DALLA SCOZIA CON FURORE. PARTITO DELLA NAZIONE, TRAMONTO LABURISTA, CRISI DI IDENTITA' A SINISTRA
18/5/2015
Il dato più evidente emerso dalla elezioni britanniche è senz'altro la clamorosa affermazione dei nazionalisti scozzesi, che hanno fatto il pieno di voti a spese della sinistra. Pubblichiamo in proposito l'analisi - "arrabbiata" il giusto - di un membro di Left Unity Glasgow South. Left Unity è l'unico partito britannico affiliato alla Sinistra Europea.
Scritto da Chris Cassels 18 maggio 2015 Le elezioni del 7 maggio hanno fatto registrare un’impennata nazionalista su entrambi i versanti del Vallo di Adriano. A nord, lo Scottish National Party (SNP) ha ribaltato il lunghissimo dominio del Partito Laburista, conquistando 56 dei 59 seggi riservati alla Scozia nel parlamento britannico; i Conservatori sono risultati invece il partito con più voti e più seggi per quanto riguarda il Regno Unito nel suo complesso. Lo SNP ha vinto grazie allo slogan nazionalista “Stand Up for Scotland”. I Tories hanno vinto alimentando la paura di un governo laburista di minoranza sostenuto dai nazionalisti scozzesi: in sostanza hanno vinto facendo appello al nazionalismo inglese. E’ impossibile minimizzare la portata del cambiamento avvenuto sulla scena politica scozzese nel corsi degli ultimi anni. Il Labour Party in Scozia è riuscito a mantenere un solo seggio : il peggior risultato in termini di candidati eletti dal 1900 ad oggi. Si pensi che il partito aveva la maggioranza dei seggi scozzesi sin dal 1964, e che già nel 1906 era riuscito a far eleggere due candidati: il doppio della rappresentanza attuale. In quanto socialisti, non riponiamo illusioni nel Partito Laburista e vediamo nella sua rovina la naturale conseguenza del disintegrarsi in tutta Europa di quella socialdemocrazia che dagli anni Novanta in poi ha sposato in pieno il liberismo (per non dire dei profondi limiti che le sono stati propri sin dal principio). D’altro canto, fino a qualche tempo fa pareva legittimo sperare che la crisi del riformismo potesse dar luogo ad una forte ripresa delle idee autenticamente socialiste e dei soggetti politici che vi fanno riferimento. Inutile dire che non è andata così. È successo invece che, con il tacito – e in certi casi esplicito – sostegno della sinistra (compresi il Socialist Workers Party, il Socialist Party Scotland, lo Scottish Socialist Party, i gruppi e gli individui che gravitano intorno alla Radical Independence Campaign), il nazionalismo è divenuto il movimento politico dominante sulla scena scozzese. Se non ci mettiamo in gramaglie per la scomparsa del Partito Laburista in Scozia, dobbiamo però riconoscere che questo spettacolare successo nazionalista costituisce un vero e proprio passo indietro per i lavoratori scozzesi. Se voti laburista, perlomeno stai votando in compagnia della tua classe sociale: stai votando per il “partito dei lavoratori”, per quanto confusa e malriposta possa essere tale definizione. Se voti SNP stai votando per la tua nazione, nel nome dell’interesse patriottico… basta leggere il nome sull’etichetta: Scottish National Party significa dopotutto Partito Nazionale Scozzese. La sinistra nazionalista ha interpretato il voto per lo SNP come un’espressione di scontento rispetto allo status quo, come opposizione alle politiche di austerità e volontà di rompere con l’unanimismo neoliberista dei principali partiti, laburisti compresi. E può anche essere vero – fino a un certo punto – che a spingere la gente ad assestare “un calcio nel sedere ai laburisti” sia stato una diffusa indignazione rispetto a cinque anni di austerity, in larga misura appoggiate dallo stesso Labour. Ma l’altra motivazione principale – enfatizzata dalla sinistra scozzese sin dalla campagna referendaria dell’anno scorso – è l’idea che la Scozia soffra di un deficit democratico in quanto nazione. Di qui lo slogan “Stand Up for Scotland”. Ma le affermazioni secondo le quali la Scozia “merita di meglio”, oppure “deve far sentire la propria voce” all’interno del Regno Unito, oppure ancora – per citare lo slogan della Radical Independence Campaign – “Un’Altra Scozia è Possibile”, sono in effetti altrettante espressioni di nazionalismo. Si tratta delle rivendicazioni di una nazione, non certo di una classe. Non diversamente da quanto succede in giro per l’Europa, la sinistra scozzese è frammentata e debole. In 15 dei 59 collegi scozzesi si sono presentati 16 candidati socialisti, appartenenti alla Trade Unionist and Socialist Coalition (TUSC), allo SSP, a Left Unity, al Communist Party of Britain (CPB) [la formazione che pubblica il quotidiano Morning Star, ndt] ed al Socialist Equality Party (SEP). Complessivamente hanno ottenuto soltanto 2.911 voti su un totale di oltre 2 milioni e 900.000, ovvero più o meno lo 0,1% . Non che in Inghilterra e nel Galles la sinistra di classe abbia fatto molto meglio. Parte della responsabilità per l’irrisorio risultato va attribuita alle stesse sigle di cui sopra. La TUSC è frutto di un accordo raffazzonato tra il Socialist Workers Party e il Socialist Party, due gruppi altrimenti noti per la reciproca ostilità. Ha un programma elettorale anti-austerity che è una sorta di minestra keynesiana riscaldata, ed esiste come TUSC solo ed esclusivamente in occasione delle varie scadenze elettorali: tra l’una e l’altra SWP e SP tornano entrambi a dedicarsi al rispettivo lavoro politico. Left Unity è invece un’organizzazione relativamente nuova, il cui gruppo dirigente – pur avendo promesso, al momento della fondazione, di dar battaglia sul terreno elettorale - all’atto pratico si è rivelato tutt’altro che entusiasta dell’idea di presentare effettivamente dei candidati, preferendo sostenere i Verdi e la sinistra del Partito Laburista (http://bright-green.org/2015/02/13/left-unity-to-back-anti-austerity-greens-in-general-election/). Lo Scottish Socialist Party ha invece tentato di accreditarsi quale alla sinistra dello SNP, cui ha proposto un’alleanza elettorale per la consultazione del 2015, nel segno dell’indipendentismo. Non inaspettatamente, il SNP ha declinato l’invito, nonostante il prezioso lavoro svolto dal SSP nell’appoggiare acriticamente la campagna referendaria del 2014: i nazionalisti, ben lieti di servirsi dei militanti di sinistra in qualità di utili idioti quando c’era da sgobbare per il referendum, hanno reso noto di non desiderare ulteriori legami. Ad ogni buon conto, il programma elettorale del SSP comprendeva l’impegno a battersi per una “moderna, competitiva economia scozzese”, con una chiara preferenza per il progetto nazionale a scapito dell’orientamento socialista. Per quanto riguarda il CPB ed il SEP, si tratta, rispettivamente, dei postumi della sbornia stalinista e di un gruppuscolo ultrasettario della corrente trotzkista un tempo capeggiata da Gerry Healy: se meritano una cursoria menzione è perché quantomeno non hanno ceduto all’imperante nazionalismo di sinistra (anche se un altro genere di nazionalismo, quello britannico, è proprio del CPB, il che diverrà evidente in occasione del referendum sull’Unione Europea). Ad ogni modo, a parte le inadeguatezze dei partiti che hanno partecipato alle elezioni, ci sono ulteriori e significative ragioni che spiegano la minuscola entità del voto a sinistra. Nel novembre 2014, la Radical Independence Campaign (RIC) – una coalizione di socialisti e generici sinistrorsi che avevano fatto campagna per il ‘Sì’ nel referendum sull’indipendenza – ha riunito 2.500 delegati a Glasgow. Un leader della RIC dopo l’altro ha spiegato ai convenuti che il popolo scozzese era galvanizzato dalla possibile nascita di un nuovo movimento sociale capace di coniugare il desiderio dell’indipendenza con una politica progressista e anti-austerità. E proprio la RIC, si affermava, era quel movimento. È chiaro tuttavia che il popolo scozzese la pensa diversamente. Lo stesso giorno, sempre a Glasgow ma dall’altra parte della strada, una manifestazione del SNP cui partecipavano 12.000 persone festeggiava il rapidissimo aumento di iscritti – il partito conta adesso più di 100.000 tesserati – nei giorni seguenti la sconfitta referendaria. Campagne indipendentiste come quella della RIC, in definitiva, non hanno fatto altro che spingere tra le braccia dello SNP i propri sostenitori all’interno della classe lavoratrice. E d’altro canto, se passi un anno intero a raccontare alla gente che l’indipendenza è l’unica via per combattere l’austerity, liberarsi degli armamenti nucleari e conquistare riforme di segno progressivo, non devi stupirti se poi la gente di cui sopra accorre verso l’unico partito concretamente in grado di ottenere l’indipendenza: lo SNP. E difatti, in vista delle elezioni, gran parte della sinistra scozzese – militante nella RIC o gravitante intorno ad essa – ha salutato con favore l’ascesa dei nazionalisti, che durante gli ultimi mesi hanno sostenuto di essere un partito anti-austerità e dichiarato che non avrebbero sostenuto i Conservatori nell’eventualità in cui fosse stato necessario formare un governo di coalizione. Nonostante la manifesta assurdità di questo autoritratto, gran parte delle sinistra scozzese – pur senza giungere all’esplicita indicazione di voto per i nazionalisti, con la vergognosa eccezione del Solidarity Party di Tommy Sheridan – ha deciso di non esser d’intralcio al SNP, rifiutandosi di sostenere i pochi candidati socialisti che partecipavano alle elezioni. Se lo scarso entusiasmo nei confronti di progetti come la TUSC è comprensibile, il rifiuto di presentare un’alternativa al nazionalismo (o quantomeno di criticarlo a dovere) non lo è affatto. La RIC e simili, prefigurando l’indipendenza, debbono verosimilmente aver ritenuto la partecipazione al parlamento del Regno Unito incompatibile con la costruzione di un movimento politico tutto e solo scozzese. Ma la ragione principale di certe scelte è che gran parte della sinistra scozzese vede effettivamente nel voto per lo SNP uno spostamento a sinistra. Ci ripetiamo: tale spostamento sarà anche avvenuto nella coscienza degli elettori, ma rimane il fatto che ha trovato un’espressione politica nazionalista, non certo socialista. Prendiamo in esame la realtà dello SNP. I nazionalisti in Scozia sono al governo dal 2007, disponendo della maggioranza nel parlamento di Holyrood, creato nel 1998 in seguito alla “devolution” approvata da un referendum l’anno precedente. Tra il 2007 e il 2011 lo SNP si è avvalso dell’appoggio dei conservatori scozzesi onde approvare le annuali leggi di bilancio. Nel 2011 ha conquistato la maggioranza assoluta, procedendo ad oltre 3 milioni di sterline di tagli alla spesa pubblica: abbiamo assistito inoltre alla perdita di oltre 60.000 posti di lavoro nel settore pubblico, a scelte di tipo fortemente regressivo per quanto riguarda le imposte comunali, alla creazione di una forza di polizia centralizzata e alla decimazione delle amministrazioni locali. Per quanto concerne l’austerity, l’indipendente Institute for Fiscal Studies ha evidenziato come nel programma elettorale dello SNP le promesse in termini di spesa pubblica fossero addirittura inferiori a quelle del Labour, un partito esplicitamente votato alle politiche di austerità. Per quanto riguarda gli armamenti nucleari, la posizione dello SNP è del tutto incoerente: vuol disfarsi del programma Trident restando all’interno della NATO. Aggiungiamo a tutto ciò il rifiuto da parte dello SNP di istituire il salario minimo in Scozia, il suo sostegno nei confronti della monarchia e della presenza di reggimenti scozzesi all’interno dell’esercito britannico, nonché l’affettuosa amicizia con i giornali di Rupert Murdoch (l’edizione scozzese del Sun ha appoggiato la campagna elettorale nazionalista), ed ecco che l’idea che lo SNP sia un partito anti-austerità, e addirittura anti-establishment , appare chiaramente assurda. Oltretutto lo SNP durante la campagna elettorale si è premurato di rassicurare tutti di non avere alcuna intenzione di indire un secondo referendum sulla scorta di un grande successo alle urne, contraddicendo la tesi dei suoi sostenitori a sinistra, per cui il voto allo SNP andava visto in immediata continuità con la campagna referendaria. I principali appuntamenti politici dei prossimi anni sono due. Il primo è costituito dalle elezioni del 2016 per il rinnovo del parlamento scozzese; il secondo dal referendum, promesso dal governo conservatore, per decidere se il Regno Unito debba stare “dentro o fuori” l’Unione Europea. In proposito, va detto che quella sinistra che appoggia l’indipendentismo scozzese è tradizionalmente favorevole all’uscita dall’UE. Se terrà ferma su questo punto entrerà in rotta di collisione con il SNP, capitolando peraltro nei confronti di un’altra forma di nazionalismo. Se, al contrario, cambierà posizione in merito all’UE, si tratterà quasi certamente di una manifestazione di codismo nei confronti dell’europeista SNP. Nessuna delle due posizioni è all’altezza dei tempi: sarebbe piuttosto necessario impegnarsi per un’Europa rifondata su basi democratiche e socialiste. Rispetto a questo obiettivo, uscire dall’UE costituirebbe un passo indietro. Per quanto riguarda l’elezione del parlamento di Holyrood, è emersa l’ambizione di formare un nuovo partito di sinistra in Scozia. A questo scopo è nato lo Scottish Left Project, cui partecipano diverse figure della leadership della Radical Independence Campaign. La strategia è chiara: rimpiazzare i laburisti in veste di bonaria opposizione allo SNP, con il quale poi unire le proprie forze in vista di un secondo referendum per l’indipendenza. In altre parole, la lotta per il socialismo deve attendere che arrivi l’indipendenza, e nel frattempo bisogna accontentarsi di un programma riformista e nazionalista di sinistra. Che il declino dei laburisti in Scozia sia di natura terminale non è minimamente in discussione. A cinque giorni dal disastro elettorale, Jim Murphy – che ha perso il proprio seggio ad opera dello SNP – rifiutava ancora di rassegnare le proprie dimissioni da leader dell’organizzazione scozzese del partito: se dovesse restare in sella, il Labour va incontro a ulteriori umiliazioni nel 2016. Se si dovesse invece verificare una svolta a sinistra nel partito, i laburisti potrebbero riconquistare un po’ di voti, ma l’ipotesi più probabile – a meno di imprevedibili disavventure – è quella di un’ampia maggioranza assoluta per lo SNP a Holyrood. L’unico potenziale ostacolo è la proposta di piena autonomia fiscale per la Scozia, che comporterebbe un deficit di 7 miliardi di sterline nel bilancio, mettendo lo SNP nella posizione di dover adottare politiche di austerità senza più poterne attribuire la colpa a Westminster. L’idea di costringere la Scozia alla “responsabilità fiscale” incontra un certo favore presso il governo Cameron; e in ogni caso lo SNP svolge l’utile funzione di dividere i lavoratori, sottraendo energie alla politica di classe per incanalarle verso un addomesticabile nazionalismo, peraltro al momento incapace di aggregare una maggioranza assoluta degli scozzesi intorno alla richiesta dell’indipendenza. La piena autonomia fiscale potrebbe mostrare che l’intero progetto nazionalista è un vicolo cieco, creando le premesse di un revival del movimento socialista: ciò che temono i più preveggenti settori della classe dominante. Ma bisogna considerare la possibilità di un altro scenario, in cui la rivendicazione indipendentista diverrebbe inarrestabile. Un anno di austerità spietatamente inflitta dal governo conservatore, una maggioranza dello SNP a Holyrood nel 2016, l’uscita dalla UE in seguito all’ annunziato referendum: la combinazione di questi tre fattori renderebbe quasi certo un “Sì” all’indipendenza per mezzo di un seconda consultazione referendaria. Come socialisti, il nostro compito è di opporci a tutte e tre le eventualità di cui sopra; non certo di “non intralciare” la creazione di un nuovo stato capitalista che comporterebbe l’ulteriore impoverimento del proletariato, dacché una Scozia indipendente sarebbe costretta ad offrire un mercato del lavoro più “competitivo” e “flessibile” al capitale internazionale. Prima del referendum dell’anno scorso, quanti a sinistra si opponevano all’indipendenza fecero una serie di affermazioni, gran parte delle quali si sono rivelate esatte. 1) La gestione socialdemocratica di un’eventuale Scozia indipendente non poteva esser finanziata facendo affidamento sull’instabile mercato del petrolio: e il prezzo del petrolio si è più che dimezzato dal settembre scorso ad oggi. 2) L’appoggio della sinistra alla causa dell’indipendenza avrebbe portato all’ascesa dei nazionalisti, a scapito del movimento socialista: ma neppure noi avremmo potuto prevedere che lo SNP quadruplicasse gli iscritti. 3) La sinistra scozzese aveva abbandonato la politica di classe in favore del progetto nazionale: e difatti l’indipendenza rimane la priorità del movimento, mentre i tagli operati dallo SNP quasi non incontrano opposizione. 4) Avevamo detto, infine, che la vittoria del “Sì” avrebbe dato luogo, per citare James Connelly, ad un “carnevale della reazione” tanto in Scozia che in Inghilterra, dacché il lungo processo di “divisione dei beni” necessario a formalizzare l’indipendenza non avrebbe fatto altro che rinfocolare sciovinismi e campanilismi. Pare purtroppo che ciò stia accadendo comunque. Senza dubbio la situazione sarebbe stata peggiore nel caso di vittoria del “Sì”, ma l’impennata dei due opposti nazionalismi non è da sottovalutarsi. Sin troppo spesso, a sinistra, il nazionalismo scozzese (quando la sua esistenza viene ammessa, anziché parlarne come se si trattasse semplicemente di un movimento “anti-austerità”) viene dipinto come una benigna, civilissima forma di patriottismo; tutt’altra cosa dal razzismo dei rancorosi inglesi. Indubbiamente lo sciovinismo inglese è il più pericoloso dei due, ma la sua crescita attuale si deve anche all’ondata nazionalista in Scozia. In altre parole, stiamo assistendo all’inizio della disintegrazione sociale della working-class in Gran Bretagna in una serie di frammenti nazionali, regionali, persino locali: si vedano fenomeni come Yorkshire First, Mebyon Kernow (i nazionalisti della Cornovaglia), Plaid Cymru (i nazionalisti del Galles), fino ad arrivare magari a Tower Hamlets First e cose del genere. Una classe lavoratrice divisa è una classe lavoratrice debole, cosa che i Conservatori sanno sin troppo bene. Ai lavoratori inglesi viene adesso raccontato che l’unico modo di evitare che gli inetti scozzesi seguitino a metter le mani nel portafoglio degli industriosi cittadini del Sud è dare il voto ai Tory. Il trucco in parte ha funzionato e i conservatori adesso hanno la maggioranza assoluta: bisogna però controbattere con fermezza la versione dei fatti populista per cui “L’Inghilterra” avrebbe votato compatta per i Conservatori, cosa che in realtà una larga fetta dei lavoratori inglesi si è guardata bene dal fare. Ad ogni buon conto, la reazione della sinistra nazionale scozzese ai risultati emersi l’8 maggio è stata quella di rivendicare un nuovo referendum: un’altra bella dose di nazionalismo, in altre parole. Non c’è dubbio che nel dopo-referendum il discorso nazionalista abbia messo radici entro il dibattito politico scozzese. Persino i laburisti locali adesso pensano di modificare lo statuto del partito, in cui ci si vanterà di operare “nell’interesse patriottico del popolo di Scozia”. Le prospettive per i socialisti sono invece piuttosto cupe. Un eventuale nuovo partito di sinistra sposerebbe sin dal principio la causa dell’indipendenza e, stando all’esperienza passata, sarebbe estremamente prono al compromesso con lo SNP. Se poi il modello è la Radical Independence Campaign, non si tratterà certo di una organizzazione democratica: infatti non è possibile iscriversi alla RIC, che non mette ai voti alcunché in occasione dei suoi convegni e la cui leadership è del tutto autonominata. Ad ogni modo, qualsiasi cosa venga fuori dallo Scottish Left Project non potrà che marginalizzare la sinistra anti-nazionalista, dato che la rivendicazione dell’indipendenza, che precedentemente era considerata un fatto di strategia, è stata elevata a parola d’ordine di per sé socialista. Sullo sfondo, si profila adesso una spaventosa espansione del programma di austerity dei Conservatori, liberi dai vincoli del precedente governo di coalizione. Da parte scozzese, l’impegno ad opporsi a tutto ciò attraverso l’unità dei lavoratori da un capo all’altro della Gran Bretagna è stato, nel migliore dei casi, tiepido: e non possiamo che immaginare che tale rimanga. Tutto quello che possiamo fare, in questo periodo di regressione per quanto concerne la coscienza di classe dei lavoratori, è seguitare a mettere in chiaro l’essenza reazionaria del nazionalismo scozzese e batterci all’interno della sinistra per un movimento socialista unitario su scala europea, l’unica alternativa praticabile all’austerity e al capitalismo. (traduzione di Angelo Foscari)
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