ADULTI E RAGAZZINI
26/3/2020
di Roberto Salerno
Il 22 marzo scorso il primo ministro svedese, Stefan Löfvén, si è rivolto ai suoi cittadini per informarli delle intenzioni del governo svedese sulle misure necessarie per arginare la terribile epidemia di corona virus che sta infestando l'Europa. Dopo il classico richiamo alla forza della società svedese e aver espresso la fiducia che tutti avrebbero fatto la loro parte, Stefan Löfvén ha aggiunto: “noi siamo adulti che necessitano di essere esattamente questo: adulti”. Il contagio in Svezia riguarda – al 25 marzo – 2526 persone, con 44 deceduti. Le autorità sia politiche che sanitarie svedesi hanno preso in considerazione i costi del blocco con particolare attenzione agli “effetti perversi”. Nel tenere le scuole aperte hanno per esempio ritenuto che questo potesse comportare un aggravio anche tra gli operatori sociali e sanitari, riducendo il numero di persone impegnato a gestire l'emergenza ordinaria - sia consentito l'ossimoro - e conseguente abbandono di altri soggetti che necessitano di cure. Si capisce meglio quindi di cosa parlava Stefan Löfvén quando si riferiva agli “adulti”. Le modalità di trasmissione del contagio d'altra parte sembrano essere note: se ci si lava le mani con una certa frequenza – soprattutto dopo aver toccato materiali di cui non si conosce la provenienza - e se ci si tiene ad un paio di metri di distanza da chiunque, il rischio di infettarsi sostanzialmente non esiste. Il consigliere svedese dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, il 24 marzo, in una trasmissione televisiva ha detto ai suoi connazionali: "passeggia con un amico e cammina a un metro di distanza. Non abbracciare il tuo vicino. Porta un thermos e siediti su una panchina del parco. Se stai seduto a casa fai male non solo alla tua testa ma anche alla tua salute". Naturalmente è impossibile sapere se la strategia svedese, in aperta polemica con l'OMS, non verrà drasticamente cambiata dal succedersi degli eventi: ma nel frattempo colpisce il tentativo di alzare lo sguardo al di là della pandemia e una certa coerenza delle risposte. Il confronto con l'Italia, che si continua a sostenere essere l'esempio da seguire nonostante i numeri drammatici, è impietoso. Dal 31 gennaio, cioè da quando è stato decretato lo stato d'emergenza al 24 marzo, si sono susseguiti 5 decreti legge, 7 decreti del presidente del consiglio. Vari decreti dei ministeri dell'economia, dei trasporti e della salute e una quantità incalcolabile di ordinanze della protezione civile e dei poteri locali dalle regioni ai comuni, senza contare circolari e direttive. Una simile produttività mostra quanto fosse del tutto inaspettato un simile sviluppo dell'epidemia ed evidenzia l'incredibile panico che ha colto le istituzioni italiane, che stanno vedendo come via d'uscita la riduzione dei cittadini di un paese industrializzato, benestante, dagli elevati standard sociali e culturali, a bambini di non più di 12 anni incapaci di badare a loro stessi, e tutti quanti indistintamente pericolosi per gli altri. Persone da tenere a casa, costi quel che costi, anche se le conseguenze saranno peggiori dell'epidemia stessa, e anche se i numeri non sembrano giustificare questo delirio collettivo che da almeno un paio di settimane si è trasformato in vero e proprio panico. Si argomenta che non si deve correre perché c'è il rischio di fratturarsi una gamba, come se rimanere a casa non esponesse al rischio di spaccarsi la testa in una lite con i condomini. Da una parte l'OMS raccomanda di non sospendere l'attività motoria e dall'altra aggiunge “in osservanza delle norme locali”. Cittadini sono confinati in casa mentre il 30% della popolazione dell'area di più alto contagio continua a lavorare in condizioni di sicurezza drammatiche. Militari per le strade che pretendono di far rispettare con la forza norme confuse, e sanzionare comportamenti che nessun tribunale potrebbe mai condannare. In un continuo avvitarsi di cui non si vede la fine, non si comprende a quale logica ubbidisca la trasmissione dei dati: perché un giorno si parla di contagiati, l'altro di morti , l'altro ancora di guariti e quindi di ospedali pieni e personale sanitario infetto. Come beffardo paradosso, a tanta confusione fa da contraltare una prontezza all'ubbidienza che non è solo timore delle sanzioni ma forse è una sorta di autopunizione - come se ci fosse veramente qualche nesso tra il sacrifico personale e il miglioramento della ricezione da parte degli ospedali - fomentata da autorità che chiamare irresponsabili è poco, come nel caso del presidente della regione Emilia Romagna che è riuscito a dire “farei vedere gli ospedali pieni a chi pensa di farsi una corsetta”. Il tutto, come accennato, è confortato dai numeri solo fino ad un certo punto. In Scandinavia, la Norvegia e la Finlandia hanno utilizzato misure enormemente più restrittive, eppure in Norvegia i dati dei contagiati sono simili a quelli svedesi, nonostante in Svezia viva il doppio delle persone. “In Svezia muoiono ogni anno 90 mila persone. Se l'aiuto medico venisse ridotto, questo numero aumenterebbe in modo significativo.” Trattare le persone da adulti non è un lusso, è una necessità. Nella speranza che l'ultima frontiera non sia confidare che altrove stia per arrivare l'apocalisse.
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