di Giovanni Di Benedetto
Il prossimo mercoledì 21 marzo 2018 si terrà presso il Liceo Classico “Vittorio Emanuele II” di Palermo un convegno di Aggiornamento/Formazione per il personale della Scuola pubblica statale intitolato Adolescenze fragili nell’epoca della “Buona scuola”. Il convegno è promosso dal Cesp, Centro studi per la scuola pubblica, dal Laboratorio di Gruppoanalisi, dal Centro clinico Koinè e dalla Scuola di specializzazione in psicoterapia psicoanalitica Coirag. Qui di seguito pubblichiamo un intervento di presentazione dell’iniziativa. Accendere la speranza di scelte vitali. Con questo invito, a metà tra l’auspicio e l’accorata esortazione, la psicoterapeuta Erika Di Cara, in un suo intervento di pochi mesi fa relativo al rischio suicidario in adolescenza, suggeriva lo scopo da perseguire se non vogliamo abbandonare a se stesse le nuove generazioni. La scuola, all’interno del suo ragionamento, occupa un posto centrale. Eppure mai come in questo momento l’istituzione scolastica è stata delegittimata nella sua funzione educatrice e formatrice di cittadini e cittadine responsabili. Da un lato i ripetuti attacchi degli ultimi governi in carica, per ultimo l’esecutivo di Renzi con la legge 107 della Buona scuola, finalizzati allo smantellamento dell’istituzione pubblica, che in linea teorica dovrebbe garantire il diritto all’istruzione e alla cittadinanza, a tutto vantaggio dell’ingresso di logiche di mercato, di profitto e di privatizzazione. Dall’altro, conseguenza di un mancato investimento economico e culturale nel mondo della scuola, genitori e studenti adolescenti che si scagliano contro i docenti, colpevoli esclusivamente di cercare di assolvere al loro mandato sociale. In mezzo, schiere sempre più numerose di ragazzi e ragazze abbandonati a se stessi, senza alcun riferimento o modello educativo a cui fare ricorso nel lento e tormentato processo di crescita. Lo sfondo sociale, culturale e politico entro il quale diamo conto di queste dinamiche non gode di salute migliore. La cifra del contemporaneo sembra essere la catastrofe: una generalizzata crisi di senso, l’appropriazione progressiva e sempre più estesa di ogni ambito vitale dell’esistenza da parte della spettrale vacuità della merce, una diffusa e oppressiva indifferenza connotata da un tragico svuotamento emozionale, l’invasività sempre più soffocante del digitale con i suoi simulacri virtuali e massmediali e, per finire, un impalpabile eppur reale senso di cronica inadeguatezza di fronte alle sfide che l’ingresso nell’età adulta comporta. I giovani e le giovani adolescenti sono le prime vittime di questo scenario, anche quando sembrano assumere le maschere del rude bullismo e della becera violenza del branco. In un intervento di qualche mese fa sulla rivista nazionale dei Cobas della scuola (http://www.giornale.cobas-scuola.it/identita-in-frantumi/) ponevo per l’appunto il problema della connessione del disagio degli studenti/esse e degli/delle adolescenti con i nuovi vincoli imposti all’elaborazione di un sapere autenticamente critico da parte della cosiddetta Buona scuola. Scrivevo di una contraddizione irrisolvibile tra le istanze di mercificazione e privatizzazione della scuola promosse da Renzi e il “mandato” istituzionale che, almeno in teoria, dovrebbe promuovere cittadinanza e condivisione di diritti e doveri. Da qui un disorientamento generalizzato tra gli studenti e le studentesse sollecitati/e da istanze tra loro contrapposte. Pare che questo disorientamento sia legato, è la clinica a sostenerlo, all’emersione di un disagio non più edipico ma narcisistico. È il terrore di non essere all’altezza delle proprie aspettative, sembra che si tratti della fatica di esistere generata dalla persuasione di essere inadeguati. Gli adolescenti pensano che non riusciranno a realizzare il proprio percorso di crescita come processo di soggettivazione, pensano di non potere costruire il proprio futuro perché si sentono inadeguati nei confronti di un percorso esistenziale che occorre realizzare per rivelare importanti elementi del proprio sé. Questa versione inedita del disagio, questa stanchezza dovuta a una sorta di ingiunzione alla prestazione di cui già parlava Ehremberg nel suo La fatica di essere se stessi, apre le porte a quella sensazione di incapacità nel tenere fede ai propri ideali e alle proprie aspettative su se stessi, che rimanda, come inevitabile conseguenza, alla vergogna. Può essere, a mio avviso, un terreno di riflessione e conflitto politico in grado di coinvolgere, su un tema trasversale come quello della cura per il destino esistenziale delle nuove generazioni, docenti, famiglie e gli stessi studenti. La scuola è, forse, il principale campo di forze nel quale si misurano e si scontano queste micidiali derive distruttive. Eppure è anche lo spazio pubblico, forse uno degli ultimi rimasti nel nostro Paese, nel quale si possono produrre, e in effetti in taluni casi si producono, tentativi di resistenza e spinte incoraggianti verso un lavoro di accompagnamento delle nuove generazioni a una rielaborazione del proprio vissuto, delle proprie fantasie e della propria dimensione affettiva. Affinché questa prospettiva possa effettivamente radicarsi occorre ripensare a una nuova alleanza tra corpo docente, famiglie e giovani generazioni. Occorre fare tesoro delle possibilità di cura, anche nell’ambito della relazione terapeutica, ricorrendo a tutte le risorse possibili per riaccendere la speranza di scelte vitali. Da qui l’idea di un incontro pubblico che possa dibattere questioni di tale complessità provando a continuare insieme quel flebile dialogo fra l’istituzione scolastica (Liceo classico Vittorio Emanuele II), la clinica (Laboratorio di Gruppoanalisi, Centro clinico Koinè e Scuola di specializzazione in psicoterapia psicoanalitica Coirag) e il mondo più largo dei genitori e degli insegnanti (Cesp Centro studi scuola pubblica) di cui sempre di più si sente il bisogno. Si tratta di un’urgenza non più rinviabile. È tempo di mettersi all’opera.
0 Commenti
Lascia una risposta. |
Archivio
Gennaio 2021
|