
IL 1917 DI JACOBIN
UNDICESIMA PUNTATA
I DUE GOLPE
DI KORNILOV
Perché cent'anni fa si ruppe l'alleanza tra il generale Lavr Kornilov e Alexander Kerensky?
di Paul Le Blanc (*) 10 ottobre 2017
UNDICESIMA PUNTATA
I DUE GOLPE
DI KORNILOV
Perché cent'anni fa si ruppe l'alleanza tra il generale Lavr Kornilov e Alexander Kerensky?
di Paul Le Blanc (*) 10 ottobre 2017
C’è stato un tempo in cui il generale Lavr Kornilov e Alexander Kerensky erano considerati in Russia come degli eroi. Gli storici conservatori descrivono tutt’ora Kornilov come un vero patriota, un militare di professione, mentre gli storici liberali ci raccontano dell’eloquente, idealista avvocato Kerensky che voleva trasformare la Russia in una dinamica repubblica democratica. Dopo l’abdicazione dello zar Nicola II, i due fecero fronte comune: Kerensky a capo del governo provvisorio, Kornilov comandante in capo delle forze armate. Entrambi volevano condurre la nazione verso un futuro migliore.
Come hanno rilevato storici d’ogni tendenza, i due eroi litigarono nel mese di agosto del 1917, ponendo involontariamente le basi per la rivoluzione bolscevica. Non c’è accordo, tuttavia, su che cosa fu all’origine della rottura. Secondo alcune ricostruzioni, Kornilov stava pianificando un golpe che Kerensky sventò mobilitando gruppi socialisti e operai. I bolscevichi, privi di scrupoli – si sostiene – approfittarono del disordine e presero il potere. Altri, invece, sono dell’opinione che Kerensky si inventò il colpo di stato allo scopo di sbarazzarsi di Kornilov, aprendo però la strada – senza volerlo – alla fin troppo reale presa del potere da parte dei bolscevichi. Questa interpretazione rimanda all’interrogativo: perché mai Kerensky avrebbe dovuto tradire il massimo comandante militare minando il suo stesso potere? La risposta sta nel fatto che Kornilov aveva pianificato due golpe nel 1917: uno insieme a Kerensky contro i bolscevichi e l’altro contro lo stesso governo provvisorio. Il suo definitivo fallimento ci ricorda che avvenimenti storici delle proporzioni della Rivoluzione Russa non sono determinati dagli eroi, ma dalle forze sociali che creano il contesto all’interno del quale agiscono gli individui. Dalla rivolta alla repressione La maggior parte dei lettori di questa serie è ormai familiare con le condizioni che produssero la Rivoluzione Russa. Sin dalla fine del XIX secolo, la rigida monarchia semifeudale del Paese si era combinata col moderno capitalismo industriale. Questa bizzarra alleanza creò un’incredibile tensione tra la maggioranza della classe lavoratrice – soprattutto contadini, ma con una dinamica e crescente minoranza di lavoratori industriali – e l’élite, cioè i nobili ereditari e i capitalisti dell’industria. La Prima Guerra Mondiale inasprì le condizioni esplosive di quest’instabilità. A febbraio i lavoratori, rispondendo agli appelli rivoluzionari di diversi gruppi socialisti, organizzarono un’insurrezione di massa rivendicando pane e pace. Esigevano in definitiva la piena redistribuzione delle terre, la fine del dominio autocratico, eguali diritti e migliori condizioni di vita. Sorti dopo l’insurrezione, i consigli democratici dei lavoratori e dei soldati ne riflettevano i valori. Questi ‘soviet’ non solo coordinarono la rivoluzione, ma cercarono poi di dirigere la transizione politico‑sociale che l’insurrezione reclamava. Frattanto, alcuni tipi più “pragmatici” – liberali, conservatori e socialisti moderati – avevano formato un governo provvisorio, i cui dirigenti elogiarono i lavoratori, i contadini e i soldati, si complimentarono con i soviet e impiegarono ogni sorta di retorica democratica e populista che promettesse pace, pane e la terra. Ma la pace si sarebbe dovuta raggiungere solo onorevolmente, per il pane si sarebbe dovuto attendere fino alla fine della crisi, e la redistribuzione delle terre avrebbe dovuto rispettare il buon diritto dei proprietari. I soviet, inizialmente inclini ad assecondare questo governo apparentemente ben intenzionato, nondimeno fissarono dei ‘paletti’ che lo guidassero effettivamente verso gli obiettivi rivoluzionari. Vantando le proprie credenziali socialiste, Kerensky si propose come un ponte fra i soviet e il governo provvisorio, di cui divenne presidente. Benché molti credessero che Kerensky fosse destinato a costruire una Russia democratica, chi lo conosceva bene nutriva seri dubbi in proposito. “In Kerensky tutto è illogico, contraddittorio, mutevole, spesso capriccioso, immaginario o finto”, scrisse il dirigente socialrivoluzionario (SR) Victor Chernov, che fu ministro dell’agricoltura. “Kerensky” continuava “era tormentato dalla necessità di credere in se stesso, ed era sempre sul punto di guadagnare o perdere quella fede”. Mentre ancora sosteneva di rappresentare gli interessi dei soviet all’interno del governo provvisorio, Kerensky cominciò a schierarsi con altri politici legati alle classi dominanti, contro i soviet, che stavano indebolendo l’autorità del suo governo. I socialisti moderati, tra cui molti menscevichi e socialrivoluzionari, ribadivano la necessità che i soviet sostenessero il governo provvisorio per aiutarlo a costruire una democrazia capitalista, che essi ritenevano un lungo ma necessario preludio a un’eventuale transizione socialista. Al contrario, i ben più radicali bolscevichi, diretti da Lenin, insistevano sul fatto che le rivendicazioni delle masse insorte sarebbero state garantite solo attraverso una seconda rivoluzione che mettesse da parte il governo provvisorio dando «tutto il potere ai soviet»: cosa – questa – che, assieme all’estensione della rivoluzione ad altri Paesi, avrebbe avviato una trasformazione socialista. Sempre più lavoratori frustrati si unirono a loro; e anche settori della sinistra menscevica e socialrivoluzionaria furono convinti dalle tesi bolsceviche. Leone Trotsky, già brillante dirigente dell’ondata rivoluzionaria del 1905, fu la più famosa tra le nuove reclute bolsceviche. Un crescendo di rabbia operaia culminò, in luglio, in una manifestazione rivoluzionaria. A Pietrogrado militanti non controllati dal partito, ma appoggiati dai bolscevichi, diedero il via all’insurrezione. La violenza che ne derivò offrì il pretesto al governo per scatenare la repressione. Il socialrivoluzionario di sinistra Isaac Steinberg riferisce: «Soldati e ufficiali, studenti, cosacchi, scesero in piazza: perquisivano i passanti in cerca di armi e prove di “bolscevismo”, commettendo varie atrocità». Il governo provvisorio mise fuorilegge il partito bolscevico, ne perquisì e distrusse le sedi, arrestando ed espellendo i dirigenti e militanti più in vista. Kornilov e Kerensky In seguito alle Giornate di Luglio, Kerensky nominò Kornilov comandante in capo dell’esercito russo. Entrambi speravano di contrastare la pressione degli “intransigenti” operai che stavano creando comitati di fabbrica per prendere il controllo dei luoghi di lavoro e organizzando i propri gruppi paramilitari di “guardie rosse” per mantenere l’ordine pubblico e proteggere la rivoluzione dalla violenza reazionaria. Kerensky trovava inquietante un siffatto radicalismo, ma conservatori come il generale Kornilov trovava i moderati come Kerensky altrettanto sgradevoli. I politici tradizionali – sia liberali che conservatori – cominciarono a vedere in una dittatura militare l’unico mezzo per stabilizzare la nazione. Nelle sue memorie, Kerensky cita questo messaggio di Kornilov, da cui traspare il suo disprezzo per tutti i socialisti, anche quelli moderati: «Sono convinto … che i vigliacchi smidollati che formano il governo provvisorio saranno spazzati via. Se per qualche miracolo dovessero restare al potere, i dirigenti bolscevichi e il soviet rimarranno impuniti grazie alla connivenza di uomini come Chernov. È tempo di farla finita con tutto ciò. È ora di impiccare le spie tedesche dirette da Lenin, di sciogliere il soviet e di smembrarlo in maniera tale che non possa mai più riunirsi da nessuna parte!». Kerensky rivela: «Mi trovavo d’accordo, ma non partecipai all’elaborazione dei dettagli». Credeva che Kornilov gli avrebbe permesso di restare capo del governo, ma un emissario del generale rivelò ai capi dei conservatori e liberali della Duma che «tutto era pronto al quartier generale e al fronte per la rimozione Kerensky». O almeno così affermò Kerensky. Gli storici hanno discusso se Kornilov abbia realmente cospirato per rimpiazzare Kerensky con una dittatura militare. L’evidenza suggerisce una commedia degli equivoci, incomprensioni e malintesi. La maggioranza, tuttavia, concorda sul fatto che entrambi avevano deciso di spazzare via bolscevichi e distruggere i soviet. La sconfitta del (dei) golpe Quasi all’ultimo minuto, Kerensky capì di essere in pericolo. Dopo tutto, con i soviet fuori dai giochi, perché mai il generale si sarebbe dovuto preoccupare di piegarsi al moderato presidente di sinistra? Non appena Kornilov mosse le sue truppe su Pietrogrado per “salvare la Russia”, il presidente cercò di destituire il generale e fece appello alle organizzazioni dei lavoratori – compresi i bolscevichi, ai quali garantì il pieno riconoscimento legale – perché si mobilitassero in difesa della rivoluzione. In seguito, Kerensky scrisse: «Le prime voci sull’avvicinarsi delle truppe del generale Kornilov ebbero sulla gente di Pietrogrado lo stesso effetto di un fiammifero su una polveriera. Soldati, marinai e lavoratori furono tutti colti da un improvviso attacco di sospetto paranoico. Immaginavano di vedere controrivoluzionari dappertutto. Per paura di perdere i diritti che si erano appena guadagnati, scatenarono la loro furia contro tutti i generali, i latifondisti, i banchieri e gli altri gruppi “borghesi”». Il “sospetto paranoico” che Kerensky attribuiva alle masse insorte era, in effetti, il riconoscimento della triste realtà che si trovavano davanti. «La notizia della rivolta di Kornilov elettrizzò la nazione, soprattutto la sinistra», ricordava un menscevico di spicco come Raphael Abramovitch. «I soviet e gli organismi ad esso affiliati, i lavoratori delle ferrovie e qualche settore dell’esercito si dichiararono pronti a resistere a Kornilov, anche con la forza se fosse stato necessario». I comitati di fabbrica annunziarono che «Militari cospiratori, con alla testa il traditore generale Kornilov e col sostegno di poche divisioni miopi e prive di coscienza politica, stanno muovendo su Pietrogrado, cuore della rivoluzione». Un altro appello sottolineava che era «giunta l’ora terribile» ed esortava gli operai «a stringersi in difesa della rivoluzione e della libertà», concludendo: «La rivoluzione e il Paese richiedono la vostra forza, il vostro sacrificio, forse le vostre vite». Lo storico Alexander Rabinowitch scrive: «Spronate dalle notizie dell’attacco di Kornilov, tutte le organizzazioni politiche alla sinistra dei cadetti [il partito dei liberali filocapitalisti], tutte le organizzazioni sindacali di qualsiasi grandezza e i comitati di soldati e marinai ad ogni livello si sollevarono in lotta contro Kornilov. Sarebbe difficile trovare, nella storia recente, una più potente, efficace dimostrazione di azione politica così spontanea e unificata». Ma la risposta non fu del tutto spontanea. Il menscevico N.N. Sukhanov, testimone oculare dei fatti, osservò che i bolscevichi erano «l’unica organizzazione di grandi dimensioni, tenuta insieme da una fondamentale disciplina e in connessione con le fasce sociali democratiche di base della capitale». «Le masse – spiegò – nella misura in cui erano organizzate, erano organizzate dai bolscevichi». Benché il partito di Lenin avesse guadagnato consensi sin dal febbraio, gli insorti si identificavano con tutta una varietà di correnti socialiste. Come ha spiegato Abramovitch, «la minaccia della rivolta controrivoluzionaria scosse ed unì l’intera sinistra, compresi i bolscevichi, che esercitavano una considerevole influenza nei soviet. Sembrava impossibile respingere la loro offerta di collaborazione in un frangente di tale gravità». In seguito, Trotsky scriverà: «I bolscevichi proposero ai menscevichi e ai socialrivoluzionari un fronte unico di combattimento, e con essi crearono organizzazioni comuni per la lotta». Kerensky ci offre il suo punto di vista: «Temendo la possibilità di una vittoria della controrivoluzione e le conseguenti rappresaglie, la maggior parte dei dirigenti socialisti che componevano la coalizione si orientò verso i bolscevichi. Nelle prime ore di isteria, il 27 agosto, li accolsero acclamandoli a gran voce e si disposero, fianco a fianco con loro, a “salvare la rivoluzione”». Beninteso, il volubile Kerensky aveva egli stesso subito accuse d’isteria in più d’una occasione. L’ambasciatore statunitense in Russia, David Francis, rimproverò al presidente russo il fallimento, dacché egli aveva deciso di non «giustiziare i traditori Lenin e Trotsky» in luglio, e «aveva fatto fallire il negoziato col generale Kornilov, essendosi invece rivolto al Consiglio dei deputati degli operai e dei soldati, distribuendo armi e munizioni tra i lavoratori di Pietrogrado» ad agosto. Alcuni anni dopo, Kerensky rifletteva: «Come Lenin avrebbe potuto non trarre vantaggio da ciò?». Proprio così. «Persino adesso non dobbiamo sostenere il governo Kerensky. Verremmo meno ai nostri principi», sottolineò Lenin. «Noi facciamo e faremo la guerra a Kornilov come le truppe di Kerensky, ma non sosteniamo Kerensky, anzi smascheriamo la sua debolezza». Il leader bolscevico spiegò: «È il momento di agire; la guerra contro Kornilov dev’essere fatta in modo rivoluzionario, trascinando le masse, sollevandole, infiammandole (Kerensky invece ha paura delle masse, ha paura del popolo)». Chiamando audacemente alla mobilitazione contro le forze controrivoluzionarie, i bolscevichi guadagnarono ancor più autorità nei soviet e maggior sostegno tra i lavoratori. Trotsky, che aveva collaborato alla gestione pratica della mobilitazione, ricorderà in seguito: «I bolscevichi furono nelle prime file, spezzarono i compartimenti stagni che li separavano dagli operai menscevichi e soprattutto dai soldati socialisti‑rivoluzionari, trascinandoseli dietro». Di fronte a una mobilitazione operaia determinata, e grazie agli agitatori rivoluzionari che si misero in contatto con i soldati al comando di Kornilov, l’offensiva militare della destra si disintegrò prima di poter arrivare a Pietrogrado. «Le centinaia di agitatori – operai, soldati, membri dei soviet – che si infiltrarono nell’accampamento di Kornilov … incontrarono poca resistenza», scrisse Abramovitch. Le truppe di Kornilov, lavoratori e contadini in uniforme, accolsero gli appelli degli agitatori bolscevichi, socialrivoluzionari e menscevichi di sinistra, rivoltandosi contro gli ufficiali e stringendosi intorno ai soviet. Il golpe fallì, non lasciando a Kornilov altra scelta, se non arrendersi al governo provvisorio. Dopo il fallito colpo di stato di Kornilov, i bolscevichi guadagnarono la decisiva maggioranza nei soviet e si assicurarono lo schiacciante sostegno dell’insieme della classe operaia. La maggioranza del Partito Socialista Rivoluzionario si scisse evolvendo a sinistra, così come un’importante corrente dei menscevichi, allineandosi con Lenin e Trotsky. Questo fronte unico preparò lo scenario per il trionfo rivoluzionario in ottobre.. (*) Paul Le Blanc è autore di Lenin e il partito rivoluzionario. Il suo nuovo studio, October Song: Bolshevik Triumph and Communist Tragedy, 1917-1924, sarà pubblicato il prossimo novembre. Traduzione di Ernesto Russo e Raffaele Rocco |
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