COM'È PROFONDO IL SUD
12/1/2016
di Marco Palazzotto 12 gennaio 2016 Lo scorso 21 dicembre ha fatto molto discutere – come succede ogni anno – la classifica stilata da Il Sole 24 Ore sulla qualità di vita nelle province italiane (qui il riferimento). Come sempre il sud ne esce con le ossa rotte. Regolarmente a Natale si levano i cori del qualunquismo italiota, tra quelli che: “quanto fa schifo il sud”, “la palla al piede del sud”, “l’inefficienza, il clientelismo e la mafia”. Ci sono poi i più vittimisti - di solito i meridionali che si reputano maggiormente evoluti rispetto al resto dei loro conterranei (insomma, gli elettori dei partiti al governo) - : “peccato perché nel sud c’è il sole e i beni culturali….se solo si valorizzasse il turismo”; “i politici meridionali sono tutti corrotti…andate in galera”; “la colpa è della spesa clientelare”; “togliamo lo statuto autonomo alla Sicilia”; “il debito pubblico è il problema da risolvere”. Insomma i luoghi comuni la fanno da padrone. Peccato che i giornali e telegiornali guardino il dito e non la luna (in realtà ci sono interessi da difendere e consenso da creare attorno a spauracchi che tolgono responsabilità proprio alle classi sociali che hanno creato il problema). Sarà perché sono diffidente e avvezzo al pregiudizio, soprattutto nei confronti dei quotidiani di proprietà privata (a maggior ragione se di una sola categoria sociale, qual è quella degli industriali, concentrati soprattutto nel nord del paese), che sono andato a cercare altre fonti che analizzino, oggi, la situazione economica del nostro paese regione per regione. Già in questo articolo avevo parlato di questione meridionale. Una recente intervista di Emiliano Brancaccio (qui il riferimento), sempre molto attento alle dinamiche del mezzogiorno, mi ha condotto all’ultimo studio della Banca d’Italia sulle economie regionali, pubblicato appena lo scorso 3 dicembre (qui lo studio in pdf). Questo scritto è foriero di una serie di riflessioni. Le prime che mi vengono in mente fanno riferimento al ruolo degli operatori privati e delle istituzioni pubbliche, attivi rispettivamente in ambito industriale e di politica economica, che in teoria dovrebbero indirizzare lo sviluppo dell’Italia verso una diminuzione del divario ormai secolare tra i “due paesi dentro un paese”. Infatti, supponendo la veridicità di molti luoghi comuni sul divario Nord-Sud, risulta lapalissiano che i governi succedutisi durante l’ultimo trentennio non hanno messo in atto alcuno strumento di politica economica tendente ad alleviare lo squilibrio in argomento. Lo stesso vale per il settore privato, compresi i proprietari del quotidiano di cui in premessa. Guardate ad esempio gli indicatori di investimento per aree regionali (pag. 10 dello studio di BdI): Gli imprenditori potrebbero ribattere che gli investimenti devono essere stimolati da fattori che permettano di remunerare il capitale investito in aree molto svantaggiate, come quella del sud e isole. Analizziamo allora come si è comportato il governo italiano per ridurre i divari e stimolare consumi e investimenti di famiglie e imprese del (e nel) meridione. La figura 1.3.1 di pag. 16 dello studio di Bankitalia dimostra che il famoso bonus 80 € è stato maggiormente utilizzato nelle aree del centro nord in quanto più popolate da forza lavoro occupata con contratto di lavoro subordinato. L’andamento della spesa primaria nel periodo 2009-2013 (pag. 22) dimostra che il meridione ha contribuito maggiormente al risanamento dei conti pubblici voluto dalle istituzioni europee nell’ambito della politica di austerity che ci ha coinvolti dallo scoppio della crisi del 2008. A causa della diminuzione di risorse pubbliche destinate al sud, soprattutto da parte delle amministrazioni centrali, si è creato un effetto paradossale, per cui il reddito delle famiglie del sud subisce una incidenza del prelievo fiscale maggiore rispetto al reddito delle famiglie del centro nord (pag. 28-29). Dalla distribuzione delle risorse dei programmi operativi 2014-2020, i famosi PON e POR, sembra di assistere a una controtendenza, con una destinazione di circa 23.500 mln di € su un totale di 31.119 verso le regioni meno sviluppate e quelle chiamate di “transizione” (pag. 67). Ovviamente stiamo parlando di fondi europei per i quali vige un iter burocratico molto complesso (dal cofinanziamento degli enti locali e regionali, alla difficoltà di reperimento di progetti) che spesso - come è successo nelle regioni del sud per la programmazione 2007-2013 – ha costretto gli enti gestori alla restituzione di buona parte delle somme erogate.
Lo studio della Banca d’Italia, insieme all’ultimo rapporto Svimez, non fa che dimostrare l’indifferenza della classe dirigente italiana nei confronti del processo inarrestabile che Brancaccio - riprendendo l’Augusto Graziani di ieri e il Paul Krugman di oggi - ha chiamato “mezzogiornificazione”, riguardante le aree periferiche del continente (e a maggior ragione il nostro Mezzogiorno storicamente definito). Questo modello fortemente asimmetrico, con un centro-nord più industrializzato e sviluppato ed un sud al quale applicare politiche pro-cicliche (l’austerità in recessione) continua a mortificare e peggiorare la situazione delle aree del sud come ha ampiamente dimostrato il caso italiano post-unitario e il caso greco in Europa.
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