• HOME
  • RUBRICHE
    • CHE COS’È QUESTA CRISI? >
      • LE TESSERE IDEOLOGICHE DEL DOMIN(I)O
      • SINDACATI MODERNI?
      • DOVE VA L'EUROPA? INTERVISTA A FRANCESCO SARACENO
      • NISIDA E’ UN’ISOLA, MA NON SOLO
      • EMERGENZA, PROCESSO ‘DA REMOTO’ E CONVULSIONI DEL SISTEMA PENALE
      • VIRUS DIETRO LE SBARRE
      • ITALIA VS. RESTO DEL MONDO
      • CONTRIBUTO DEMOCRAZIA E LAVORO PALERMO
      • BISOGNA CHE TUTTO CAMBI…?
      • UOMINI ADULTI E RAGAZZINI
      • NON ESISTONO PASTI GRATIS
      • COMUNICATO SUI MILITANTI CASA DEL POPOLO PALERMO
      • OLTRE IL "BREVEPERIODISMO". INTERVISTA A GUGLIELMO FORGES DAVANZATI
      • CONTE 2: IL TRIONFO DI KING KONG
      • CAROLA È ANTIGONE?
      • DALLA QUESTIONE MERIDIONALE ALL'AUTONOMIA DIFFERENZIATA
      • LUNGA E IMPERVIA È LA STRADA
      • CHI LAVORA E' SOTTO ATTACCO
      • SE IL FUOCO DELLA RIVOLUZIONE
      • CONGRESSI CGIL: OLTRE IL PENSIERO CONVENZIONALE
      • DOPO IL CONSENSO: L'EUROPA TERRENO DI SCONTRO FRA PARADIGMI
      • INDIETRO NON SI TORNA… PURTROPPO
      • SOVRANISMO, MALATTIA INFANTILE DELLA NUOVA SINISTRA?
      • DISAGIO SCOLASTICO
      • DISOCCUPATI D’ITALIA
      • LA CRISI DELLE BANCHE E' FINITA?
      • UN'EUROPA DA CONQUISTARE
      • ROUSSEAU, IL CONFLITTO E LA POLITICA
      • FARE LA SARTINA: UN MESTIERE PERICOLOSO
      • DOPO MACERATA
      • UNA BUONA SCUSA PER VOTARE
      • 41bis OLTRE I DOGMI
      • UN MONDO CAPOVOLTO: IN CRESCITA LE DISUGUAGLIANZE
      • PERCHÈ DOBBIAMO PRENDERE QUEI PICCIONI
      • CONTRO LE ELEZIONI
      • NON È FLESSIBILITÀ, È CONFLITTO
      • UN ESEMPIO DI BUONE PRATICHE
      • TALLONARE IL DENARO
      • 50 SFUMATURE DI EUROFOBIA
      • DALLA DELEGA ALLA CONTESA
      • SCUSI, DOV’È L’USCITA?
      • IL 25 APRILE A VENIRE
      • IL FUTURO DEL PASSATO
      • ANTI EURO: LI CHIAMAVANO TRINITA'
      • COSA SUCCEDE A PALERMO?
      • HOTSPOT A PALERMO
      • DIVERSE VELOCITÀ MA NESSUNA RETROMARCIA
      • L’8 MARZO: 24 ORE DI SCIOPERO, NONUNADIMENO
      • TEMPESTA PERFETTA. LA CAMPAGNA NOI RESTIAMO PUBBLICA UN VOLUME SULLA CRISI
      • IL DUBBIO ARAMAICO DI UNA SINISTRA INTROVABILE
      • ASPETTI POLITICI DELLA PRECARIZZAZIONE
      • ECONOMIA MALATA, TEORIA CONVALESCENTE
      • MA GLI OPERAI VOTANO?
      • SI PUO' FARE: LA VITTORIA DEL NO
      • UN NO NON BASTA
      • LE (VERE) RAGIONI DEL SI
      • CAMBIARE (IL) LAVORO
      • COME TUTTI
      • UNA FATICA SEMPRE PIU' INUTILE
      • CONTINUAVANO A CHIAMARLA GLOBALIZZAZIONE
      • LICENZIAMENTI ALMAVIVA
      • ULTIMO TANGO A BERLINO?
      • BAIL-IN COI LUPI
      • COM'È PROFONDO IL SUD
      • I TASSI DELLA FED NON VANNO IN LETARGO
      • FOLLI E TESTARDI
      • TTIP: L'IMPERO COLPISCE ANCORA
      • CONFINDUSTRIA: GLI OPERAI GUADAGNANO TROPPO
      • GLI ANNI TRENTA PROSSIMI VENTURI
      • UN LAVORO DI CHE GENERE?
      • IL MALE OSCURO (MA NON TROPPO) DEL CAPITALE
      • C'E' UNA LOGICA IN QUESTA FOLLIA
      • BENTORNATI AL SUD
      • MOSTRI DI GUERRA DIRIGONO LE SCUOLE
      • QUELL’OSCURO OGGETTO DELLO SFRUTTAMENTO
      • FINCANTIERI: RIEN NE VA PLUS
      • L'INUTILE FATICA DI ESSERE SE STESSI
      • LAVORO, REDDITO, GENERE: CHE DIBATTITO SIA...
      • RENZI E IL DEGRADO DELLA SCUOLA PUBBLICA
      • SVENDESI INDUSTRIA ITALIA
      • LE CONSEGUENZE ECONOMICHE DI MATTEO RENZI
      • NASCE PALERMOGRAD! LUNGA VITA A PALERMOGRAD! >
        • DONAZIONI
    • LONTANI E VICINI >
      • DOPO LE LACRIME. MARADONA E LE FEMMINE
      • LUNGA VITA ALLA SIGNORA (DI FERRO)
      • DOBBIAMO POTER DISCUTERE DI TUTTO
      • DEATH RACE
      • ADDIO A MANOLIS GLEZOS, 1922–2020
      • IL FASCINO DISCRETO DEL MODERATISMO
      • MACCHE' OXFORD, SIAMO INGLESI
      • LO STRANO CASO DI MR BREXIT E DR REMAIN
      • LO SPETTRO DELLA SIGNORA THATCHER
      • IL DECRETO SALVINI E LA LOTTA DI CLASSE
      • ADDAVENÌ JEREMY CORBYN
      • LONTANO DA DIO, VICINO AL FMI
      • LE ROSE CHE SYRIZA NON COLSE
      • DOCCIA SCOZZESE PER I TORY?
      • L’INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DEL LABOUR
      • ATTACCO SU TRE FRONTI: LA NUOVA RECINZIONE
      • MAROCCHINI ALLA STAZIONE
      • THE MEANING OF THERESA MAY
      • BERLINO 2016: ANOTHER BRICK IN THE WALL?
      • BREXIT: USCITA OBBLIGATORIA A DESTRA?
      • NO GRAZIE, IL BREXIT MI RENDE NERVOSO
      • BREXITHEART - CUORE IMPAVIDO
      • UN BLUESMAN DELL’INTELLETTO
      • UNA VITTORIA INUTILE?
      • CARO YANIS, TI SCRIVO..
      • ESULI A PALERMO
      • ARALDI CON LE FORBICI
      • TU CHIAMALE SE VUOI, ILLUSIONI
      • GRECIA: LA LOTTA CONTINUA SE C'E' IL PIANO B
      • GRECIA: LA LOTTA DEVE CONTINUARE
      • DALLA SCOZIA CON FURORE
      • NIENTE TAGLI, SIAMO INGLESI
      • CHI NON HA BISOGNO DI ATENE?
      • SO' BONI, SO' GRECI. LA VITTORIA DI SYRIZA E DEL SUO LEADER
    • IN TEORIA >
      • RITORNARE A MARX parte II
      • RITORNARE A MARX
      • LA GRANDE INVERSIONE: DALLA VALORIZZAZIONE ALLA FINANZIARIZZAZIONE (parte 2^)
      • LA GRANDE INVERSIONE: DALLA VALORIZZAZIONE ALLA FINANZIARIZZAZIONE
      • CONFLITTO CRISI INCERTEZZA
      • DAGLI SCIOPERI DELLE DONNE A UN NUOVO MOVIMENTO DI CLASSE: LA TERZA ONDATA FEMMINISTA
      • ANCORA SU DAVID HARVEY, MARX E LA FOLLIA DEL CAPITALE
      • DAVID HARVEY E LA FOLLIA DEL CAPITALE
      • A PARTIRE DA SIMONE WEIL
      • IL ROSSO, IL ROSA E IL VERDE / 2
      • IL ROSSO, IL ROSA E IL VERDE
      • UNA CRISI, TANTE TEORIE
      • MA IL SUO LAVORO È VIVO
      • POSSO ENTRARE?
      • A VOLTE RITORNA. Il dibattito su reddito di cittadinanza e simili, prima della crisi.
      • L’ ORIENTE È L’ORIENTE E L’OCCIDENTE È L’OCCIDENTE, E GIAMMAI I DUE SI INCONTRERANNO ?
      • IL SEME DEL DUBBIO
      • RICOMINCIARE DA KEYNES?
      • DE-ROMANTICIZZARE IL LAVORO (DOMESTICO E NON)
      • CAPITALISMO CONCRETO, FEMONAZIONALISMO, FEMOCRAZIA
      • DAL FEMMINISMO DELL’ÉLITE ALLE LOTTE DI CLASSE NELLA RIPRODUZIONE
      • KARL KORSCH
      • INTRODUZIONE AL «CAPITALE»
      • REDDITO CONTRO LAVORO? NO, GRAZIE
      • PRIMA DI ANDARE OLTRE, LEGGIAMOLO
      • COM’È BORGHESE, QUESTA RIVOLUZIONE…
      • COME L’OCCIDENTE È ANDATO A COMANDARE
      • LO STRANO CASO DEL DOTT ADAM E DI MR. SMITH
      • L'ULTIMO MARX E NOI
      • IL CASO E LA FILOSOFIA
      • DAL PENSIERO DELLA GUERRA FREDDA AL FEMMINISMO INTEGRATO
      • STREGHE, CASALINGHE E CAPITALE
      • 2016: ODISSEA SULLA TERRA
      • DOPO IL SOCIAL-LIBERISMO
      • QUANTO È LUNGO UN SECOLO?
      • BYE-BYE LENIN
      • L'OMBRA LUNGA DEL MILITARISMO
      • NON ESISTONO MEZZOGIORNIFICAZIONI
      • EUROPA E "MEZZOGIORNI". Un intervento di Joseph Halevi
      • PIANIFICARE NON BASTA?
      • IL PRANZO AL SACCO DI MARIO MINEO
      • MARIO MINEO E IL MODO DI PRODUZIONE STATUALE
      • LEGGERE BETTELHEIM NEL 2015
      • CHARLES BETTELHEIM: L'URSS ERA SOCIALISTA?
      • E LA CLASSE RESTO' A GUARDARE
      • LEI NON SA CHI SIAMO NOI
      • RISCOPRIRE IL VALORE-LAVORO
      • FUNERALE GLOBALE
      • CLAUDIO NAPOLEONI: SMITH, RICARDO, MARX - Prima Parte
      • CLAUDIO NAPOLEONI: SMITH, RICARDO, MARX - Seconda Parte
      • SRAFFA TRA TEORIA ECONOMICA E CULTURA EUROPEA
    • IL FRONTE CULTURALE >
      • PER UNA NUOVA LETTERATURA
      • NON NASCONDERSI, NON PROTEGGERSI
      • RIBELLE, MANCINO, ERETICO
      • LIBRI DELL'ANNO 2019
      • DESTINAZIONE APOCALISSE
      • UNO DI NOI?
      • NUOVO IMPERO, STESSO BARDO?
      • SPECCHIO AMBIGUO
      • IL GESTO E IL SISTEMA
      • CONTRO LA MACCHINA DELLA NARRAZIONE
      • NIGHT CLUB INFERNO (NUOVA GESTIONE)
      • E INFINE USCIMMO A RIVEDERCI FUORI FACEBOOK
      • TUTTO QUANTO FA (ANTI)ROMANZO
      • DIO NON RISPONDE, E NEMMENO LA STORIA CI SENTE TROPPO BENE
      • STORIE DI LOTTA QUOTIDIANA
      • IN RICORDO DI SARA DI PASQUALE
      • PICCOLE CITTÀ NON SCHERZANO
      • LIBRI DELL'ANNO 2018
      • ROBESPIERRE CONTRO L'ANGLOFILO
      • DAGHELA INDIETRO UN PASSO
      • L’AFRICA DI MANGANELLI
      • UNA RIVOLUZIONE BORGHESE?
      • IL BUON PADRE DI FAMIGLIA
      • L’ARTE DELLA MATEMATICA
      • PUNK A PALERMO
      • SGUARDI SULLA MORTE E SULLA VITA
      • MA NON SAPPIAMO QUANDO
      • COSE TROPPO VICINE PER ESSERE VISTE
      • IL RACCONTO CHE VISSE DUE VOLTE
      • UN INCUBO ASSURDO E INESORABILE
      • ETICA E/È LETTERATURA
      • ADOLESCENZE FRAGILI NELL’EPOCA DELLA BUONA SCUOLA
      • ABBASTANZA NON E' PIU' ABBASTANZA
      • ÉLITE IN RIVOLTA
      • CHI DI MOSTRA FERISCE
      • LIBRI DELL'ANNO 2017
      • PRO O CONTRO LA SCUOLA PER TUTTI
      • "NON INCOLPATE NESSUNO", MA I REGISTI SI
      • STENDHAL RAZZISTA AL CONTRARIO
      • IL TEMPO INSEGUE LE SUE VIOLE
      • L’UTOPIA DI SCHULZ
      • ADOLESCENZE FRAGILI
      • IL MARCHESE DI VENEZIA
      • “ANNORBÒ TOTÒ”
      • INVISIBILI MA NON TROPPO
      • UOMINI E LUPI
      • “MARIELLA SE N’È DOVUTA SCAPPARE”
      • LA GIUSTA DISTANZA
      • ROLAND IN CAMPO
      • COME SOLO UN AMANTE FA
      • CERTE NOTTI
      • VITA POLITICA DI GIULIANA FERRI
      • LIBRI DELL’ANNO 2016
      • TROPPO BARDO PER ESSERE VERO
      • LA BARBARIE PROSSIMA VENTURA
      • DANIELE CONTRO I BUROSAURI?
      • SWEET BLACK ANGEL
      • DODICI PICCOLI INDIANI (D'AMERICA)
      • VELTRONI VA A HOLLYWOOD?
      • RESISTENZA: FINE DI UN'ANOMALIA?
      • POVERI E PICCOLI
      • SENZA RUOLI, SENZA DESTINI
      • REQUIEM PER IL TEMPO LIBERO
      • DICE CH'ERA UN BELL'UOMO
      • GLI OCCHI, LE MANI, LA BOCCA
      • LA FATICA DI ESSERE BUONI
      • BORGHESIA MAFIOSA E POSTFORDISTA
      • CHI PARTE DA SE' FA PER TRE
      • SCUOLA E GENERE. UN DIBATTITO A PALERMO
      • UN CECCHINO DISARMATO
      • FESSO, FETENTE, FORCAIOLO E FASCISTA?
      • GRAFFITI, POETICHE DELLA RIVOLTA
      • NEOLIBERISTI SU MARTE
      • L'ANIMA DEGLI ANIMALI
      • GATTOPARDI BORGHESI
      • LA VERITA', SE CI SI METTE TUTTI INSIEME
      • DENTRO E CONTRO IL POST-MODERNO
      • BOOM BUST BOOM (English version)
      • BOOM BUST BOOM
      • A QUALCUNO PIACE CALDO (ANCHE AI LIBERAL)
      • PADRI E PADRONI
      • GESTIONE DEI CONFLITTI NELLA CULTURA GRECA
      • CRITICATE, CRITICATE, QUALCOSA RESTERA'
      • LA STORIA DELL'8 MARZO
    • SI RIPARLA DELL’UOMO OMBRA >
      • SPIE, BUROCRATI ED EZISTENZIALISTI
      • DOPO L'UOMO OMBRA
      • NON HO L'ETA'
      • UN SACCO DI ASTRONAVI IN QUESTA LIBRERIA
      • VIENE AVANTI IL CRETINO
      • IL CAPPELLO NOIR
      • NON CAPISCO PERCHÉ TUTTI QUANTI…
      • UNA VITA MERAVIGLIOSA
      • MA UN GIORNO, CARA STELLA
      • LA LEZIONE È FINITA
      • MARY PER SEMPRE
      • SOLO PER I TUOI OCCHI
      • PERICOLO GIALLO
    • SEMBRA UN SECOLO >
      • I "DEVOTI" E GLI "SFOLLATI": UNA STORIA INTERNAZIONALE DELLE BRIGATE INTERNAZIONALI
      • GIUSEPPE, ANITA E I COLORADOS
      • QUESTA STORIA NON PUO' FINIRE
      • ACCOGLIENZA DI IERI
      • VIANDANTI NEL NULLA
      • UNO STATO CHE NON ERA UN MOLOCH
      • VIOLENTI DESIDERI
      • LA RIVOLUZIONE RUSSA IN ITALIA
      • L'INFIDA CARTAGO E LA PERFIDA ALBIONE
      • PIÙ CHE UN ROMANZO LA VITA MIA
      • PORTELLA DELLA GINESTRA TRA STORIA E MEMORIA.
      • LA GUERRA CHE DURA SEI GIORNI E CINQUANT'ANNI
      • PERCHÉ QUI LA GENTE CREDE IN DIO
      • 2001: PALERMO ANNO ZETA
      • TOGLIATTI E IL COMUNISMO DEL ’900
      • MALCOM X DALL'ISLAM ALL'ANTICAPITALISMO
      • INGRAO PRIMA DI TANGENTOPOLI
    • IL ROSSO E IL VERDE >
      • MANGIARE CARNE: A QUALE PREZZO?
      • SALVIAMO L’AMBIENTE DALL’ECOCAPITALISMO
      • L’EDUCAZIONE IN GIARDINO
      • CAMMINANDO CON TULIME
    • FEMMINILEOLTRE - IL LAVORO >
      • QUANDO IL LAVORO È VIOLENZA
    • COMINCIO DA 3 >
      • GIORGIO GATTEI: CHE COS'E' IL VALORE?
      • VINCENZO SCALIA: MAFIE DI IERI E DI OGGI
    • IL 1917 DI JACOBIN >
      • 14. COME HANNO VINTO I BOLSCEVICHI
      • 13. LA RIVOLUZIONE D’OTTOBRE
      • 12. IN CAMPAGNA È UN’ALTRA COSA…
      • 11. I DUE GOLPE DI KORNILOV
      • 10. ​COME FARE LA RIVOLUZIONE SENZA PRENDERE IL POTERE...A LUGLIO
      • 9. VIOLENTA, NON TROPPO
      • 8. I BOLSCEVICHI E L’ANTISEMITISMO
      • 7. LE DONNE DEL 1917
      • 6. L’ECCEZIONE ESEMPLARE
      • 5. PRIMA DI OTTOBRE, VIENE FEBBRAIO
      • 4. DALLA STAZIONE DI FINLANDIA
      • 3. LA RIVOLUZIONE CONTRO IL CAPITALE (DI MARX)
      • 2. LE DONNE LANCIANO PALLE DI NEVE
      • 1. PRIMA DEL FEBBRAIO
    • BLOG
  • SEMINARI
    • 2020 >
      • RADIO COMUNITARIA 24 APRILE 2020
      • RADIO COMUNITARIA 30 MARZO 2020
    • PROGRAMMAZIONE 2017/2018 >
      • HEVALEN: INCONTRO CON DAVIDE GRASSO
      • IL ROSSO, IL ROSA E IL VERDE
      • AUTOMAZIONE E DISOCCUPAZIONE TECNOLOGICA
      • BANCHE TRA NORMATIVA EUROPEA E DIGITALIZZAZIONE
      • SFUMATURE DI ROSSO
      • NON E' LAVORO, E' SFRUTTAMENTO
      • IL CAPITALE DI MARX 150 ANNI DOPO E' ANCORA ATTUALE?
    • PROGRAMMAZIONE 2016/2017 >
      • 2017 FUGA DALL'EUROPA
      • IL CAPITALE DI MARX 150 ANNI DOPO E' ANCORA ATTUALE
      • TEMPESTA PERFETTA
      • LA STRAGE RIMOSSA
      • MEZZOGIORNO GLOBALE
      • CONTINUAVANO A CHIAMARLA GLOBALIZZAZIONE >
        • MA COS'E' QUESTA GLOBALIZZAZIONE
        • MIGRAZIONE: UNA LOTTA DI CLASSE PLANETARIA?
    • PROGRAMMAZIONE 2015/2016 >
      • 1° INCONTRO. Sistemi di pianificazione a confronto
      • 2° INCONTRO. Calcolo economico e forme di proprietà
      • 3° INCONTRO. Scritti Teorici - Mario Mineo
      • 4° INCONTRO. Aufheben: What was the USSR ?
      • 5° INCONTRO. Luigi Cortesi: Storia del Comunismo
      • 6° INCONTRO. Storia dell'Unione Sovietica
      • LE FILIERE MAFIOSE. Presentazione libro di V. Scalia
    • PROGRAMMAZIONE 2014/2015
    • CICLO SEMINARI 2014/2015 >
      • Storia del valore-lavoro - prima parte
      • Storia del valore-lavoro - seconda parte
      • Il Minotauro Globale
      • Produzione di Crisi a mezzo di Crisi
      • Fenomenologia e logica del capitale
      • Oltre il capitalismo
      • L'accumulazione del capitale - prima parte
      • L'accumulazione del capitale - seconda parte
      • Lavoro salariato e capitale - Salario, prezzo e profitto
      • Economisti di classe: Riccardo Bellofiore e Giovanna Vertova
    • ALTRI EVENTI >
      • ROSA LUXEMBURG CRISI DEL CAPITALE E POLITICHE DELLA LIBERAZIONE
      • EURO AL CAPOLINEA?
      • ROSA LUXEMBURG E LA CRITICA DELL’ECONOMIA POLITICA
      • SENTIERI GRAMSCIANI: QUINTO INCONTRO
      • SENTIERI GRAMSCIANI: QUARTO INCONTRO
      • SENTIERI GRAMSCIANI: TERZO INCONTRO
      • SENTIERI GRAMSCIANI: PRIMO INCONTRO
      • SENTIERI GRAMSCIANI: SECONDO INCONTRO
  • AUTORI
  • CONTATTI
PALERMOGRAD
  • HOME
  • RUBRICHE
    • CHE COS’È QUESTA CRISI? >
      • LE TESSERE IDEOLOGICHE DEL DOMIN(I)O
      • SINDACATI MODERNI?
      • DOVE VA L'EUROPA? INTERVISTA A FRANCESCO SARACENO
      • NISIDA E’ UN’ISOLA, MA NON SOLO
      • EMERGENZA, PROCESSO ‘DA REMOTO’ E CONVULSIONI DEL SISTEMA PENALE
      • VIRUS DIETRO LE SBARRE
      • ITALIA VS. RESTO DEL MONDO
      • CONTRIBUTO DEMOCRAZIA E LAVORO PALERMO
      • BISOGNA CHE TUTTO CAMBI…?
      • UOMINI ADULTI E RAGAZZINI
      • NON ESISTONO PASTI GRATIS
      • COMUNICATO SUI MILITANTI CASA DEL POPOLO PALERMO
      • OLTRE IL "BREVEPERIODISMO". INTERVISTA A GUGLIELMO FORGES DAVANZATI
      • CONTE 2: IL TRIONFO DI KING KONG
      • CAROLA È ANTIGONE?
      • DALLA QUESTIONE MERIDIONALE ALL'AUTONOMIA DIFFERENZIATA
      • LUNGA E IMPERVIA È LA STRADA
      • CHI LAVORA E' SOTTO ATTACCO
      • SE IL FUOCO DELLA RIVOLUZIONE
      • CONGRESSI CGIL: OLTRE IL PENSIERO CONVENZIONALE
      • DOPO IL CONSENSO: L'EUROPA TERRENO DI SCONTRO FRA PARADIGMI
      • INDIETRO NON SI TORNA… PURTROPPO
      • SOVRANISMO, MALATTIA INFANTILE DELLA NUOVA SINISTRA?
      • DISAGIO SCOLASTICO
      • DISOCCUPATI D’ITALIA
      • LA CRISI DELLE BANCHE E' FINITA?
      • UN'EUROPA DA CONQUISTARE
      • ROUSSEAU, IL CONFLITTO E LA POLITICA
      • FARE LA SARTINA: UN MESTIERE PERICOLOSO
      • DOPO MACERATA
      • UNA BUONA SCUSA PER VOTARE
      • 41bis OLTRE I DOGMI
      • UN MONDO CAPOVOLTO: IN CRESCITA LE DISUGUAGLIANZE
      • PERCHÈ DOBBIAMO PRENDERE QUEI PICCIONI
      • CONTRO LE ELEZIONI
      • NON È FLESSIBILITÀ, È CONFLITTO
      • UN ESEMPIO DI BUONE PRATICHE
      • TALLONARE IL DENARO
      • 50 SFUMATURE DI EUROFOBIA
      • DALLA DELEGA ALLA CONTESA
      • SCUSI, DOV’È L’USCITA?
      • IL 25 APRILE A VENIRE
      • IL FUTURO DEL PASSATO
      • ANTI EURO: LI CHIAMAVANO TRINITA'
      • COSA SUCCEDE A PALERMO?
      • HOTSPOT A PALERMO
      • DIVERSE VELOCITÀ MA NESSUNA RETROMARCIA
      • L’8 MARZO: 24 ORE DI SCIOPERO, NONUNADIMENO
      • TEMPESTA PERFETTA. LA CAMPAGNA NOI RESTIAMO PUBBLICA UN VOLUME SULLA CRISI
      • IL DUBBIO ARAMAICO DI UNA SINISTRA INTROVABILE
      • ASPETTI POLITICI DELLA PRECARIZZAZIONE
      • ECONOMIA MALATA, TEORIA CONVALESCENTE
      • MA GLI OPERAI VOTANO?
      • SI PUO' FARE: LA VITTORIA DEL NO
      • UN NO NON BASTA
      • LE (VERE) RAGIONI DEL SI
      • CAMBIARE (IL) LAVORO
      • COME TUTTI
      • UNA FATICA SEMPRE PIU' INUTILE
      • CONTINUAVANO A CHIAMARLA GLOBALIZZAZIONE
      • LICENZIAMENTI ALMAVIVA
      • ULTIMO TANGO A BERLINO?
      • BAIL-IN COI LUPI
      • COM'È PROFONDO IL SUD
      • I TASSI DELLA FED NON VANNO IN LETARGO
      • FOLLI E TESTARDI
      • TTIP: L'IMPERO COLPISCE ANCORA
      • CONFINDUSTRIA: GLI OPERAI GUADAGNANO TROPPO
      • GLI ANNI TRENTA PROSSIMI VENTURI
      • UN LAVORO DI CHE GENERE?
      • IL MALE OSCURO (MA NON TROPPO) DEL CAPITALE
      • C'E' UNA LOGICA IN QUESTA FOLLIA
      • BENTORNATI AL SUD
      • MOSTRI DI GUERRA DIRIGONO LE SCUOLE
      • QUELL’OSCURO OGGETTO DELLO SFRUTTAMENTO
      • FINCANTIERI: RIEN NE VA PLUS
      • L'INUTILE FATICA DI ESSERE SE STESSI
      • LAVORO, REDDITO, GENERE: CHE DIBATTITO SIA...
      • RENZI E IL DEGRADO DELLA SCUOLA PUBBLICA
      • SVENDESI INDUSTRIA ITALIA
      • LE CONSEGUENZE ECONOMICHE DI MATTEO RENZI
      • NASCE PALERMOGRAD! LUNGA VITA A PALERMOGRAD! >
        • DONAZIONI
    • LONTANI E VICINI >
      • DOPO LE LACRIME. MARADONA E LE FEMMINE
      • LUNGA VITA ALLA SIGNORA (DI FERRO)
      • DOBBIAMO POTER DISCUTERE DI TUTTO
      • DEATH RACE
      • ADDIO A MANOLIS GLEZOS, 1922–2020
      • IL FASCINO DISCRETO DEL MODERATISMO
      • MACCHE' OXFORD, SIAMO INGLESI
      • LO STRANO CASO DI MR BREXIT E DR REMAIN
      • LO SPETTRO DELLA SIGNORA THATCHER
      • IL DECRETO SALVINI E LA LOTTA DI CLASSE
      • ADDAVENÌ JEREMY CORBYN
      • LONTANO DA DIO, VICINO AL FMI
      • LE ROSE CHE SYRIZA NON COLSE
      • DOCCIA SCOZZESE PER I TORY?
      • L’INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DEL LABOUR
      • ATTACCO SU TRE FRONTI: LA NUOVA RECINZIONE
      • MAROCCHINI ALLA STAZIONE
      • THE MEANING OF THERESA MAY
      • BERLINO 2016: ANOTHER BRICK IN THE WALL?
      • BREXIT: USCITA OBBLIGATORIA A DESTRA?
      • NO GRAZIE, IL BREXIT MI RENDE NERVOSO
      • BREXITHEART - CUORE IMPAVIDO
      • UN BLUESMAN DELL’INTELLETTO
      • UNA VITTORIA INUTILE?
      • CARO YANIS, TI SCRIVO..
      • ESULI A PALERMO
      • ARALDI CON LE FORBICI
      • TU CHIAMALE SE VUOI, ILLUSIONI
      • GRECIA: LA LOTTA CONTINUA SE C'E' IL PIANO B
      • GRECIA: LA LOTTA DEVE CONTINUARE
      • DALLA SCOZIA CON FURORE
      • NIENTE TAGLI, SIAMO INGLESI
      • CHI NON HA BISOGNO DI ATENE?
      • SO' BONI, SO' GRECI. LA VITTORIA DI SYRIZA E DEL SUO LEADER
    • IN TEORIA >
      • RITORNARE A MARX parte II
      • RITORNARE A MARX
      • LA GRANDE INVERSIONE: DALLA VALORIZZAZIONE ALLA FINANZIARIZZAZIONE (parte 2^)
      • LA GRANDE INVERSIONE: DALLA VALORIZZAZIONE ALLA FINANZIARIZZAZIONE
      • CONFLITTO CRISI INCERTEZZA
      • DAGLI SCIOPERI DELLE DONNE A UN NUOVO MOVIMENTO DI CLASSE: LA TERZA ONDATA FEMMINISTA
      • ANCORA SU DAVID HARVEY, MARX E LA FOLLIA DEL CAPITALE
      • DAVID HARVEY E LA FOLLIA DEL CAPITALE
      • A PARTIRE DA SIMONE WEIL
      • IL ROSSO, IL ROSA E IL VERDE / 2
      • IL ROSSO, IL ROSA E IL VERDE
      • UNA CRISI, TANTE TEORIE
      • MA IL SUO LAVORO È VIVO
      • POSSO ENTRARE?
      • A VOLTE RITORNA. Il dibattito su reddito di cittadinanza e simili, prima della crisi.
      • L’ ORIENTE È L’ORIENTE E L’OCCIDENTE È L’OCCIDENTE, E GIAMMAI I DUE SI INCONTRERANNO ?
      • IL SEME DEL DUBBIO
      • RICOMINCIARE DA KEYNES?
      • DE-ROMANTICIZZARE IL LAVORO (DOMESTICO E NON)
      • CAPITALISMO CONCRETO, FEMONAZIONALISMO, FEMOCRAZIA
      • DAL FEMMINISMO DELL’ÉLITE ALLE LOTTE DI CLASSE NELLA RIPRODUZIONE
      • KARL KORSCH
      • INTRODUZIONE AL «CAPITALE»
      • REDDITO CONTRO LAVORO? NO, GRAZIE
      • PRIMA DI ANDARE OLTRE, LEGGIAMOLO
      • COM’È BORGHESE, QUESTA RIVOLUZIONE…
      • COME L’OCCIDENTE È ANDATO A COMANDARE
      • LO STRANO CASO DEL DOTT ADAM E DI MR. SMITH
      • L'ULTIMO MARX E NOI
      • IL CASO E LA FILOSOFIA
      • DAL PENSIERO DELLA GUERRA FREDDA AL FEMMINISMO INTEGRATO
      • STREGHE, CASALINGHE E CAPITALE
      • 2016: ODISSEA SULLA TERRA
      • DOPO IL SOCIAL-LIBERISMO
      • QUANTO È LUNGO UN SECOLO?
      • BYE-BYE LENIN
      • L'OMBRA LUNGA DEL MILITARISMO
      • NON ESISTONO MEZZOGIORNIFICAZIONI
      • EUROPA E "MEZZOGIORNI". Un intervento di Joseph Halevi
      • PIANIFICARE NON BASTA?
      • IL PRANZO AL SACCO DI MARIO MINEO
      • MARIO MINEO E IL MODO DI PRODUZIONE STATUALE
      • LEGGERE BETTELHEIM NEL 2015
      • CHARLES BETTELHEIM: L'URSS ERA SOCIALISTA?
      • E LA CLASSE RESTO' A GUARDARE
      • LEI NON SA CHI SIAMO NOI
      • RISCOPRIRE IL VALORE-LAVORO
      • FUNERALE GLOBALE
      • CLAUDIO NAPOLEONI: SMITH, RICARDO, MARX - Prima Parte
      • CLAUDIO NAPOLEONI: SMITH, RICARDO, MARX - Seconda Parte
      • SRAFFA TRA TEORIA ECONOMICA E CULTURA EUROPEA
    • IL FRONTE CULTURALE >
      • PER UNA NUOVA LETTERATURA
      • NON NASCONDERSI, NON PROTEGGERSI
      • RIBELLE, MANCINO, ERETICO
      • LIBRI DELL'ANNO 2019
      • DESTINAZIONE APOCALISSE
      • UNO DI NOI?
      • NUOVO IMPERO, STESSO BARDO?
      • SPECCHIO AMBIGUO
      • IL GESTO E IL SISTEMA
      • CONTRO LA MACCHINA DELLA NARRAZIONE
      • NIGHT CLUB INFERNO (NUOVA GESTIONE)
      • E INFINE USCIMMO A RIVEDERCI FUORI FACEBOOK
      • TUTTO QUANTO FA (ANTI)ROMANZO
      • DIO NON RISPONDE, E NEMMENO LA STORIA CI SENTE TROPPO BENE
      • STORIE DI LOTTA QUOTIDIANA
      • IN RICORDO DI SARA DI PASQUALE
      • PICCOLE CITTÀ NON SCHERZANO
      • LIBRI DELL'ANNO 2018
      • ROBESPIERRE CONTRO L'ANGLOFILO
      • DAGHELA INDIETRO UN PASSO
      • L’AFRICA DI MANGANELLI
      • UNA RIVOLUZIONE BORGHESE?
      • IL BUON PADRE DI FAMIGLIA
      • L’ARTE DELLA MATEMATICA
      • PUNK A PALERMO
      • SGUARDI SULLA MORTE E SULLA VITA
      • MA NON SAPPIAMO QUANDO
      • COSE TROPPO VICINE PER ESSERE VISTE
      • IL RACCONTO CHE VISSE DUE VOLTE
      • UN INCUBO ASSURDO E INESORABILE
      • ETICA E/È LETTERATURA
      • ADOLESCENZE FRAGILI NELL’EPOCA DELLA BUONA SCUOLA
      • ABBASTANZA NON E' PIU' ABBASTANZA
      • ÉLITE IN RIVOLTA
      • CHI DI MOSTRA FERISCE
      • LIBRI DELL'ANNO 2017
      • PRO O CONTRO LA SCUOLA PER TUTTI
      • "NON INCOLPATE NESSUNO", MA I REGISTI SI
      • STENDHAL RAZZISTA AL CONTRARIO
      • IL TEMPO INSEGUE LE SUE VIOLE
      • L’UTOPIA DI SCHULZ
      • ADOLESCENZE FRAGILI
      • IL MARCHESE DI VENEZIA
      • “ANNORBÒ TOTÒ”
      • INVISIBILI MA NON TROPPO
      • UOMINI E LUPI
      • “MARIELLA SE N’È DOVUTA SCAPPARE”
      • LA GIUSTA DISTANZA
      • ROLAND IN CAMPO
      • COME SOLO UN AMANTE FA
      • CERTE NOTTI
      • VITA POLITICA DI GIULIANA FERRI
      • LIBRI DELL’ANNO 2016
      • TROPPO BARDO PER ESSERE VERO
      • LA BARBARIE PROSSIMA VENTURA
      • DANIELE CONTRO I BUROSAURI?
      • SWEET BLACK ANGEL
      • DODICI PICCOLI INDIANI (D'AMERICA)
      • VELTRONI VA A HOLLYWOOD?
      • RESISTENZA: FINE DI UN'ANOMALIA?
      • POVERI E PICCOLI
      • SENZA RUOLI, SENZA DESTINI
      • REQUIEM PER IL TEMPO LIBERO
      • DICE CH'ERA UN BELL'UOMO
      • GLI OCCHI, LE MANI, LA BOCCA
      • LA FATICA DI ESSERE BUONI
      • BORGHESIA MAFIOSA E POSTFORDISTA
      • CHI PARTE DA SE' FA PER TRE
      • SCUOLA E GENERE. UN DIBATTITO A PALERMO
      • UN CECCHINO DISARMATO
      • FESSO, FETENTE, FORCAIOLO E FASCISTA?
      • GRAFFITI, POETICHE DELLA RIVOLTA
      • NEOLIBERISTI SU MARTE
      • L'ANIMA DEGLI ANIMALI
      • GATTOPARDI BORGHESI
      • LA VERITA', SE CI SI METTE TUTTI INSIEME
      • DENTRO E CONTRO IL POST-MODERNO
      • BOOM BUST BOOM (English version)
      • BOOM BUST BOOM
      • A QUALCUNO PIACE CALDO (ANCHE AI LIBERAL)
      • PADRI E PADRONI
      • GESTIONE DEI CONFLITTI NELLA CULTURA GRECA
      • CRITICATE, CRITICATE, QUALCOSA RESTERA'
      • LA STORIA DELL'8 MARZO
    • SI RIPARLA DELL’UOMO OMBRA >
      • SPIE, BUROCRATI ED EZISTENZIALISTI
      • DOPO L'UOMO OMBRA
      • NON HO L'ETA'
      • UN SACCO DI ASTRONAVI IN QUESTA LIBRERIA
      • VIENE AVANTI IL CRETINO
      • IL CAPPELLO NOIR
      • NON CAPISCO PERCHÉ TUTTI QUANTI…
      • UNA VITA MERAVIGLIOSA
      • MA UN GIORNO, CARA STELLA
      • LA LEZIONE È FINITA
      • MARY PER SEMPRE
      • SOLO PER I TUOI OCCHI
      • PERICOLO GIALLO
    • SEMBRA UN SECOLO >
      • I "DEVOTI" E GLI "SFOLLATI": UNA STORIA INTERNAZIONALE DELLE BRIGATE INTERNAZIONALI
      • GIUSEPPE, ANITA E I COLORADOS
      • QUESTA STORIA NON PUO' FINIRE
      • ACCOGLIENZA DI IERI
      • VIANDANTI NEL NULLA
      • UNO STATO CHE NON ERA UN MOLOCH
      • VIOLENTI DESIDERI
      • LA RIVOLUZIONE RUSSA IN ITALIA
      • L'INFIDA CARTAGO E LA PERFIDA ALBIONE
      • PIÙ CHE UN ROMANZO LA VITA MIA
      • PORTELLA DELLA GINESTRA TRA STORIA E MEMORIA.
      • LA GUERRA CHE DURA SEI GIORNI E CINQUANT'ANNI
      • PERCHÉ QUI LA GENTE CREDE IN DIO
      • 2001: PALERMO ANNO ZETA
      • TOGLIATTI E IL COMUNISMO DEL ’900
      • MALCOM X DALL'ISLAM ALL'ANTICAPITALISMO
      • INGRAO PRIMA DI TANGENTOPOLI
    • IL ROSSO E IL VERDE >
      • MANGIARE CARNE: A QUALE PREZZO?
      • SALVIAMO L’AMBIENTE DALL’ECOCAPITALISMO
      • L’EDUCAZIONE IN GIARDINO
      • CAMMINANDO CON TULIME
    • FEMMINILEOLTRE - IL LAVORO >
      • QUANDO IL LAVORO È VIOLENZA
    • COMINCIO DA 3 >
      • GIORGIO GATTEI: CHE COS'E' IL VALORE?
      • VINCENZO SCALIA: MAFIE DI IERI E DI OGGI
    • IL 1917 DI JACOBIN >
      • 14. COME HANNO VINTO I BOLSCEVICHI
      • 13. LA RIVOLUZIONE D’OTTOBRE
      • 12. IN CAMPAGNA È UN’ALTRA COSA…
      • 11. I DUE GOLPE DI KORNILOV
      • 10. ​COME FARE LA RIVOLUZIONE SENZA PRENDERE IL POTERE...A LUGLIO
      • 9. VIOLENTA, NON TROPPO
      • 8. I BOLSCEVICHI E L’ANTISEMITISMO
      • 7. LE DONNE DEL 1917
      • 6. L’ECCEZIONE ESEMPLARE
      • 5. PRIMA DI OTTOBRE, VIENE FEBBRAIO
      • 4. DALLA STAZIONE DI FINLANDIA
      • 3. LA RIVOLUZIONE CONTRO IL CAPITALE (DI MARX)
      • 2. LE DONNE LANCIANO PALLE DI NEVE
      • 1. PRIMA DEL FEBBRAIO
    • BLOG
  • SEMINARI
    • 2020 >
      • RADIO COMUNITARIA 24 APRILE 2020
      • RADIO COMUNITARIA 30 MARZO 2020
    • PROGRAMMAZIONE 2017/2018 >
      • HEVALEN: INCONTRO CON DAVIDE GRASSO
      • IL ROSSO, IL ROSA E IL VERDE
      • AUTOMAZIONE E DISOCCUPAZIONE TECNOLOGICA
      • BANCHE TRA NORMATIVA EUROPEA E DIGITALIZZAZIONE
      • SFUMATURE DI ROSSO
      • NON E' LAVORO, E' SFRUTTAMENTO
      • IL CAPITALE DI MARX 150 ANNI DOPO E' ANCORA ATTUALE?
    • PROGRAMMAZIONE 2016/2017 >
      • 2017 FUGA DALL'EUROPA
      • IL CAPITALE DI MARX 150 ANNI DOPO E' ANCORA ATTUALE
      • TEMPESTA PERFETTA
      • LA STRAGE RIMOSSA
      • MEZZOGIORNO GLOBALE
      • CONTINUAVANO A CHIAMARLA GLOBALIZZAZIONE >
        • MA COS'E' QUESTA GLOBALIZZAZIONE
        • MIGRAZIONE: UNA LOTTA DI CLASSE PLANETARIA?
    • PROGRAMMAZIONE 2015/2016 >
      • 1° INCONTRO. Sistemi di pianificazione a confronto
      • 2° INCONTRO. Calcolo economico e forme di proprietà
      • 3° INCONTRO. Scritti Teorici - Mario Mineo
      • 4° INCONTRO. Aufheben: What was the USSR ?
      • 5° INCONTRO. Luigi Cortesi: Storia del Comunismo
      • 6° INCONTRO. Storia dell'Unione Sovietica
      • LE FILIERE MAFIOSE. Presentazione libro di V. Scalia
    • PROGRAMMAZIONE 2014/2015
    • CICLO SEMINARI 2014/2015 >
      • Storia del valore-lavoro - prima parte
      • Storia del valore-lavoro - seconda parte
      • Il Minotauro Globale
      • Produzione di Crisi a mezzo di Crisi
      • Fenomenologia e logica del capitale
      • Oltre il capitalismo
      • L'accumulazione del capitale - prima parte
      • L'accumulazione del capitale - seconda parte
      • Lavoro salariato e capitale - Salario, prezzo e profitto
      • Economisti di classe: Riccardo Bellofiore e Giovanna Vertova
    • ALTRI EVENTI >
      • ROSA LUXEMBURG CRISI DEL CAPITALE E POLITICHE DELLA LIBERAZIONE
      • EURO AL CAPOLINEA?
      • ROSA LUXEMBURG E LA CRITICA DELL’ECONOMIA POLITICA
      • SENTIERI GRAMSCIANI: QUINTO INCONTRO
      • SENTIERI GRAMSCIANI: QUARTO INCONTRO
      • SENTIERI GRAMSCIANI: TERZO INCONTRO
      • SENTIERI GRAMSCIANI: PRIMO INCONTRO
      • SENTIERI GRAMSCIANI: SECONDO INCONTRO
  • AUTORI
  • CONTATTI
PALERMOGRAD

ARALDI CON LE FORBICI - Lettera da Atene su economia, classe, politica e tecnocrazia

22/9/2015
di Richard BrodieDomani in Grecia si vota, ma noi proponiamo una riflessione di lungo respiro del nostro Richard Brodie, appena reduce da Atene.

 


                Perché in quei giorni, si dice, apparvero araldi con le forbici, venuti a far proclami

                                                                                                                            Jenny Mastoraki

 

L’Atene moderna non ha mai ruotato intorno alla cantieristica. Nel senso che i suoi pur estesi cantieri navali non hanno mai costituito un’autentica “base industriale”.  Sono stati i Trasporti Marittimi, piuttosto, a costituire il fulcro – oggi inceppato - dell'economia nazionale. Qui ci sono le flotte più grandi nel mondo, ma non vengono tassate: sono offshore nel senso finanziario oltre che in quello letterale. Fu proprio il capitale mercantile della borghesia greca ottocentesca a dar vita a uno stato, a una rivoluzione nazionale, a un sistema delle banche onnicomprensivo. La grande ironia del discorso per cui la Grecia è stata “soggiogata” dalla finanza, consiste nel fatto che la Grecia contemporanea è stata creata, modellata proprio dalla finanza. Chiedi del “boom” del dopoguerra e la risposta inevitabilmente è “edilizia”: alla parola si accompagna il più delle volte un gesto ad indicare i blocchi di cemento caratteristici del centro come della periferia di Atene. Eppure le economie capitalistiche non funzionano certo perché gli operai edili si mettono a costruir case gli uni per gli altri, né il terziario può espandersi magicamente, a beneficio di camerieri, cuochi e addetti alle pulizie, per quanto affollati e scintillanti siano i bar della capitale.  Né il turismo (e neppure il giornalismo, nonostante le celie di due inviati speciali incontrati al porto) può spiegare nella sua interezza la storia economica della Grecia contemporanea.

La risposta all'enigma è per l’appunto che il settore finanziario greco, costituitosi sulla base di duecento anni di capitale mercantile, era al centro di questa attività edilizia e terziaria. Ed era questo capitale a supportare l'industrializzazione parziale degli anni Cinquanta e Sessanta, prima che le fabbriche cominciassero ad ansimare per poi fermarsi, così come  nella gran parte dell' Occidente durante i primi anni Settanta. Oggi il comparto agricolo del paese, redditizio solo grazie alla combinazione dei sussidi UE e della paga di €1 per ora ricevuta dagli immigrati (una forza lavoro che non di rado si ritrova anche letteralmente la pistola puntata alla tempia) funziona in assenza di una cintura industriale degna di questo nome; c’è soltanto piccola manifattura, e la cantieristica maggiore ha traslocato in Corea del Sud già da tempo. Resta il fatto che il sorgere dello Stato greco sulla base economica dell’accumulazione del capitale marittimo lo distingue storicamente dai suoi vicini balcanici.

Tale peculiarità dell'economia nazionale spiega perché la Grecia sia stata a lungo l’isolato membro orientale della CEE (tra il 1981 e l'ingresso della Bulgaria nel 2007, la Grecia non confinava con alcuna nazione CEE prima ed UE poi), e perché le città sono piene di laureati che parlano l’inglese; spiega, come minimo, perché la Grecia è stata ammessa nel club dei ricchi europei. Sebbene il discorso di Thomas Sankara sul debito come strumento di “un’intelligente riconquista dell'Africa” trovi oggi un nuovo, consapevole avatar nel Varoufakis che descrive la Grecia come una “colonia del debito”, la Grecia si trova pur sempre nell’eccezionale condizione di essere, a differenza del Burkina Faso, una colonia di debito che era stata accolta nel salotto buono della società borghese. I famigerati oligarchi, manifestazione più recente del capitale mercantile “issato sulle zampe posteriori, a reclamare la propria parte”, hanno impresso le proprie specifiche caratteristiche di classe sul concetto europeo dello Stato nazionale greco. Quando la tecnocrazia imperiale è tornata a colpire – come invariabilmente succede - la Grecia è stata sanzionata non solo a mo’ di periferia ideologica e fisica, ma anche come qualcosa di molto più vicino al centro dei sogni delle attuali dirigenze europee: l’ectoplasma di una economia costruita sul capitale fittizio, in assenza di un proletariato “vero e proprio”.  Ciò vale a dire che la visione dello Stato greco come dipendente dal capitale tedesco oppure dalla geopolitica americana (schemi cari a un certo tipo di nazionalismo 'anti-imperialista'), tutto sommato ben si accorda con l'analisi ideologica propria dell'UE, che descrive lo Stato greco come privo di proletariato di alcun tipo, ma con una “classe media”, basata sull’economia dei servizi, che adesso dovrebbe pagare i propri debiti e, al contempo, metter mano ad un qualche lavoro “come si deve”.
 
Beninteso, i lavoratori, come tali, rimangono ben celati sotto questa superficie spettacolare ma onirica. Discettare intorno alla storia del capitalismo greco non è di per sé dar conto delle vite di chi ha alimentato e impinguito il bottino. Di quasi un milione di Gastarbeiter, partiti direttamente dalle campagne greche per andare a ingrossare le fila del proletariato tedesco all'inizio del progetto CEE, nei primi anni Sessanta; di quasi mezzo milione di albanesi che lavorano  negli oliveti e nelle serre oggi, quando quel progetto potrebbe esser giunto al capolinea. Tra questi poli c’è stata e c’è la classe operaia di Atene, composta da quanti non sono emigrati ed hanno reso il proprio comparto  competitivo anche nell’attuale contesto internazionale: gli addetti alle riparazioni navali di Perama, la fortezza del Partito Comunista (KKE). C'era un piano, mi viene detto, risalente al 2008, in base al quale tutte le aziende di riparazione avrebbero dovuto associarsi onde  gestire fondi statali per investimenti in capitale fisso. Attualmente, a Perama manca un pontile galleggiante abbastanza ampio, adatto alle navi del nuovo canale di Suez. Il sindacato comunista, il PAME, non ha mai ceduto ai diktat dell’austerity e, pur colpite dal sotto-investimento, le infrastrutture di riparazione sono ancora in mano statale. Con il Terzo Memorandum, tuttavia, la maggioranza delle quote societarie sono destinate alla privatizzazione. Inoltre, in contrasto con il piano d'investimento finito in un cassetto, è stata proposta una free trade zone per tutte le banchine ateniesi. Il padroncino di uno delle tante piccole aziende di riparazione, lagnandosi per l’abbandono dei progetti di nazionalizzazione, mi ha spiegato che “si tratterà invece di una nuova Grande Muraglia Cinese, tutt’intorno al porto. Dentro ci saranno gli operai cinesi, fuori la gente a far la fame. Mi dispiace davvero per tutto questo, per questo mondo che vi stiamo lasciando”.

Oltre a questo proletariato industriale, c’è la classe operaia dell’ampio (e famigerato) settore dei servizi, nelle cui fila  - all’interno cioè della massa meno rappresentata dal partito comunista  - si cerca oggi di sospingere  i lavoratori delle riparazioni navali. Per uno straniero è sin troppo facile assegnare ad ogni momento vissuto ad Atene un’interpretazione simbolica, come un poeta inglese romantico che vede la rivoluzione in ogni ghirlanda, in ogni bocciolo di Francia. E così, quando qualcuno descrive il Partito – mentre i suoi militanti sfilano senza fermarsi accanto ad una manifestazione a Piazza Syntagma, durante il secondo voto parlamentare sul nuovo piano di salvataggio – come “bloccato in fondo alla collina”, ecco che l’episodio  appare in una luce destinale. Mentre i manifestanti aprono gli striscioni, un vecchio sistema la propria bancarella di bandiere della Grecia. Poco dopo, ecco che gli anarchici si spostano all'Exarchia, con il rituale lancio di bottiglie incendiarie contro l’invadente polizia. Nel bel mezzo del fumo e del gas lacrimogeno, c’è un tizio che spinge la macchina per farla partire.

Di fronte all’assenza di liquidità - alla chiusura delle banche, all'impossibilità di pagare le importazioni, alla svalutazione esterna e all’inflazione interna - il dibattito politico e il discorso  famigliare tornano a ruotare intorno alle brutali esigenze dell'economia quotidiana. Emerge una visione infernale, un mondo in cui i turisti vanno e vengono, le flotte greche attraccano e salpano, ma cibo e medicine non arrivano. L'economia di solidarietà non può fornire che una risposta parziale; ha già raggiunto i propri limiti, e per la gran parte in effetti non si tratta che  di ridistribuzione volontaria da parte di una classe media e operaia generose, che non hanno gettato il cuore nell'abisso vuoto nel quale c'era, una volta, il futuro. Nel frattempo, la borghesia e gli oligarchi hanno trasferito le proprie ricchezze sui conti delle banche svizzere, lasciando alle classi meno abbienti il peso dell’umana compassione. E c'è stato un esteso rifiuto, espresso sovente nel linguaggio del cristianesimo, della prospettiva proposta dall'Alba Dorata (che però riesce a far danni sproporzionati al proprio peso politico, attraverso complicità nascoste e violenze palesi).

Chi, dal canto suo, continua a riporre le proprie speranze in Syriza, la immagina capace di una serie di innovazioni legislative: unioni civili omosessuali, chiusura dei CIE, riforma della polizia, protezione per i più poveri dagli sgomberi, regolamentazione dei mass media. Tutta roba a budget contenuto (rispetto a - per esempio - assumere mille insegnanti) ma pur sempre con un costo per la borghesia e per la chiesa, il cui potere rimane estraneo e contrapposto a quello dallo Stato. Non si vuole con ciò ignorare la portata anche economica dei provvedimenti di cui sopra: le unioni civili tra persone dello stesso sesso, ad esempio, darebbero un minimo di – preziosa – sicurezza finanziaria alle coppie gay. Ma senza la possibilità di ottenere prestiti, senza liquidità, queste stesse riforme 'gratis' restano avvolte nell’ombra della bancarotta.
 
Come valutare, dunque, quest’epoca all’insegna dei moti di piazza e di John Maynard Keynes, di sogni di stimoli fiscali alimentati dal calore delle bottiglie molotov? Il capitale investirà in Grecia solo se gli verranno assicurate condizioni di operatività “estrema”. La necessaria proletarizzazione è avvenuta; l’effettivo processo di industrializzazione rimane tuttora evanescente, ma non impossibile. L’alternativa consiste nella speranza che il capitale nazionale possa dar magicamente luogo ad una migliore industrializzazione,  grazie al protezionismo e ad una moneta svalutata. Ma quand’anche lo stato greco si separasse dalla cosiddetta Europa imperiale cui il suo destino è rimasto legato fino ad oggi, dovrà pur trovare un'altra fonte di liquidità e di merci. Anche in condizioni di protezionismo, un progetto economico del genere non funziona, alla fin fine, senza scambio diplomatico e internazionale, cioè senza ricorrere ad altri centri del capitale, anche se ciò dovesse accadere sulla spinta di un movimento 'nazional-popolare'. In sostanza, l’alternativa al momento disponibile riguarda lo scegliersi la provenienza di nuovi capitalisti internazionali oppure no. Pertanto, anche se l'UE dovesse spezzarsi nei vari stati che attualmente la compongono, il capitale nazionale dovrà pur sempre assumere una precisa coloritura sovranazionale. Allo stesso modo, se la Grecia dovesse finire col fare default, le mosse successive avverrebbero pur sempre su di un piano europeo, dacché riguarderebbero il come proteggere l’economia e il come collegarsi ad altri centri dell’accumulazione capitalistica. D’altra parte, l’idea di superare il problema intrattabile del capitale internazionale tramite la creazione di una nuova Europa – come taluni a sinistra hanno proposto – legata ad una Costituzione progressiva, corre il rischio – al di là del cenno in direzione del benessere dei “migranti oltre che della popolazione 'autoctona' ” - di rivelarsi una sorta di boomerang, che ritorna nella forma distorta della creazione di un’Europa-nazione con confini ancor più fortificati, cannoniere e barbacani. Gli Stati, dopotutto, debbono provare il valore della propria parola e dei propri BOT. 

Quando Tsipras ha sottoposto il piano della Troika al voto popolare, il Partito Comunista (KKE)  s’è rifiutato di votare ‘sì’ o ‘no’.  Syriza, dicevano, non potrà che capitolare, avendo omesso di creare un’alternativa alle dinamiche capitalistiche.  L’alternativa proposta dal KKE, d’altro canto, è la  “pianificazione scientifica e centralizzata”: un rifiuto del riformismo ignaro della tenerezza che è sempre stata il cuore di ogni politica rivoluzionaria, laddove il compagno Zizek (secondo cui “il coraggio vero… non è immaginare un’alternativa, ma accettare le conseguenze del fatto che una alternativa visibile non esiste”) quello stesso riformismo lo abbraccia, facendo lavorare la propria retorica rivoluzionarista al servizio del capitale. Eppure c'è un che di magnetico, e di profondamente logico, nell’indicazione data dai comunisti ai propri membri in occasione del referendum: sostituire il programma del partito alla scheda elettorale ufficiale. Per un partito stalinista - bisogna ammetterlo – si tratta  di un intervento di sorprendente situazionismo. Laddove il “surrealismo” tirato in ballo da Tsipras si limita a segnalare una contraddizione, l’idea del KKE indica forse – se trasferita in altri contesti - una strada per superare la scissione tra politica e popolo: il rifiuto di accertare le schede elettorali, i simboli e le divise del presente, ovvero le opzioni che ci presentano il capitale nazionale e quello internazionale; per riscrivere invece la storia e smontare il capitale in sé stesso.
0 Commenti

L'ANIMA DEGLI ANIMALI

21/9/2015
di Giovanni Di Benedetto

Secondo le stime del dipartimento dell’agricoltura degli Stati Uniti negli ultimi dodici mesi gli apicoltori hanno perso il 42 per cento delle colonie. Le api e gli altri insetti impollinatori hanno un ruolo fondamentale negli ecosistemi e per la sicurezza alimentare statunitense. Secondo l’istituto del mare del Perù la popolazione di acciughe nelle acque peruviane è calata drasticamente: ci sono attualmente 1,45 milioni di tonnellate di acciughe, contro le dieci presenti normalmente. Il calo sarebbe dovuto in parte all’aumento della temperatura dell’acqua. Ogni anno nel Mediterraneo, denuncia BirdLife International, 25 milioni di uccelli vengono uccisi illegalmente. Le popolazioni di quaranta specie di uccelli canori migratori, compresa la tortora comune, sono in declino, e il ritmo dell’abbattimento non è sostenibile. Gli uccelli sono uccisi soprattutto per essere mangiati, venduti nei mercati e nei ristoranti, e per divertimento. Sono alcune delle rilevanti pillole di informazione che periodicamente vengono riportate dal settimanale Internazionale, a dimostrazione di quanto drammaticamente attuale sia il problema della salvaguardia dell’equilibrio dell’ecosistema planetario, della sopravvivenza delle specie viventi e con esse di quella umana. È in questo quadro segnato dalla distruzione del rapporto di armonia che lega l’uomo al contesto naturale in cui vive, le cui testimonianze sono di terribile evidenza, che si colloca l’intelligente operazione di rilettura di alcuni classici dell’antichità operata da Roberto Pomelli e Pietro Li Causi ne L’anima degli animali, testo pubblicato per i Millenni dell’Einaudi e corredato dalle bellissime e davvero suggestive illustrazioni di Alessandro Sanna (pp. 551). Nel tempo presente i rapporti sociali con la natura, sempre più mediati dai fattori della scienza e della tecnologia, sono divenuti, di fatto, il più importante oggetto di dibattito e di scontro sociale. Dalle istanze sociali che si fanno carico della lotta contro la lobby politico militare che sponsorizza il nucleare alle agenzie sociali che si occupano dei cambiamenti climatici, alle rivendicazioni di attivisti che sollevano legittimamente il problema della salvaguardia della ricchezza e varietà delle specie animali, molte delle quali pericolosamente in via di estinzione. Ecco perché si sentiva il bisogno di un’operazione di rilettura di alcune fra le più significative testimonianze provenienti dall’Antichità, da Aristotele a Porfirio, passando per gli stoici e Plutarco, nel tentativo di definire cosa separa l’umanità dall’animalità.

La riflessione parte ovviamente dal tentativo di definire analogie e differenze tra antroposfera e zoosfera per giungere ai quesiti del dibattito contemporaneo sui diritti degli animali. Le categorie utilizzate dagli autori presi in esame quasi mai combaciano e si sovrappongono con quelle che vengono adottate a partire dalla modernità. Ciò non toglie che gli interrogativi posti dagli antichi abbiano una cogente attualità: è giusto fare soffrire gli animali, sfruttarne le capacità, costringerli in condizioni di aberrante cattività per nutrirsene? Si tratta di questioni che chiamano in causa settori disciplinari molteplici e che i due curatori affrontano con un piglio storico-filologico ad un tempo scientificamente accurato ma anche agile e moderno. È per questo che la lettura del volume, che si apre con i libri VIII e IX della Historia Animalium di Aristotele e che copre un arco di tempo che va dal IV secolo a. C. al III secolo d. C, è fluida e scorrevole.

Diciamo subito che a nostro avviso tutta la cultura greca, e in particolare la filosofia delle origini, esprime una acuta consapevolezza della profonda unione che l’umano intreccia con la natura. Da Talete ad Anassimandro, da Eraclito alla filosofia eleatica sembra quasi che dietro alla questione dell’ἀρχή, il principio che governa il mondo, possa celarsi l’idea di una sostanziale vincolo ecosistemico che lega tutte le cose e tutti i viventi. Sì, è vero, con Esiodo,  per la prima volta, l’umano assume una posizione di privilegio rispetto a tutte le altre forme di vita, diversificandosi radicalmente dall’animale. Tuttavia, si tratta soltanto di una tra le tante possibili rappresentazioni culturali che attraversano l’orizzonte culturale della Grecia antica. Il pensiero filosofico delle origini, da Pitagora ad Empedocle, ci parla di una strettissima unità che caratterizza il mondo del vivente, un'unica grande armonia. D’altra parte neanche in Platone sembra si possa dire che si istituisca una frattura netta e incolmabile tra la sfera dell’umano e la sfera dell’animale. Nel filosofo del Liceo l’animalità diventa una degradazione dell’umano, così come la corporeità lo è della dimensione spirituale.

E qui arriviamo ad uno snodo teorico fondamentale. I due curatori del libro sottolineano che è ad Aristotele che la tradizione ha attribuito l’onere di avere provocato una insanabile rottura tra l’uomo, l’unico dotato di facoltà razionali, e l’animale. Tuttavia riconoscono che, nei lavori dedicati alla biologia, Aristotele ha elaborato un sistema più complesso dove a contrapposizioni rigide ed univoche si predilige l’indagine orizzontale di tutte le forme di vita intese nella loro complessa ma irriducibile dignità. Qui emerge un dispositivo che sottolinea le capacità delle singole specie, le variegate forme di interazione con il contesto ecosistemico, il fine ultimo di ogni individuo animale. L’approccio metodologico dello Stagirita si fonda sulla logica finalistica del telos specifico di ogni animale: “è infatti individuando le principali tendenze innate che si può capire cosa possa costituire un danno e una privazione per ogni essere vivente e, per converso, cosa possa permettergli non solo di permanere ma anche di fiorire”. In fondo è l’idea di un’intelligenza organizzatrice immanente che sorregge, per esempio, la teorizzazione di processi di auto-organizzazione in condizioni di lontananza dall’equilibrio elaborata da Prigoggine e Stenger in quel libro capitale per la riflessione epistemologica contemporanea pubblicato agli inizi degli anni ’80 del secolo scorso e che si intitolava La Nuova Alleanza.

Ciò che comunque mancherebbe in Aristotele sarebbe l’elaborazione di una teoria che guardi alla relazione di giustizia tra l’uomo e gli animali e l’idea dell’illegittimità dell’uso della violenza nei loro confronti. Saranno poi gli stoici ad avallare un approccio nei confronti degli animali che, partendo dalla esclusione degli animali dalla comunità degli esseri viventi dotati di logos, approderà ad una svalutazione delle loro facoltà mentali e ad una conseguente assenza di responsabilità morale nei confronti del loro sfruttamento. Il consumo di carne a scapito della dieta vegetariana ne sarebbe il conseguente prolungamento.     

Discorso del tutto divergente è possibile riscontrare in Plutarco e soprattutto in Porfirio dove astinenza alimentare, dieta vegetariana, vincoli di solidarietà tra discepoli, autodisciplina e limitazione del tempo dedicato al sonno costituivano le regole di un vero e proprio stile di vita, quel bios filosofico che intesseva la trama del quotidiano e che è stato magistralmente illustrato da Pierre Hadot. Secondo Porfirio, scrive Pomelli, “nulla più dell’abitudine a corrompere il corpo con gli alimenti di origine animale rischia di lasciare il filosofo in preda alla propria irrazionalità”. All’arroccamento antropocentrico dei filosofi del Portico occorre rispondere accostandosi al mondo degli animali con un’ottica relativistica e convenzionalista. Fra le tante riflessioni dell’autore del De Abstinentia mi piace citare la seguente che reputo di straordinaria lungimiranza e attualità: “La Natura, che ha creato gli animali, ha fatto in modo che essi avessero bisogno di noi uomini e che noi avessimo bisogno di loro, dotando le  bestie di un connaturato sentimento di giustizia nei nostri confronti e noi del medesimo sentimento nei loro riguardi”. È l’idea di una solidarietà reciproca tra antroposfera e zoosfera senza la quale non può esserci, nel vero senso della parola, salvezza.

Certo, oggi le cose sono ancora più complesse. La modernità e la scienza classica, dai loro albori, hanno preteso di elaborare leggi eterne e, riduzionisticamente, di negare la mutevolezza e la corruttibilità del divenire naturale. I parametri galileiani, baconiani, cartesiani e newtoniani legati alla quantità si sono gradualmente affermati nel corso della rivoluzione scientifica a scapito del paradigma aristotelico incardinato sul dispositivo della qualità. A questo si aggiunga l’affermazione del capitalismo come punto di svolta nel passaggio da un mondo armonico e unitario ad un mondo dicotomico, scisso e asimmetrico. Se Porfirio poteva ancora permettersi di parlare della Terra come del focolare comune degli dèi e degli uomini oggi siamo approdati ad un mondo in cui gli animali, come tutto d’altra parte, sono merce da produrre su scala industriale (si pensi al bio-tech). Ci si chiede, per esempio, se è eticamente legittimo ingabbiare gli animali per crudeli esperimenti di vivisezione o ucciderli per soddisfare le esigenze effimere della moda. A conferma del fatto che il rapporto con la natura, in effetti, non può essere separato dai rapporti di produzione e dai conflitti sociali inerenti a quei rapporti.  

Resta in sospeso un ultimo aspetto della questione, colto in modo particolare da Felice Cimatti in un suo recente intervento su Alias de Il Manifesto. Tutti i pensatori in rassegna si definiscono in quanto esseri umani, sono cioè portatori di un punto di vista da cui osservare il tema del rapporto tra umano e non umano/animale che non è neutro. Il paradosso consiste nel fatto che, da Aristotele a Porfirio, ognuno dei filosofi si avvicina al proprio interlocutore per confessargli, nascostamente ma non troppo, che il problema non è solo legato alla necessità di colmare quello spazio vuoto lasciato aperto dal non umano. Ma che solo a partire dalla definizione di esso sarà anche possibile, per differenza, analogia o contrapposizione, definire cosa è l’umano. Un paradosso emblematico, se si pensa al fatto che il nostro è un contesto culturale nel quale domina la pretesa dell’oggettività imparziale e disinteressata. E in cui perfino la stessa nozione di natura è una categoria sociale. Ed in effetti, in un mondo in cui sono i rapporti capitalistici di produzione a definire il rapporto concreto tra natura e società, l’oggettività non può essere intesa come una grandezza esterna alla società. Al contrario ne è un sottoprodotto, rappresenta cioè un effetto ideologico che mira a celare, dietro la presunta parvenza dell’asettica neutralità, precise responsabilità politiche e di potere funzionali al processo di accumulazione di specifici sottosistemi della società. È questo il compito più importante che si trova a dover affrontare chi si interroga criticamente sulle logiche a cui risponde lo sfruttamento e il maltrattamento degli animali. Ecco perché a noi non resta che  auspicare che sia il lettore stesso a sentirsi partecipe, sulla scorta di quanto insegnano problematicamente gli antichi, non solo dell’umanità di chi scrive ma anche della dignità, se così si può dire, di tutti gli altri esseri viventi.  
0 Commenti

E LA CLASSE RESTO' A GUARDARE

13/9/2015
di Frank Ferlisi

TINA (“There Is No Alternative”, ovvero Non Esiste Alcuna Alternativa) rimane il fondamento più o meno esplicito dell’apologetica indiretta in favore del sistema capitalistico, che pure è palesemente in crisi. Ciò è dovuto al fallimento di quasi tutte le esperienze storiche del “socialismo reale”, e ai tratti sempre più marcatamente capitalisti mostrati oggi dal sistema cinese. Per questo motivo il prossimo ciclo di seminari di PalermoGrad, intitolato BACK TO THE USSR, tratterà, dal punto di vista della struttura economica, dell’esperienza sovietica (1917-1991).
Per “lanciare” la discussione pubblichiamo questo pezzo di Frank Ferlisi, che ci pare eccellente per capacità di sintesi e che punta il dito sui principali interrogativi rimasti aperti, anche se non necessariamente ne condividiamo tutte le affermazioni.


Già ben prima del crollo del 1991, si potevano conoscere le difficoltà e le contraddizioni del sistema sovietico attraverso la lettura di testi come La rivoluzione bolscevica di Edward H. Carr e di una serie interessante di libri e saggi di Moshe Lewin. La biografia di quest’ultimo è talmente interessante che vale la pena di riassumerla. Nasce a Vilnius nel 1921 da famiglia ebraica. All’arrivo dei Tedeschi fugge in URSS mentre i suoi genitori scompariranno nella Shoà. Lavora in un Kolkoz e poi in un impianto siderurgico e successivamente si arruola nell’Armata rossa per combattere i nazisti. Da sempre laburista sionista, alla fine del conflitto, parte per la Palestina e partecipa alla guerra del 1948. Compie lì i primi studi storici, ma deluso dal laburismo israeliano, parte per Parigi e studia Storia con Braudel. Diventa professore e lavora come docente a Parigi, New York, Birmingham in Inghilterra, e, infine, nuovamente Parigi fino alla pensione. Muore nel 2010.  Studia per anni il sistema economico e politico dell’URSS e nutrirà più di qualche speranza per l’azione riformatrice di Gorbaciov. Numerosi i suoi saggi e pubblicazioni sull’argomento, stampati, in Italia, per la gran parte da Einaudi. Devo dire che mi sono formato su questi testi. E ho capito che non si può emettere un giudizio di condanna del sistema sovietico e su Stalin a causa della scarsa “democrazia” o di qualche fucilazione in più o in meno senza commettere una inaccettabile semplificazione che, piaccia o no, accetta, nei fatti, la propaganda becera anticomunista che ancora oggi prevale quando si parla di URSS e di socialismo reale. E che, probabilmente, si scatenerà nel 2017, centenario della Rivoluzione d’Ottobre. In vista di questo anniversario sarebbe opportuno che i partiti comunisti si diano da fare con convegni, seminari, pubblicazioni, articoli su giornali e riviste non per fare apologetica, che non serve a nessuno, bensì per fare un’analisi storica delle vicende che diedero vita alla prima “scalata al cielo” e magari per porre domande serie sulle ragioni del fallimento. Per fare cultura, opinione, senso comune, che contrasti quanto più possibile la propaganda, sicuramente infarcita da falsità, della gran parte dei mass-media. Per ricostruire un “popolo di sinistra” occorre anche una cultura di sinistra. Che sarebbe un modo anche per riaggregare attorno a un grande tema l’intellettualità marxista oggi frammentata e in solitudine.

Tra il 1918 e il 1921 si combatté, in quello che fu l’Impero zarista, una sanguinosissima guerra civile tra l’Armata rossa e le armate bianche controrivoluzionarie sostenute dalle potenze dell’Intesa che, tra l’altro, avevano costituito in territorio russo delle teste di ponte con sbarco di reparti militari (inglesi, francesi, italiani, giapponesi). A milioni furono le vittime per la fame, il freddo, i combattimenti. Per contrastare le armate bianche, per approvvigionare i civili, in particolare nelle città, e l’Armata rossa, fu istituito il “comunismo di guerra”. Tutte le aziende furono nazionalizzate e la manodopera militarizzata (divieto di sciopero), i contadini sottoposti a requisizioni pesantissime, fu reintrodotta la pena di morte per i controrivoluzionari, i beni principali furono razionati e posti sotto un ferreo controllo amministrativo che non riuscì, però, a impedire la nascita del mercato nero. Fu istituita anche la Ceka sotto la guida di Dzeržinskij, una polizia politica al servizio della Rivoluzione.

Terminata la guerra civile che i Sovietici, con costi umani e materiali terribili, superarono vittoriosamente, l’economia generale del paese era stremata. Lenin sia per allentare la tensione sia per rilanciare l’economia impose la Nep (nuova politica economica) che vedeva la reintroduzione dei privati nel commercio e nella gestione della piccola industria e la possibilità per i contadini, detratta una quantità di prodotto da consegnare allo Stato, di vendere il ricavato del loro lavoro sul mercato privato. Per alcuni fu un passo indietro, ma l’economia della Russia era in condizioni peggiori di quelle del 1914 e non c’erano molte risorse per rilanciare processi di sviluppo senza la partecipazione dei privati che, ovviamente, non si erano schierati con la controrivoluzione. Nonostante l’arretratezza tecnologica, l’agricoltura fece da volano alla crescita e si formarono tra i contadini anche patrimoni di una certa rilevanza.

Lenin morì nel 1924 e gli succedette Stalin che nel 1928, in seguito a una carestia di una certa pesantezza, firmò l’atto di morte della Nep e procedette alla totale statalizzazione dell’agricoltura, dell’industria e del commercio. Non fu un atto suggerito o imposto da una lettura dogmatica del marxismo. Stalin ritenne che fosse arrivato il momento di procedere all’industrializzazione del paese da portare avanti, se necessario, a tappe forzate a costo di reintrodurre il terrore. Il futuro dimostrerà che Stalin aveva ragione poiché l’industrializzazione del paese fu uno dei fattori che permise all’URSS di resistere all’invasione delle potenze dell’Asse (operazione Barbarossa, 22 giugno 1941) e di sconfiggere il nazismo. Si può discutere il modo, ma l’obiettivo si rivelò giusto.

Tutte le terre furono nazionalizzate e si costituirono i Kolchoz gestite da cooperative di contadini mentre erano precedentemente sorti i sovckoz, fattorie statali con manodopera salariata. I profitti tratti dalle attività agricole furono dirottati per gran parte verso l’industria pesante ed energetica. I contadini agiati, o kulaki, si opposero, ovviamente, a volte con la forza, ma Stalin reagì con la deportazione di massa.

Da allora l’economia fu gestita attraverso la pianificazione socialista ideata e scritta dal Gosplan (Commissione per la pianificazione) con i piani quinquennali il primo dei quali (1928 – 1933) si concluse con risultati positivi già nel 1932. Se non erro, nella Storia sovietica abbiamo avuto quattordici piani quinquennali l’ultimo dei quali fu interrotto dal crollo del sistema comunista nel 1991. Di notevole il secondo piano (1932 – 1937) che registrò un aumento straordinario della produzione di acciaio. Quello che va sottolineato è che i notevoli investimenti nell’industria pesante comportarono il notevole sacrificio dell’industria dei consumi (dall’abbigliamento, alla tecnologia domestica, etc.). 

Il Gosplan programmava gli interventi che poi ricevevano l’approvazione del Soviet supremo o dei Soviet locali per gli affari di loro pertinenza. Ricordo che i Soviet non erano più quelli della Rivoluzione, formati da operai, soldati e contadini, ma si erano, come possiamo dire? parlamentarizzati ed eletti a suffragio universale. Si poteva parlare ancora di “dittatura del proletariato”? Se si accettava una identificazione, di sapore mistico, tra il Partito e la classe operaia, sì. Ma riprenderemo questo discorso più avanti.

In generale, la Storia ci racconta che la pianificazione funzionò egregiamente negli stadi iniziali dello sviluppo economico (i primi due del processo di industrializzazione e quelli del dopoguerra per la ricostruzione del paese), ma, raggiunta un certo livello di sviluppo, entrava in una fase di stagnazione. A essa si accompagnarono, quasi cronicamente, seri problemi nella distribuzione e nel coordinamento tra le varie imprese. Quali le ragioni di questa stagnazione quasi permanente che ebbe una certa importanza, a parere di chi scrive, nel crollo del sistema? Furono diverse, di carattere economico e politico. Provo a formulare alcune ipotesi.

Tutta l’economia venne statalizzata tranne alcune imprese artigiane dove non si registrava presenza di manodopera salariata. Quindi tutta l’economia era da pianificare. Era una pianificazione totale che, inevitabilmente, generava il totalitarismo. Da qui il controllo su tutta la società, anche negli aspetti privati e personali delle singole persone. Questo sistema finiva per allontanare la gente comune dalla politica e dal socialismo. La propaganda occidentale esasperava e ingigantiva questo aspetto, ma non era certo un problema inventato. Oltretutto, le inefficienze e le difficoltà a reperire beni di consumo rafforzavano i fenomeni di allontanamento e di passivizzazione in quanto i Soviet non costituivano più una forma di democrazia diretta dove i proletari decidevano “cosa, quanto, come, dove produrre”, bensì istituzioni di democrazia delegata. Viene infatti il dubbio che se fossero stati gli operai a potere decidere, probabilmente non avrebbero mai accettato un sacrificio così prolungato dei beni di consumo privati a favore di un continuo aumento dell’industria bellica. L’aggressione imperialista non era invenzione, ma una dialettica libera tra classe, Partito e Governo avrebbe potuto determinare altri esiti e, in ogni caso, avrebbe prodotto una maggiore identificazione tra classe e Stato socialista. L’elezione dei Soviet era un grandioso processo democratico, sicuramente, ma era, in fondo in fondo, di tipo delegato e, quindi, niente di granché diverso da quello occidentale. Di fatto era ripristinata la differenza tra “società civile” e “società politica”. Moltissimi operai, studiando e impegnandosi, entravano nella società politica, o nell’apparato del Partito, o dello Stato. Ma cambiavano il loro status. Chi più, chi meno, in misure sempre diverse, “dimenticava” il suo essere stato operaio in quanto aveva cambiato, oggettivamente, classe: era entrato nella piccola borghesia degli apparati. Che è una cosa ben diversa della piccola borghesia produttiva (artigianato e commercio) che lavora, a volte duramente, per sbarcare il lunario.  Perché la piccola borghesia degli apparati non sarebbe pericolosa mentre artigiani e commercianti lo sarebbero? Visto, poi, che molti di loro, approfittando della posizione occupata nello Stato sovietico, al momento del crollo si sono arbitrariamente impadroniti delle proprietà statali.

Perché l’inefficienza e la stagnazione? Scriveva Moshe Lewin che il Gosplan, ogni anno, doveva stabilire il prezzo di oltre cinque milioni di merci. Un’impresa impossibile che neanche l’introduzione dei moderni calcolatori è riuscita a superare. Da qui contraddizioni, errori, inadempienze, lacune, obiettivi sbagliati e non centrati. Non solo, ma anche i controlli rallentavano l’esecuzione dei vari progetti in quanto intervenivano i vari ministeri, etc. L’unico ministero che mostrava una invidiabile efficienza era quello della Difesa che controllava un largo apparato industriale-militare.

Possiamo aggiungere, nella formulazione di ipotesi, che questi grandi apparati burocratici avevano un riflesso conservatore per cui le innovazioni, anche tecnologiche, erano viste con una certa ostilità perché avrebbero richiesto un personale nuovo che avrebbe inevitabilmente rotto equilibri consolidati e richiesto spazi sempre più ampi al potere politico? Io penso che sia una ipotesi plausibile.

Quindi non è arbitrario pensare che, a livello di massa, qualcosa si sia logorato dentro nei confronti del Socialismo fino al punto di rottura. I dirigenti politici, le burocrazie di Partito e dello Stato non hanno saputo/voluto frenare questo venir meno del consenso, piuttosto lo hanno incoraggiato, consapevolmente o meno, con atti e con parole. E quando è arrivato Gorbaciov, era troppo tardi; si era ormai vicini al punto di rottura e le riforme da lui portate avanti invece di provocare il superamento in positivo delle contraddizioni, le hanno esacerbate rendendole esplosive. Da qui l’innescarsi di tendenze centrifughe separatiste (i paesi baltici), sicuramente incoraggiate dall’esterno: ma resta impressionante la passività con cui un Partito con dieci milioni d’iscritti, e la classe operaia sovietica, hanno assistito al crollo del sistema senza muovere un dito. Segno che all’interno della classe non c’era più una grande identificazione col sistema. Io credo che non sarebbe blasfemo affermare che la classe operaia italiana degli anni settanta era più politicizzata e sindacalizzata della classe operaia sovietica. La classe operaia sovietica deteneva dei privilegi rispetto a quella italiana o di qualsiasi altro paese capitalista, ma politicamente appariva muta e passiva. La “dittatura del proletariato”, in URSS, non esisteva più da un pezzo e quindi era venuta meno gradualmente l’identificazione con lo Stato, considerato, oggettivamente, uno Stato appunto con un apparato di coercizione in mano a un apparato burocratico di Partito e di Stato che per gran parte coincidevano. Un apparato fatto da intellettuali con aspirazioni piccolo-borghesi che non godevano tanto di privilegi economici quanto di status e del privilegio del non lavoro manuale. Il punto di vista era diverso, gli interessi erano diversi. Il richiamo ai classici si trasformò in marxismo – leninismo, un apparato ideologico che più che analizzare la realtà concreta e le sue contraddizioni in perenne mutamento, serviva a giustificare le scelte degli apparati dello Stato e del Partito.

Quando è iniziato questo “allontanamento” tra lo Stato socialista e la classe? Probabilmente durante lo stalinismo che, per amore e per forza, aveva potenziato le strutture dello Stato, i suoi apparati di controllo, la coercizione. Con la differenza che Stalin riusciva ancora a mobilitare non solo gli operai, ma i Sovietici in generale, con la sua politica sociale e con l’autorevolezza che gli veniva dal suo essere stato a fianco di Lenin nell’Ottobre della Rivoluzione e dal ruolo, importante, in essa avuto. Eravamo in una fase di “costruzione” della potenza sovietica, il paese cresceva, il suo prestigio aumentava, si realizzavano grandi cambiamenti negli stili di vita, l’istruzione aumentava, si viveva meglio. E poi c’era una grande mobilità sociale: una lavandaia, se studiava, diventava medico-chirurgo e c’erano tutte le condizioni per favorire questa mobilità sociale. E poi, non va dimenticato, il ruolo avuto nella “grande guerra patriottica” contro le potenze dell’Asse. Esauritosi la fase della costruzione/ricostruzione (dopo la guerra) venne meno la spinta propulsiva, la società si cristallizzò, l’economia gradualmente si fermò o addirittura regredì e prevalsero quei meccanismi repressivi che rendevano difficile i processi di identificazione. Negli anni ottanta del XX secolo l’alto tasso di alcolizzati nella popolazione sovietica e l’abbassamento della vita media denunciavano un senso di vuoto e una mancanza di prospettiva. Il crollo fu, però, prima di ogni altra cosa, un crollo economico. Tanto è vero che l’URSS abbandonò al proprio destino i paesi socialisti dell’Europa dell’est, ma non solo. Non ne parliamo molto a causa del nostro eurocentrismo, ma tutti i paesi socialisti dell’Africa per i quali gli aiuti sovietici, se non essenziali, erano per lo meno importanti, crollarono rovinosamente (Angola, Mozambico, Repubblica Popolare del Congo, Etiopia).

In Europa orientale Polonia e Romania avevano ottenuto da banche occidentali grandi prestiti e per restituirli, dovettero operare una stretta vigorosa alle condizioni di vita dei loro cittadini. In Polonia poi, la classe operaia, a causa di consistenti aumenti dei prezzi, era scesa in piazza sia nel 1970 che nel 1975. La risposta repressiva fu durissima. In quelle due occasioni gli operai, nei cortei, sventolavano le bandiere rosse e cantavano l’Internazionale, ma lo Stato socialista gli sparò addosso egualmente. Niente di strano che nel 1980, quando nacque Solidarnosc, gli operai cantassero inni alla Madonna. Ricordiamo che Wojtyla fu eletto papa nel 1978. Si innescò anche un movimento nazionalista che vedeva nella Russia, atea e imperialista, un nemico terribile e oppressivo per i Polacchi il cui cattolicesimo servì per secoli a difendersi dalla Russia zarista, ortodossa, e dalla Prussia luterana e a mantenere la propria identità nazionale, la propria cultura, etc.

Tornando all’URSS, chi scrive ricorda che Lenin non era contrario a concedere a settori della piccola borghesia una certa libertà di iniziativa economica sia per non caricare gli uffici della pianificazione di un compito eccessivo, come tale in effetti si rivelò, sia per non amplificare oltre certi limiti il sistema repressivo. Il futuro della Storia sovietica dimostrò che anche in questo caso Lenin aveva visto giusto. Chi scrive pensa che anche in agricoltura si dovrebbe andare cauti e non considerare la terra esclusivamente come fattore di produzione di tipo industriale. L’agricoltura è una attività economica antichissima e permise al genere umano il superamento della preistoria in quanto consegnò alle donne e agli uomini una quantità di cibo che prima neanche si sognavano. Non escluderei che l’attività agricola avesse anche aspetti mistici e ricordo le innumerevoli divinità femminili, rappresentate da statuette di donna col ventre gonfio, che riunivano in sé la fertilità dei corpi femminili e della terra. Forme religiose che vennero superate da divinità più aggressive quando si costituirono le primo forme statuali segno della nascita di classi dominanti che imponevano la propria supremazia al resto del popolo mediante l’uso della forza. 

 I contadini, quando vedono sorgere i primi germogli, hanno reazioni affatto diverse da quelle di un operaio che vede dirigersi verso i piazzali un’auto completa. Come diversa è la reazione del contadino di fronte a un campo devastato dalla piena o dalla siccità rispetto a quella di un operaio di fronte a un’auto montata male.  Permane, nonostante i millenni passati, tra contadino e terra un rapporto forte, sentimentale, quasi mistico. Ricordo che è dall’attività agricola che nasce l’idea di <patria>. Quello che voglio dire è che l’agricoltura non si può “industrializzare” e rendere il lavoratore della terra un operaio simile a quello di fabbrica. L’industria, e la conseguente nascita degli operai, deriva dal capitalismo e si basa sull’esproprio di lavoro, vita, risorse economiche prodotte, senso dell’esistenza agli operai. Nel socialismo continua l’esproprio del profitto che, però, viene socializzato nell’interesse di tutta la società. E sta anche qui la necessità inderogabile che siano i delegati operai a dire la parola definitiva sull’uso del plusvalore estratto dal loro lavoro; altrimenti in cosa consisterebbe il socialismo? In un semplice cambio “amministrativo”? Una volta abolita la grande proprietà capitalista della terra, non si può pensare di formare una “fattoria statale” dove lavora manodopera salariata. E, infatti, l’agricoltura dei paesi comunisti non è che, in generale, abbia mai dato eccellenti risultati. La soluzione più appropriata resta la forma “cooperativa” della proprietà della terra. Accanto la piccola proprietà privata. Parte del prodotto andrà allo Stato, l’altra parte si dirotta al libero mercato che in parte deve restare, perché è folle costringere lo Stato socialista a programmare numero e dislocazione dei commerci, etc. etc. etc. Il piccolo commercio va lasciato ai privati che, però, devono pagare le tasse, mantenere manodopera salariata nel rispetto assoluto delle leggi e dei contratti nazionali e via discorrendo. I supermercati vanno invece nazionalizzati. Come insensato, economicamente e politicamente, è la pretesa di nazionalizzare tutte le piccole imprese produttrici. Quando vivevo in provincia di Como, non lontano da casa mia, c’era una piccola fabbrica di cravatte con quaranta operaie. Cosa c’è di strategico nella nazionalizzazione di una impresa del genere? Perché lo Stato socialista deve perdere tempo e denaro a pianificare la produzione di cravatte? E’ assurdo. Lasciamo al privato questa impresa che porterà avanti sempre nel pieno rispetto di leggi, regolamenti e contratti nazionali di lavoro. Quello che è certo è che anche i lavoratori e le lavoratrici delle piccole imprese private esprimeranno delegati e delegate, magari eletti su basi territoriali, a decidere, a livello nazionale, “cosa, quanto, come, dove produrre”.

E’ ovvio che tutte le grandi imprese e quelle di produzione strategica, qualunque dimensione abbiano, saranno statalizzate, come i servizi essenziali (acqua, luce, gas, trasporti, etc.). Non cito scuola e sanità perché vanno “istituzionalizzate” nella Costituzione.

Insomma, una certa dinamica economica, una limitata concorrenza tra pubblico e privato va mantenuta pena il controllo totale della società che inevitabilmente non può che essere totalitaria con la conseguenza di una crescita ipertrofica di apparati di pianificazione, di controllo, di repressione e quant’altro e distacco graduale del popolo lavoratore dallo Stato socialista. 

In ogni caso, chi scrive pensa che il crollo del socialismo reale non sia stato un atto liberatorio bensì una catastrofe globale che ha annichilito, come scritto sopra, alcune esperienze africane che potevano avere uno sbocco interessante, e penso all’Angola, ma anche al Sudafrica, che si libera dall’apartheid anche grazie all’aiuto internazionalista di Cuba e dell’URSS ad Angola e Mozambico, al Sudafrica, ripeto, che avrebbe anche potuto avere un percorso maggiormente orientato a sinistra. La globalizzazione del Capitale ha marciato su tutto il pianeta assoggettando anche i paesi socialisti superstiti che sono stati costretti a farci, in modi e misure diverse, i conti (Cina e Vietnam, ma anche Cuba) per sopravvivere. Perché il crollo ha dato sangue ed energie all’ondata conservatrice, partita negli anni ottanta con Reagan e Thatcher e diventata un vero e proprio tsunami dopo il biennio 1989 – 1991 trascinando con sé i relitti non solo del socialismo ma del welfare state e del socialismo democratico sulle spiagge delle terre dei morti. Il crollo è stato una tragedia storica le cui conseguenze, purtroppo, non si sono esaurite. Da questa epoca potremo uscire quando, in un paese dell’occidente capitalistico si determinerà un collasso economico e istituzionale o una rivoluzione proletaria. Che capiti nel Botswana, con tutto il rispetto, non cambierebbe il quadro (chi si ricorda del Nepal dove i comunisti hanno abbattuto con la forza la monarchia e stravinto le elezioni?).

Credo di potere chiudere qui la mia modestissima riflessione. Immagino che farà incazzare un po’ di compagne e compagni che mi accuseranno di essere trozkista o anche peggio. Io trozkista non sono e, in ogni caso, non mi pare un’offesa. Chi mi contesta deve però provare a spiegare le ragioni di un crollo disastroso senza limitarsi alla guerra fredda, che c’è stata e ha avuto indubbiamente un ruolo, l’assedio imperialista (idem), il tradimento, il revisionismo, etc. Spiegazioni che hanno elementi di verità, ma che vanno calati nella materialità delle realtà socialiste se non vogliono restare mere accuse ideologiche. Insomma, qualcosa, e di grosso, non ha funzionato, a prescindere del sabotaggio imperialista. Non si tratta di lanciare accuse a destra e a manca, di scomunicare, etc. Si tratta di capire. E la comprensione del crollo doveva essere uno degli elementi centrali di una rifondazione comunista, che non c’è stata.


0 Commenti

IL MALE OSCURO (MA NON TROPPO) DEL CAPITALE

3/9/2015
di Giovanni Di Benedetto

Prosegue su Palermograd il dibattito avviato dagli interventi di Totò Cavaleri (9 Aprile 2015) e Calogero Lo Piccolo (3 Giugno 2015) su disagio mentale, desiderio, lavoro e nuove forme di schiavitù del godimento. L’intento è quello di tracciare una cartografia in grado di individuare le forme della sofferenza psichica nell’attuale contesto sociale e di provare a legarle all’analisi della società capitalistica, alle forme contemporanee del lavoro e del suo sfruttamento. 



Alcuni articoli comparsi negli ultimi mesi su Palermograd hanno provato a sottolineare il nesso strettissimo che lega le condizioni del benessere psicologico soggettivo e l’assetto della sfera dei rapporti sociali e di produzione dell’attuale formazione sociale dominata dal modo di produzione capitalistico. Mi riferisco, nella fattispecie, a queste riflessioni di Calogero Lo Piccolo e queste di Totò Cavaleri. Si sottolineava, in particolare, come il campo dell’attuale crisi economica abbia determinato un conseguente incremento di infelicità e malessere, aggravato peraltro dalla percezione di non reversibilità di una tale condizione di naufragio e spaesamento. In una recente intervista, l’economista Emiliano Brancaccio ammoniva chi, in Italia, si è recentemente esaltato per l’andamento dell’economia e dell’occupazione ricordandogli che se alla fine del 2015 l’occupazione, come previsto dalla Commissione Europea, dovesse crescere di 130.000 unità, ci troveremmo comunque con un milione di posti di lavoro in meno rispetto al 2008. Stesso discorso andrebbe fatto per la tanto celebrata economia della Spagna che si ritroverà, alla fine dell’anno, con due milioni e mezzo di occupati in meno in confronto all’anno in cui è esplosa la crisi dei mutui subprime. Il governo greco, alla vigilia del referendum a seguito della rottura delle trattative sul debito, rottura, è bene ricordarlo, voluta dai “creditori” della Troika, ha pubblicato alcune significative informazioni sulla situazione economica del Paese. L’austerità, imposta dalle istituzioni europee, dal Fondo monetario internazionale e dal governo tedesco, ha prodotto i seguenti risultati: tra il 2010 e il 2014 la pressione fiscale è cresciuta di 5 punti percentuali rispetto al Pil, la spesa pubblica è diminuita di un quarto e i salari monetari sono caduti di 20 punti percentuali. Negli stessi anni la crescita della disoccupazione giovanile è passata dal 30% al 55%. Il numero di occupati è diminuito di un milione. I disoccupati sono aumentati da 560.000 a 1.220.000 e il tasso di disoccupazione è balzato al 25,7%. I greci che vivono sotto il livello di povertà sono passati dal 27,6% nel 2010 al 34,6% nel 2013. Non c’è ragione per non correlare questi dati a un aumento dei suicidi, del 35% dal 2010 al 2014, e dei casi di depressione del 270%. Due milioni e mezzo di greci non hanno assicurazione sanitaria con una crescita, dal 2010 al 2014, del 500%. La crisi, almeno in Europa, è lungi dall’essere superata, le ricette della Commissione europea, della Banca centrale europea e del Fondo monetario internazionale, basate sulla dottrina dell’austerità, hanno gonfiato il problema e aumentato a dismisura il disastro economico. Ad ulteriore conferma che non viviamo nel migliore dei mondi possibili.

In secondo luogo, mi sembra che nei due testi sopra citati, di Lo Piccolo e Cavaleri, si provasse a ragionare sulla necessità di attivare una soggettività che, oltre i limiti imposti dall’individualismo sfrenato e dalla competizione egoistica, fosse in grado di produrre strategie collettive di resistenza efficaci e produttive. Penso che il merito di queste riflessioni risieda nella capacità di rendere evidente quanto di ideologico vi sia in alcune insistite, e per nulla disinteressate, giaculatorie sull’analisi lacaniana dell’evaporazione del padre, ossia della funzione paterna del definire limiti (castrazione simbolica), facendo emergere la dimensione paradossale di certi moniti da ancien régime che richiamano l’esigenza di un ritorno al principio di autorità. La questione da porre risiede, piuttosto, nella capacità di rendere sociale, e dunque politico, il disagio del singolo, restituendogli, in questo modo, la giusta connotazione di problema collettivo. Del resto, secondo Lacan, il compito del lavoro clinico dell’analista consiste proprio nel rendere il paziente consapevole del suo essere deprivato dei legami sociali per aiutarlo nella ricostruzione di un contesto relazionale gratificante. Se si vuole ancorare la discussione a momento collettivo di riflessione e di crescita, e ad una politica sul che fare, è questa, a mio avviso, la strada che si deve battere. Ecco perché occorre evitare che certe riflessioni evochino il bisogno di un ritorno normalizzatore e di un surplus di controllo sociale.

Ma allora non sarebbe forse il caso di capovolgere il senso delle nostre valutazioni e l’orizzonte delle nostre prospettive? Insomma, non è forse la tracotanza dell’individualismo egoistico, l’illusione di una narcisistica libertà totale e il sogno di un appagamento immediato e esaustivo di ogni desiderio, ad essere di per sé, senza alcuna esigenza di ritorno dell’autorità, il portato di una strategia di normalizzazione e di controllo sociale? C’è da chiedersi se, forse, è la crescente massa di normalizzati e passivizzati a essere non soggetti che scelgono ma il prodotto di una rete di dispositivi di manipolazione ed inganni che fa credere loro di essere liberi. Come se l’istanza al godimento, anche attraverso esperienze esistenziali astratte e intensive, fosse il risultato normalizzatore del discorso del capitalista. In fondo assistiamo al compimento, come scriveva Giovanni Jervis già trent’anni fa, dell’immagine borghese e conservatrice della libertà, cioè della totale libertà del lecito e dell’illecito individuale. Un’immagine che sconfina in una rivendicazione reazionaria, e perfino fascista, che porta allo scoperto un sogno istintivo di violenza, di potere totale e di arbitrarietà senza mediazione alcuna.

Eppure la libertà, come insegnavano Camus e Sartre, può essere una “condanna”, considerato il fatto che in essa si cela un lato oscuro che ci costringe, se analizzata dalla prospettiva della costruzione di sé, a fare i conti con la necessità di rispondere delle nostre scelte, delle nostre azioni e, soprattutto, degli insuccessi delle nostre azioni. Viviamo un tempo in cui l’individuo vive in solitudine il proprio senso di inadeguatezza rispetto al principio di prestazione: Ehrenberg, alcuni anni fa, sottolineava in maniera magistrale come, nel tempo presente, all’origine del disagio mentale vi sia la fatica di essere se stessi, ossia l’incapacità fisiologica, e per ciò tutta umana, di dispiegare le proprie potenzialità all’interno delle logiche del mercato fondate sulla concorrenza e sulla competitività. È, insomma, nell’ambito di una crescente pressione concorrenziale per il salario, di un’accelerazione degli stimoli nervosi nella competitività produttiva e di uno stress costante dell’attenzione per il conseguimento di standard di rendimento sempre più elevati, che si determinano effetti psichici di natura patologica. Non sto qui a ricordare lo slittamento che l’indirizzo suggerito da Ehrenberg imprime alle tradizionali impostazioni di stampo freudiano sul disagio mentale che rimandano alla isteria come risposta ad un contesto nevrotico dominato da repressione e rimozione. Mi pare più importante, per l’economia del nostro discorso, soffermare l’attenzione sull’operazione di svelamento necessaria a mettere in chiaro che è il modo di produzione capitalistico del tempo presente, nelle forme della sussunzione reale alla finanza, a determinare distese di sofferenza spirituale, oltre che fisica, molto più ampie e vaste di quello che si potrebbe solo immaginare.

È a questo livello della discussione che va connesso il tema lacaniano, ripreso da Recalcati, dell’evaporazione del padre, altro che ritorno dell’autorità. È vero, sarebbe troppo semplicistico rintracciare, nella genesi dei disturbi psichici, la produzione diretta del capitalismo: il problema è probabilmente più complesso. Tuttavia, non ci si può sottrarre dal riconoscere che sempre più di frequente le cause del disagio mentale e dei disturbi psichici sono riconducibili non solo a variabili psichiche e culturali ma, insieme, a contraddizioni sociali. Forse se si ricordasse, come scrive Marx, che il capitale è un rapporto sociale di produzione, che in quanto tale si accresce attraverso lo scambio con il lavoro vivente determinando dominio del lavoro accumulato sul lavoro immediato e, conseguentemente, sfruttamento, dissimmetria e sofferenza (un tempo avremmo detto alienazione), si sarebbe nelle condizioni minime per ripristinare le  premesse per uno sforzo collettivo nella direzione della lotta per la liberazione e l’emancipazione. È lo stesso Recalcati ad avvalorare quella che lui chiama un’eco marxista quando scrive in Patria senza padri che “oggi una parola chiave dei nostri pazienti è lavoro” intendendo con questa affermazione che il lavoro diventa condizione di possibilità per rifondare la parola desiderio. Certo, sottolinea Recalcati, si tratta di uno spostamento radicale rispetto a quanto si sosteneva negli anni Settanta, quando si considerava la costruzione del desiderio come radicalmente antitetica al lavoro. Tuttavia, c’è tutta una tradizione filosofica che, al centro della modernità, ha ragionato su queste questioni, dalla rousseauiana consapevolezza che l’uomo nasce libero e dappertutto è in catene alla riflessione hegeliana sulla dialettica servo-padrone come dialettica del riconoscimento, per finire ovviamente a Marx. Alla fine degli anni ’20 del secolo scorso Wilhelm Reich attaccò Freud chiedendo che tipo di influenza aveva il sistema capitalista nella genesi della miseria psichica degli operai viennesi. Non si trattava soltanto di analizzare le analogie teoriche che legavano la psicoanalisi di Freud al materialismo storico di Marx, entrambi maestri del sospetto e di un metodo critico in grado di destrutturare le verità evidenti del sintomo psicotico e dello scambio per risalire ad elementi di disagio e di crisi più profondi, ma di funzionalizzare la tecnica psicoanalitica ponendola fattivamente in soccorso della classe operaia.

Certo, occorre subito precisare che tutta la storia della psicoanalisi è stata attraversata dalla pretesa ambigua di distinguere chiaramente fra la dimensione di disciplina normalizzatrice e di recupero e riabilitazione ai valori e ai principi della società borghese, e la natura eversiva di un messaggio dissidente, obliquo e potenzialmente sovvertitore. D’altra parte è anche giusto indicare i rischi di uno sguardo teorico e politico che pretenda di sovrapporre le analisi di un fenomeno storico come il capitalismo, con le sue crisi economiche e i suoi conflitti sociali, e le indagini di natura psicologica, riguardanti prevalentemente la condotta dell’individuo entro un contesto storicamente determinato. In alcuni contributi teorici che in questi ultimi tempi si sono sforzati di cogliere elementi di congiunzione tra politica, psicoanalisi e critica dell’economia, si può  manifestare il rischio dell’utilizzo di procedure ermeneutiche di una disciplina per spiegare il funzionamento di un oggetto di studio che con quella disciplina nulla hanno a che fare. Si ha la sensazione che a volte ci si illuda di spiegare con metafore e costruzioni teoriche e linguistiche proprie di una disciplina, la psicoanalisi, dispositivi di funzionamento del modo di produzione; e, viceversa, che si tenti di spiegare il meraviglioso e complesso modo di funzionamento della mente con l’apparato concettuale della scienza economica. Mentre sarebbe bene che i vari livelli del lavoro di indagine, pur dovendo necessariamente cooperare sulla scia di un metodo transdisciplinare, fossero mantenuti distinti. Il rischio che colgo è quello di una certa ambiguità, magari sorretta da una certa spregiudicatezza intellettuale, che poco rafforza, però, la capacità di centrare la natura dei problemi per risolverli. Se c’è un insegnamento preliminare che ho appreso dalla multiforme e a volte policroma corrente culturale dell’ecologia della mente, mi riferisco ai lavori di Watzlawick, Morin e soprattutto di Bateson, è che non si devono mai confondere livelli logici di discorso fra loro differenti.   

Il funzionamento del capitalismo è crisi, vive di crisi, convulsioni, conati, incertezze, catastrofi. Il capitalismo è contraddizione. Che tutto questo abbia degli esiti disastrosi per l’equilibrio economico, ma non per l’accumulazione dei profitti, è certo. Come è certo il fatto che il disastro ha degli effetti sulla natura sociale del disagio mentale. C’è una connessione di causa ed effetto tra l’acuirsi della ingiustizia sociale, delle diseguaglianze e della precarietà e la patologia mentale collettiva. Da qui il dovere di  tenere insieme lavoro politico, critica dell’economia capitalistica e analisi psicologica. Forse potrebbe essere utile, senza per questo ricadere in semplicistiche forme di riduzionismo economicistico, partire dall’analisi delle trasformazioni del capitalismo contemporaneo. Magari soffermandosi di più sullo studio dei rapporti sociali di produzione, sull’analisi della loro articolazione in una determinata formazione sociale storicamente data, sull’esame dei rapporti geopolitici di potere. Restituendo centralità, lì dove si produce ricchezza, allo sfruttamento sul lavoro nelle svariate forme che questo ha assunto, a partire dal comando monetario e finanziario che ne costituisce il centro propulsivo. Ritornando ad analizzare e denunciare, per esempio, il controllo sul lavoro sempre più stringente, la pressione del comando capitalistico sempre più pervasiva, la frammentazione della classe, sotto il maglio della precarietà e della flessibilità, sempre più forte. O evidenziando, all’interno dello stesso ciclo produttivo, tipologie di contrattualizzazione e inquadramento differenti e molteplici. Il fatto è che va posta come questione fondante la centralità del rapporto di classe e del modo di produzione. Riccardo Bellofiore ha spiegato come “l’esplosione del lavoro dipendente dal capitale cui assistiamo in questa fase (altro che fine del lavoro, e altro che fine del lavoro salariato!) si tramuta in una frantumazione della classe dei lavoratori. La classe operaia certo non scompare, ma viene privata di coscienza e di forza, diviene parte di quel capitale che ne minaccia l’esistenza storica come soggetto autonomo.” Per inciso, anche per queste ragioni vanno rifiutate quelle rappresentazioni dell’economia contemporanea come contrassegnate dal carattere dell‘immaterialità e del cognitariato. È a partire da questa consapevolezza che diventa necessario riattivare forme rinnovate di solidarietà della forza lavoro, strategie di alleanza tra pari nel segno dell’uguaglianza e della libertà.

In conclusione, è certo che il disagio mentale è lì a ricordarci, come il fantasma di Marx, che non tutto funziona per il meglio nel mondo dei normali e dei sani, né tanto meno nel mondo che ha assistito al successo effimero, eppure di portata epocale, del capitalismo. Questa considerazione vale a maggior ragione se ci si rende conto che la sofferenza spirituale e psicologica permea, oggiggiorno pervasivamente, la vita umana e la società. Eppure è terribilmente difficile, nel tempo presente dominato dalle passioni tristi, avere chiaro che il punto non è legare, nella vita lavorativa ma anche in quella affettiva, la nostra condotta e le nostre prestazioni a presunti criteri oggettivi di merito ed efficienza, ma che la posta in gioco consiste nell’acquisizione della consapevolezza dei dispositivi di potere e dello sfruttamento di classe che generano, direi quasi foucaultianamente, in tutti noi, nessuno escluso, subalternità e sentimenti di inadeguatezza ai meccanismi individualistici e competitivi che istigano alla lotta di tutti contro tutti per l’effimero godimento della merce. D’altronde, nel tempo che hanno voluto dipingere come il tempo della fine della storia, e dunque nel tempo della fine del conflitto di classe, lì dove domina incontrastata la logica del lassez faire, ciò che conta è la lotta per la sopravvivenza all’interno del mercato autoregolato: poi, poco importa se l’ideologia economica mainstream, che presuppone condizioni naturali di equilibrio, aggiunga a mò di corollario, al fianco di una ristretta élite di vincenti, l’effetto collaterale di masse sterminate di emarginati, sconfitti, perdenti e umiliati.

È il contesto, produttivo e sociale, di sollecitazione permanente delle nostre energie nervose, nella sfera del mercato del lavoro, e di mobilitazione costante delle nostre solitudini, all’interno dello spazio del consumo, che genera sofferenza psichica nella forma dell’ansia, dell’angoscia e della depressione e che deve essere messo in discussione. Sono da rintracciare qui le radici della condizione di perdita di senso, di smarrimento esistenziale e di precarizzazione permanente delle nostre vite, di quel panorama psichico segnato da una paralisi delle nostre facoltà fisiche e mentali, razionali e irrazionali insieme, che impedisce loro di entrare in connessione empatica con l’altro. E invece sarebbe il caso di sforzarsi per trasfigurare, per dirla con Freud, la libido dell’io narcisistico in una libido oggettuale, aprendosi al contesto di nuovi legami sociali e di nuove alleanze politiche. 
0 Commenti

    Archivio

    Gennaio 2021
    Dicembre 2020
    Novembre 2020
    Ottobre 2020
    Settembre 2020
    Agosto 2020
    Luglio 2020
    Giugno 2020
    Maggio 2020
    Aprile 2020
    Marzo 2020
    Febbraio 2020
    Gennaio 2020
    Novembre 2019
    Ottobre 2019
    Settembre 2019
    Agosto 2019
    Luglio 2019
    Giugno 2019
    Maggio 2019
    Aprile 2019
    Marzo 2019
    Febbraio 2019
    Gennaio 2019
    Dicembre 2018
    Novembre 2018
    Ottobre 2018
    Settembre 2018
    Luglio 2018
    Giugno 2018
    Maggio 2018
    Aprile 2018
    Marzo 2018
    Febbraio 2018
    Gennaio 2018
    Dicembre 2017
    Novembre 2017
    Ottobre 2017
    Settembre 2017
    Luglio 2017
    Giugno 2017
    Maggio 2017
    Aprile 2017
    Marzo 2017
    Febbraio 2017
    Gennaio 2017
    Dicembre 2016
    Novembre 2016
    Ottobre 2016
    Settembre 2016
    Luglio 2016
    Giugno 2016
    Maggio 2016
    Aprile 2016
    Marzo 2016
    Febbraio 2016
    Gennaio 2016
    Dicembre 2015
    Novembre 2015
    Ottobre 2015
    Settembre 2015
    Agosto 2015
    Luglio 2015
    Giugno 2015
    Maggio 2015
    Aprile 2015
    Marzo 2015
    Febbraio 2015

    Feed RSS

I contenuti di questo sito, salvo dove altrimenti specificato, sono distribuiti con licenza
Creative Commons Attribuzione 3.0 Italia (CC BY 3.0 IT)  
palermograd@gmail.com
Immagine
RSS Feed