di Marco Palazzotto
In queste settimane si stanno svolgendo i Congressi delle strutture della CGIL, che si concluderanno con il Congresso nazionale del 22-25 gennaio 2019. Sugli organi di stampa e i social media si sta parlando molto della candidatura di Maurizio Landini, proposto da Susanna Camusso a guidare il sindacato più grande d’Italia per i prossimi 4 anni. Questa candidatura, nelle modalità e nei tempi in cui è stata presentata, ha creato un dibattito molto intenso all’interno dell’organizzazione. Un altro contendente dovrebbe essere Vincenzo Colla, il cui nome non è stato ancora ufficializzato, almeno nelle sedi statutarie opportune. A prescindere dal nome che verrà scelto per la guida della CGIL, ciò che ci interessa analizzare sono i contenuti politiciesplicitati nei documenti programmatici e dai dirigenti durante i momenti collegiali, come quello attuale. Oggi la CGIL è un grande sindacato di massa, ultimo baluardo in Italia della lotta di classe, al cui interno ancora sussiste un impianto di regole formali ed informali orientato verso il pluralismo e la democrazia interna. Per questo è importante, per chi si pone come obiettivo la trasformazione della società in senso egualitario, militare in un’organizzazione come questa. Nonostante tali caratteristiche, non mancano criticità nelle scelte politiche degli ultimi 30 anni. Oggi la CGIL è ancora un soggetto con cui qualunque formazione governativa deve fare i conti prima di adottare provvedimenti che possano contrastare gli interessi delle classi lavoratrici, ma ha comunque subito – come tutte le formazioni politiche e sociali che sono nate con la seconda Repubblica – l’influenza negativa dell’ideologia neoliberale. La crisi identitaria dei partiti e sindacati di sinistra si può far risalire alla fine degli anni ’70. È il periodo delle lotte del ’77, che si concludono in Italia e nel mondo con la cosiddetta “controrivoluzione neoliberale”. Il capitalismo, dopo la crisi economica e l’impassedella fase keynesiana, abbraccia una nuova teoria, quella del monetarismo della “scuola di Chicago”, il cui esponente principale fu il Premio Nobel Milton Friedman. Tale fase durerà pochi anni. In Italia nel 1981 avviene il divorzio tra Banca d’Italia e Ministero del Tesoro. Da quel momento la Banca d’Italia non è più stata tenuta a garantire il collocamento integrale dei titoli del debito pubblico; ciò provocherà un innalzamento della spesa per interessi passivi, mentre si avvierà un lungo periodo di austerità con diminuzione in conto capitale e in conto corrente della spesa pubblica italiana (che tradotto significa meno welfare). Nel 1984 Craxi taglia la scala mobile di 4 punti, nonostante la CGIL reagisca mobilitandosi. Sono gli anni della “Reaganomics”, ovvero l’era Reagan-Thatcher: maggiore intervento dello Stato nell’economia con riduzione della spesa per servizi pubblici, liberalizzazione di oligopoli pubblici, aumento della spesa militare, aumento della spesa per interessi passivi. Il sistema economico e politico dell’URSS va in crisi, perde la guerra fredda e ci si avvia verso la fine del socialismo reale. La caduta del muro di Berlino segna anche la fine dell’esperienza comunista in Europa e in Italia. Nel 1991 il PCI si scioglierà per confluire in larga parte nel PDS. Nel 1991 Bruno Trentin scioglierà la corrente comunista dentro la CGIL e introdurrà le aree programmatiche. Tangentopoli, inoltre, metterà fine al vecchio assetto partitico della prima Repubblica. Inizierà una fase ancora più aspra per le classi lavoratrici, anche a causa delle posizioni ‘riformiste’ che assumeranno le formazioni di sinistra. Nel 1992-1993, l’allora governo Amato chiederà ai sindacati sacrifici per evitare una crisi inflazionistica anche a causa degli attacchi speculativi che faranno crollare lo SME. Viene firmato l’accordo anche dalla CGIL per la fine della scala mobile e il tasso di inflazione viene programmato a livello governativo. In seguito alla decisione di firmare tali accordi Bruno Trentin si dimetterà da segretario della CGIL. Nel 1996, con la vittoria elettorale del centro-sinistra, verranno chiesti ai lavoratori – grazie anche all’appoggio dei sindacati – ulteriori sacrifici per rispettare i parametri di Maastricht. Ci avviamo verso l’introduzione della moneta unica europea. Negli anni successivi la CGIL – benché abbia sempre dichiarato e dimostrato la propria autonomia dai partiti – ha comunque avviato un processo speculare a quello delle formazioni di centro-sinistra nate dopo la svolta della Bolognina. Un processo che ha portato soggetti politici e sindacali a superare le ideologie del ’900, per abbracciare una narrazione che tende comunque ad utilizzare, nella sua interpretazione della realtà, categorie del pensiero neoliberale. Così arriviamo a questo congresso 2018/2019, i cui dibattiti sono ricchi di spunti di riflessione per capire come si è evoluto il sindacato. Nei discorsi dei dirigenti si percepisce il lavoro di ricostruzione, anche semantica, che si è sviluppato negli ultimi 30 anni. Il termine “ideologia” ormai viene utilizzato con accezione negativa (come fanno ad esempio tutti i partiti che oggi siedono in parlamento), per essere superato dai più moderni “idea” o “visione”. La parola socialismo è bandita. Le lotte per il controllo dei mezzi di produzione sono diventate lotte per i diritti. Le classi sociali sono sparite. Il conflitto politico è diventato concertazione sociale. Il lavoro, nel capitalismo, quale attività eterodiretta di creazione di valore per l’accumulazione, è diventato un diritto. Il profitto, quale espressione monetaria della parte del plusvalore che il capitalista estrae dal lavoro, e che rappresenta lo sfruttamento, è diventato misura dello sviluppo economico da tutelare se esiste un’equa redistribuzione. La lotta al patriarcato è diventata la ricerca delle pari opportunità. Come ha evidenziato lo studioso palermitano Umberto Santino durante il suo intervento all’ultimo Congresso della Camera del lavoro di Palermo, svoltosi qualche settimana fa, la CGIL – riferendosi al pensiero delle lotte del ’900 – non deve “buttare il bambino con l’acqua sporca”, ma tentare di salvare il bambino, ovvero la parte buona del paradigma socialista, magari rinnovato, aggiornato, tenendo presenti i cambiamenti avvenuti nel capitalismo del nuovo millennio. Nessuna soggettività politica può escludere a priori la componente ideologica del proprio agire. E il capitalismo non è cambiato nella sua struttura sociale di fondo. Negare che esista una rappresentazione della società che orienti un determinato gruppo sociale a difendere i propri interessi (come quello delle classi lavoratrici), rientra nella narrazione utilizzata dall’ideologia dominante. In questo modo le formazioni politiche, anche quelle di centro-sinistra, tendono ad annullare qualsivoglia interpretazione socialista della realtà, tacciandola di vetero-dogmatismo. La scommessa per il futuro della CGIL sarà quella di rendersi davvero autonoma dal pensiero convenzionale, trovando una propria visione della realtà e una sua proposta politica (senza rinnegare il proprio passato) che faccia egemonia. Speriamo che il prossimo segretario, che uscirà dal congresso di gennaio, rispolveri e ravvivi letture della realtà adeguate a superare la barbarie che caratterizza il nostro tempo. Auspico una segreteria che sappia tenere insieme le varie anime del sindacato, rispettando e garantendo i pluralismi. Un gruppo dirigente che ritrovi e rinnovi una cultura socialista. Intanto godiamoci i Congressi e viva la CGIL.
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