainstream è quella di una presenza della criminalità in tutti i gangli della società. In realtà esiste una classe che gestisce tali circuiti, quella classe che Santino, mutuando un termine introdotto per primo da Mario Mineo, chiama “borghesia mafiosa”. Questa riflessione ci porta verso un’altra più avanzata. La Questione Meridionale non è stato solo il risultato del processo di unificazione di fine Ottocento, come già Gramsci aveva rilevato negli anni Venti del secolo scorso, ma ha segnato tutta la storia successiva. “L’accumulazione primitiva” di un capitalismo arcaico meridionale - con la presenza della criminalità - è qualcosa che è stato pensato e attuato dalle classi al potere in Italia per garantirsi la pace sociale. Come evidenziano i Clash City Workers in Dove sono i nostri. Lavoro, classe e movimenti nell'Italia della crisi (La Casa Usher, 2014), il Mezzogiorno è stato plasmato come bacino reazionario che serviva a rallentare le trasformazioni del paese in senso socialista, smorzando ogni impeto della classe operaia del Nord. La presenza delle basi militari nel Sud è la testimonianza di questa tendenza. La criminalità organizzata da parte sua svolge anche un ruolo di contenimento sociale, integrandosi con il mondo legale. Questo è anche il motivo per il quale la mafia rimase impunita per più di un secolo. Questo schema si può dire che è cambiato con la caduta del muro di Berlino. Le stragi di Capaci e Via D’Amelio rappresentano infatti l’ultimo disperato tentativo del braccio violento della mafia siciliana di mantenere il legame con i referenti politici locali e nazionali. Venendo meno il collante che teneva insieme quel modello – a causa della sconfitta del movimento operaio, della conseguente controrivoluzione neoliberale, nonché dell’abbandono da parte della criminalità organizzata del modello di accumulazione primitiva, abbracciando una più matura dimensione globalizzata - il Meridione oggi si ritrova più isolato. Rimane soltanto un certo assistenzialismo clientelare che serve ai partiti che si susseguono al governo per raccogliere consensi, senza però il legame elettore-eletto che ha caratterizzato la Prima Repubblica. A queste considerazioni potremmo anche aggiungere che in Italia, fino alla creazione dell’Unione Europea, le classi dominanti applicavano uno schema di imperialismo interno con un nord che si è sviluppato soprattutto grazie ad un mercato di sbocco costituito dal sud, che invece si è via via indebitato. I dati infatti dimostrano che la bilancia dei pagamenti di parte corrente tra nord e sud è sempre negativa per il Meridione, positiva invece per il centro-nord (dati Banca d’Italia). Il saldo delle partite correnti del Meridione dal 1960 al 2005 è stato negativo in media del -17%, ciò significa che il complesso di imprese e famiglie del sud si è indebitato verso il centro-nord in media per circa 17 punti di PIL. Un sistema che abbiamo visto in altre parti dell’Europa, come successo ad esempio alla Germania durante il processo di unificazione dopo la caduta del muro di Berlino. Oggi il nostro Meridione si trova in una situazione relativamente ben peggiore di quella del secolo scorso. Il sud rappresenta infatti il mezzogiorno del mezzogiorno dell’Europa. I processi di centralizzazione senza concentrazione e transnazionalizzazione delle catene produttive (come rilevato da Riccardo Bellofiore) degli ultimi 30 anni, hanno di fatto spostato i problemi su scala Europea e, in generale, internazionale. Vista la situazione di frammentazione in cui si trovano le classi meno abbienti, non si può far altro che denunciare e lottare per ottenere condizioni migliori. Organizzare una mobilitazione generale, come potrebbe fare ad esempio la CGIL che ancora possiede la forza per raccogliere energie nella società, rappresenterebbe un primo passo importante. Note: [1] https://www.istat.it/it/archivio/217650 [2] Banca d’Italia: Economie regionali, l’economia della Sicilia, n. 43, novembre 2018 [3] https://ilmanifesto.it/la-trappola-del-debito-e-lavanzo-primario/ [4] Umberto Santino: Mafie e globalizzazione (DI Girolamo, 2007) (*) Una versione leggermente diversa di questo articolo è stata pubblicata nel periodico Progetto Lavoro dell'area di minoranza CGIL Democrazia e lavoro, in data 25 giugno 2019
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