CONTE 2: IL TRIONFO DI KING KONG
20/9/2019
di Marco Palazzotto
La recente crisi governativa causata, ingenuamente, da Matteo Salvini ha generato l’effetto, come ormai succede da vari lustri, di ricompattare forze politiche che prima del loro apparentamento si dichiaravano nemiche. Questi scenari non dovrebbero più sorprendere, considerato come si sviluppa la rappresentanza democratica da oltre trent’anni. Siamo abituati allo schema secondo il quale esiste un nemico da combattere con un governo di “unità nazionale” che coinvolga tutte le forze “progressiste”. Il nemico di turno è Silvio Berlusconi, lo spread, Matteo Salvini, ecc. Succede a volte, come per il governo tecnico Monti, che centro destra e centro sinistra si uniscano “per il bene del Paese”. Esistono infine provvedimenti votati da tutto il Parlamento (e passati in sordina) quali le ratifiche dei trattati internazionali – come quello di Lisbona – o il pareggio di bilancio in Costituzione. Oggi la destra populista e monarchica del M5S insieme alla destra liberale del PD rappresentano il King Kong che deve combattere il Godzilla Lega, per usare una similitudine offerta dall’amico Alfonso Geraci [1]. In questo contesto si inserisce una sinistra che in Parlamento è costituita, ahimè, dal gruppo di Liberi e Uguali. Appare paradossale la scelta dei parlamentari, con al seguito una gruppo di militanti che li sostengono, di appoggiare ed entrare in un governo apertamente lontano da qualunque principio socialista. Non solo per la storia delle forze che lo compongono – che già da sola dovrebbe far scappare chiunque militi in un partito o movimento che si dichiari vicino ai lavoratori – ma anche per il programma presentato con il giuramento al Quirinale. Andiamo ad analizzare alcuni nodi importanti del programma e del recente dibattito, affinché si possano trarre alcune conclusioni sulla natura destroide del “Conte 2”. Sul trasformismo e la linea reazionaria di molti componenti del M5S direi che non ci sarebbe molto da aggiungere. Basterebbe fare mente locale su cosa hanno proposto e votato insieme alla Lega negli ultimi mesi (solo i decreti sicurezza dovrebbero mettere fine alla discussione). Trattiamo i temi più dibattuti nelle ultime settimane. I due decreti sicurezza, voluti fortemente da Salvini per combattere le ONG e per fare pressione sugli altri paesi dell’UE, non verranno cancellati, come dichiarato dagli alleati di maggioranza, ma saranno modificati in base alle prescrizioni formulate dal Presidente della Repubblica. Questo dovrebbe far saltare il banco soprattutto da parte di quei parlamentari che hanno sostenuto e sostengono missioni umanitarie nel Mediterraneo. Altro nodo cruciale riguarda due delle peggiori misure della storia politica italiana degli ultimi decenni: jobs acte legge Fornero, di cui non si fa menzione nelle linee programmatiche dell’esecutivo e che sono stati pensati, sostenuti e votati dal PD (per onor di cronaca la legge Fornero è stata formulata da un governo cosiddetto tecnico, comunque sostenuto dal PD). Il progetto governativo prevede poi nuovi investimenti nel welfare; nell’edilizia residenziale pubblica; nell’ambiente: un Green New Deal come lo hanno chiamato. Tutte misure che si scontrano però con i lacci e lacciuoli posti dai vincoli di bilancio pubblico che le attuali forze governative hanno per anni condiviso. Allora si propone di recuperare risorse per i suddetti investimenti grazie alla maggiore flessibilità che le istituzioni europee potrebbero concedere al nostro paese, senza comunque sforare, sia mai, il tetto del 3% nel rapporto deficit/PIL previsto dai parametri di Maastricht e dalle successive disposizioni che inaspriscono queste regole (esempio Fiscal Compact). Come faceva notare qualche giorno fa l’economista Emiliano Brancaccio in questa intervista (http://www.emilianobrancaccio.it/2019/09/06/i-conti-non-tornano-2/) la flessibilità che potrebbe essere concessa non supererebbe, per essere ottimisti, i 10/12 miliardi. Questi però sarebbero insufficienti per evitare le clausole di salvaguardia che prevedono l’aumento dell’IVA. Infatti la prossima legge di bilancio dovrà varare più di 22 miliardi di maggiori tagli per evitare lo scongiurato aumento dell’imposta sui consumi. Facendo i conti della serva almeno 10 miliardi dovrebbero arrivare da aumenti di entrate o tagli di spesa (al netto della flessibilità). Si prevede che entrate nuove non ne arriveranno, semmai qualche risparmio sarà ottenuto dai minori interessi sul debito pubblico grazie alla diminuzione dello spread delle ultime settimane e dalle minori richieste su quota 100 e reddito di cittadinanza. Insomma serviranno, se vogliamo essere ottimisti, almeno 8 miliardi da prelevare dalle tasche degli italiani o con aumenti di imposte (non credo, sarebbe un suicidio politico) o con maggiori tagli di spesa pubblica (cioè meno servizi pubblici). Stesse considerazioni potrebbero essere fatte per i 4/5 miliardi che servirebbero per la diminuzione del cuneo fiscale, cavallo di battaglia del PD e misura applicata nel precedente governo Prodi con risultati deludenti. Infatti, questa disposizione – sebbene sia ancora da verificare che quota sarà destinata ai lavoratori e che quota alle imprese – darebbe maggiore respiro alle buste paghe, ma graverebbe anche sulla collettività, non essendo redistributiva tra quote profitti e quote salari. Essendo a carico del bilancio dello Stato si tradurrebbe in meno servizi pubblici per 4/5 miliardi. Il tema ambientale è il punto che forse sfiora di più il ridicolo. Il M5S ha costruito il consenso elettorale in questi anni sulla lotta contro le grandi opere, reputate inutili e dannose dal punto di vista ambientale, ma che ha di fatto protetto durante il governo giallo-verde e che dovrà appoggiare anche oggi con un alleato come il PD da sempre a favore della Torino-Lione e delle altre grandi opere (pensate soprattutto per il Nord). L’unico elemento degno di nota di questa avventura politica parrebbe quello della cosiddetta golden rule,che prevede un aumento di indebitamento pubblico solo per le spese in conto capitale per infrastrutture e “capitale umano”, mentre le spese correnti rientrerebbero nei paletti dei patti di stabilità. La proposta ovviamente va inserita in un contesto di governo europeo e pertanto potrà essere applicata solo se decisa con il benestare dei paesi più contrari alle politiche fiscali espansive, Germania in primis. Proprio in queste settimane si discute della frenata dell’economia tedesca e di un nuovo paradigma che contempli grandi investimenti in disavanzo, per far ripartire “la locomotiva d’Europa”. Una sospensione delle politiche di austerità sarebbe, in tal caso, calata dall’alto, proveniente da altri contesti politici, comunque estranea da spinte sociali. Eppure perfino un’istituzione mainstream come la BCE di Mario Draghi, insieme al FMI, ormai critica le politiche economiche dei “conti in ordine”, chiedendo invece politiche fiscali espansive da parte dei governi europei. Cade quindi il monolite teorico secondo il quale una banca centrale può controllare il tasso di inflazione attraverso le politiche monetarie dei tassi e degli acquisti dei titoli sovrani. Il nuovo ministro italiano Gualtieri ha plaudito alle ultime manovre decise da Mario Draghi (ormai in via di uscita). Però tanta acqua per il cavallo che si rifiuta di bere significa che bisogna muovere altre leve oltre a quelle monetarie. Per concludere, da questo quadro non può che emergere una situazione desolante per quanto riguarda il futuro delle classi sociali meno abbienti. Non sarà certo il governo PD-M5S a cambiare il corso delle politiche che hanno massacrato lavoratori e lavoratici negli ultimi 40 anni. Non sarà un po’ più di umanitarismo a nascondere la vera natura dei partiti di governo. Una sinistra che si ritiene tale e che combatte i principi liberali (in tutte le sue varianti: neo, ordo, ecc.) dovrebbe fare opposizione critica e dura, sebbene si sia scongiurato, per ora, il pericolo del governo fascio-populista. Ricordiamo che la barbarie, il razzismo, l’individualismo, l’odio sono fattori che crescono a causa delle divisioni, precarizzazioni, umiliazioni conseguenti ad un modo di plasmare la società che ha voluto il PD nelle sue varie nomenclature (PDS-DS-PD). La destra populista, razzista e astiosa verso i più deboli ha solo convogliato dei sentimenti già formatisi, indirizzandoli verso il nemico più facile da colpire. Nemico che non è il nostro vicino (quale che sia il suo colore di pelle, sesso, orientamento sessuale), ma è solo e sempre chi si appropria del tempo dei lavoratori per produrre profitti. 1 La battuta si riferisce al celebre film del 1962 Il trionfo di King Kong, diretto da Ishirō Honda, in cui l’umanità sceglie di non porre ostacoli allo scontro tra King Kong – animale pur sempre pensante, ma comunque pericoloso e assassino – e Godzilla, microcefalo dedito alla devastazione.
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